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Politiche giovanili

Sardegna e servizio civile, parlano i giovani ma gli enti pubblici non dialogano

Soprattutto nei piccoli centri, i ragazzi spesso disertano i bandi dello Scu in quanto poco informati. E forse poco incentivati. Chi ha fatto questa esperienza si racconta, mentre gli enti del Terzo settore e della pubblica amministrazione cercano di avviare una nuova stagione di dialogo per rilanciare il servizio civile

di Luigi Alfonso

Si conoscono, e non potrebbe essere altrimenti. Ma non dialogano. Le varie anime della pubblica amministrazione in Sardegna hanno difficoltà a trasferirsi reciprocamente informazioni utili per migliorare la qualità dei servizi offerti ai cittadini. È quanto sta capitando, per esempio, nel Servizio civile universale – Scu. Questo aspetto è emerso in maniera chiara e incontrovertibile nel corso di un incontro promosso dal Forum Terzo settore, organizzato a Cagliari per fare il punto sull’Scu.

«L’idea di questo incontro è nata un mese e mezzo fa durante la Giornata del volontariato», ha spiegato Mauro Carta (Acli Sardegna). «Abbiamo riflettuto su questo tema importante e voluto questo momento di confronto perché, purtroppo, anche gli organi d’informazione sardi parlano poco delle buone esperienze, dei progetti di solidarietà dove i giovani si cimentano quotidianamente mettendo in gioco le loro capacità, dando peraltro un notevole contributo. Di questo se ne parla solamente durante le Giornate mondiali, ma finisce tutto lì. Molti ragazzi, però, sono impegnati tutto l’anno. Questo valore andrebbe rafforzato e comunicato all’esterno. Il servizio civile può servire a organizzare un segretariato sociale nei Comuni, per esempio a favore delle persone anziane. Occorre poi rendere realmente spendibile questa esperienza certificandola per il mercato del lavoro. Le Acli in Sardegna ospitano 50-60 ragazzi all’anno, in un reciproco scambio di esperienze positive. Ora resta da compiere il salto di qualità con il coinvolgimento delle istituzioni».

«Mi sono avvicinata al mondo del Terzo settore grazie al Servizio civile universale, che nel 2009 mi ha permesso di diventare un’operatrice locale di progetto – Olp», ha spiegato Elisabetta Paolinelli, responsabile regionale Scu per Anpas Sardegna. «Dal 2001 ad oggi, il numero delle domande si è dimezzato. Nel frattempo il servizio civile è cambiato, così pure la nostra società. Ora occorre renderlo più appetibile per i giovani, ecco perché abbiamo ristretto le attività in cinque giorni anziché nei canonici sei alla settimana. Anpas punta moltissimo sulla formazione, che va oltre le 44 ore previste. I nostri ragazzi non svolgono soltanto attività di emergenza-urgenza ma anche di welfare leggero».

Franco Uda, componente della presidenza nazionale dell’Arci, ha illustrato una serie di dati interessanti della Cnesc, la Conferenza nazionale enti Servizio civile, di cui fanno parte 25 realtà nazionali, tra cui Acli, Anpas, Asc (Arci servizio civile: in Sardegna comprende Arci, Legambiente e Uisp), Confcooperative-Federsolidarietà, Legacoopsociali. «Questi enti impiegano 205 persone a contratto e 870 a titolo volontario», ha spiegato Uda. «Le rispettive sedi locali hanno 1.293 persone retribuite e 10.563 a titolo gratuito. L’investimento dello Stato è di 277 milioni di euro, quello del Terzo settore di 110 milioni. Le domande pervenute in virtù dell’ultimo bando su scala nazionale sono state circa 50mila, di cui 22mila hanno svolto effettivamente il servizio (novemila in più rispetto all’anno precedente). Le sedi accreditate in Italia sono 17mila (di cui tremila fanno capo all’Asc). In Sardegna abbiamo registrato 869 domande sul bando nazionale e 642 su quello regionale, con 203 progetti finanziati di cui 202 effettivamente avviati (95%). Tra gli enti con il più alto numero di volontari ci sono Anpas, Confcooperative e Misericordie. Nell’ultimo bando, in Sardegna, abbiamo avuto 588 posti a bando, 1.367 domande (490 ragazzi e 877 ragazze), 922 idonei di cui 535 selezionati. I volontari avviati sono stati 478, suddivisi in 164 ragazzi e 314 ragazze. È utile ricordare che il servizio civile al Sud svolge anche una funzione di ammortizzatore sociale, oltre all’esperienza che fa curriculum. Spero che da questa iniziativa del Forum nasca la Consulta regionale, ma occorre anche una grande alleanza con gli enti locali per affrontare al meglio le emergenze-urgenze. Alla Regione, infine, chiediamo di promuovere in maniera più convinta la cultura del servizio civile».

Franco Uda (Arci) illustra i dati del Rapporto Cnesc

Anche Daniela Sitzia, direttrice dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani – Anci Sardegna, ha un passato da volontaria e conosce molto bene il Terzo settore. «Nel 1984, con gli scout Agesci, mi occupai dell’antincendio quando ancora il Servizio civile non esisteva», ha ricordato. «Quello spirito giovanile è rimasto intatto nel mio operare nel mondo del lavoro. So bene, dunque, che abbiamo degli obiettivi da raggiungere a favore della collettività. Dico questo perché l’esperienza dell’Scu può e deve promuovere il benessere di tutti. Purtroppo, nel tempo talvolta si è trasformato in altro: oggi viene percepito da molti come una opportunità per avere un incremento di reddito, e da parecchie istituzioni come forza lavoro che consente di supplire a certe funzioni. In Sardegna, solo 82 Comuni hanno aderito alla rete del servizio civile. Che invece dovrebbe coinvolgere in pieno almeno i 297 Comuni sardi con popolazione inferiore ai tremila abitanti. È triste sapere che nell’ultimo bando Scu sono stati tagliati 700mila euro perché non c’erano progetti strutturati in grado di valorizzare il bene comune e offrire ai giovani un percorso di crescita come cittadini di prossimità».

Già, i giovani. Andrea Pianu, portavoce del Forum Terzo settore Sardegna, ha voluto dedicare alle loro testimonianze buona parte della mattinata di lavori. «Nel 2021/2022 ho fatto il servizio civile all’Anpas», ha raccontato Valentina Barroi. «Era un progetto incentrato sul 118, che mi ha insegnato soprattutto la pazienza, la comprensione delle paure dei cittadini durante la pandemia. Ho iniziato da volontaria dentro l’associazione Sos di Quartu Sant’Elena, poi mi è stata proposta questa esperienza che dà soltanto tre crediti formativi per l’università. Troppo poco».

Un tasto dolente, al quale il tavolo del Forum lavorerà nelle prossime settimane. «Io ho svolto il servizio civile all’Arci, grazie alla partecipazione al progetto “Viaggio nella Memoria”, che ci ha condotti nei campi di concentramento in Germania», ha spiegato Diego Pisu. «Lì si è scatenata in me la voglia di essere un cittadino attivo, per preservare la memoria storica e sentirmi parte di una realtà più grande, consapevole di poter fare la mia parte. Provo un senso di appartenenza a quei valori».

Alice Zedda lavora in una struttura per anziani, a Quartu Sant’Elena. «Ho conosciuto lo Scu per caso, grazie a una parente», ha raccontato. «È un’esperienza che mi sta formando moltissimo, e che non c’entra niente con il mio percorso di studi. Mi piacerebbe proseguire in questa attività e iscrivermi alla facoltà di Scienze dell’educazione. Per me è molto più di un lavoro».

Angela Rita Carrusci, responsabile del servizio Politiche giovanili dell’assessorato regionale della Pubblica istruzione, ha detto che il suo settore «è un piccolo cameo all’interno del nostro assessorato. Stiamo ragionando molto in ambito europeo, cercando di supportare le organizzazioni di volontariato nella progettazione, con le poche risorse che abbiamo (300mila euro l’anno). L’approccio internazionale fa crescere i giovani. Purtroppo è vero: spesso manca il collegamento interistituzionale. La Regione non sempre sa cosa fanno i Comuni. Pensate, solo cinque Comuni hanno risposto a un nostro preciso quesito sotto forma di scheda, in merito alle rispettive politiche giovanili. Ora cercheremo di farlo meglio coinvolgendo l’Anci Sardegna».

Tiziana Arceri (Confcooperative) si occupa di Servizio civile dal 2019. «Abbiamo sperimentato che molti giovani, dopo questa esperienza, hanno intrapreso una strada molto differente rispetto al loro percorso di studi», ha spiegato. «Molti giovani sono presi dalla ricerca di un lavoro, ma a loro dico che l’esperienza che ho maturato mi sta tornando utile anche nell’ambito lavorativo. Purtroppo, nel 2024/2025, si interromperà il servizio civile nella nostra organizzazione: i progetti non sono stati approvati per un solo mezzo punto di valutazione».

Il responsabile delle politiche giovanili di Legacoop Sardegna, Michele Schirru, ha ricordato che «il mondo della cooperazione è differente da quello associativo. Il maggior numero di progetti si rivolge alle periferie, e spesso questa è l’unica opportunità per quei giovani per fare esperienza. Purtroppo la burocrazia è esagerata, così pure le modalità di accreditamento: si creano tempi lunghi e spesso siamo costretti a sostituire i candidati prima che parta l’annualità, in quanto nel frattempo hanno trovato altro da fare. Ci sono poi dei paradossi: la nostra coop più accreditata quest’anno si è vista preclusa l’approvazione del progetto, nonostante abbia preso un punteggio più alto rispetto a quello dell’anno precedente, poi approvato».

Altri giovani hanno parlato della loro esperienza. Giulia Pireddu (Arci) l’ha scoperta con il passaparola. «Regione e Comuni devono fare di più per informare i giovani nelle scuole e negli atenei», ha suggerito lei. «Se i ragazzi non rispondono e nei piccoli paesi alcuni bandi vanno deserti, c’è un problema di fondo che va risolto. A loro diciamo di fare questa esperienza arricchente, di non voltarsi dall’altra parte».

È invece passata per un periodo di volontariato Anna Atzeni, prima di fare l’Scu. Ora lavora in una cooperativa sociale che gestisce una comunità per mamme e minori. «Questa realtà mi ha fatto avare maggiore consapevolezza sul ruolo del volontario. I 500 euro possono essere un incentivo ma per un giovane sono più importanti le motivazioni. Presto servizio a 25 km dal mio paese, e l’indennizzo lo uso per il carburante e poco altro. Se pensassi ai soldi, non lo farei di certo. Bisogna farlo per sentirsi e rendersi utili. Siamo rivoluzionari gentili. Noi operatori fungiamo da riferimento per i bambini e anche per le loro mamme, spesso giovanissime, che magari non hanno avuto la fortuna di fare un percorso di istruzione adeguato».

Matteo Sesselego, volontario all’Anpas, ha parlato di «un anno indimenticabile che mi ha responsabilizzato enormemente e reso più consapevole di ciò che voglio fare. Ho scoperto l’opportunità dello Scu attraverso i social, dopo aver perso un amico per arresto cardiaco durante un’escursione. A quel punto mi sono chiesto: come posso essere d’aiuto in circostanze simili? Così è nato il percorso all’Sos Quartu. Oggi sono un formatore del soccorso e sto per completare gli studi per diventare Oss».

Anche la coordinatrice del Centro per l’impiego Aspal, Laura Mantega, ha ammesso che «ci conosciamo poco e dialoghiamo pochissimo. Ma pure noi aiutiamo le persone a individuare un percorso, esattamente come fa l’Scu. Credo che, tutti insieme, possiamo cambiare la rotta e offrire ai giovani una prospettiva differente».

Un ulteriore spunto di riflessione è arrivato da Stefania Gelidi (Anpas): «Lo scarso appeal dipende molto probabilmente dal fatto che non comunichiamo passione. Rivestiamo questo progetto con elementi economici, non solo dal punto di vista dell’indennità erogata. Ai ragazzi bisogna dare un progetto con un senso e un significato, riportarli a quelli che sono i valori e i principi costituzionali che il Servizio civile incarna. Spesso si perdono ragazzi durante il percorso, e con loro il denaro investito. È un piccolo fallimento per l’associazione».

Credits: foto Riccardo Mascia