Carcere
“Siamo a ‘mmare”, il cinema che entra nel carcere e libera le storie di vita
Un corto, che ha avuto il merito di aprire una breccia nell’anima e nel cuore di alcuni detenuti, nel caso specifico del carcere Ucciardone di Palermo. Persone pronte a scommettere che, nella società, non ci siano grandi opportunità di riscatto per loro. Un lavoro sinergico, "Siamo a' mmare", frutto del laboratorio di scrittura partecipata guidata dal regista Alessio Genovese e dal sociologo Daniele Saguto, che il 9 novembre sarà al MediFilm Festival, pronto a strappare grandi applausi
Che la finzione filmica del cinema consenta di volare alti, raccontando di meravigliosi mondi lontani, da raggiungere solo con la forza dell’immaginazione, non ci sono dubbi. Quando, invece, il grande schermo riesce a raccontare con schiettezza e sincerità realtà a noi più vicine, ma che non conosciamo bene, magari proprio quelle intrise di dolore, solitudine, emarginazione che si animano dentro le mura di un carcere, allora la sua forza ci può aiutare a sviluppare quell’empatia necessaria per tendere a un pianeta in cui l’umanità sia migliore di quello che in realtà è.
È quello che è accaduto con “Siamo a ‘mmare”, progetto nato come corto e pronto a diventare lungometraggio, frutto del laboratorio di scrittura partecipata guidato dal regista Alessio Genovese e dal sociologo Daniele Saguto, nell’ambito del progetto “FunKino – Across walls”, al quale ha preso parte un gruppo di detenuti della Casa di Reclusione Calogero Di Bona – Ucciardone di Palermo, protagonisti al pari di attori navigati.
Ci è voluto del tempo e tanta umiltà per riuscire a creare uno spazio libero dal giudizio, in cui potere attivare un vero processo creativo e costruire dei personaggi che non fossero riproduzione delle vicende dei singoli
Alessio Genovese, il regista
Non è, infatti, un caso che questa piccola ma significativa opera cinematografca abbia strappato numerosi applausi alla Mostra del Cinema di Venezia, dove il corto è stato presentato lo scorso settembre al Forum FEDIC, tenuto al Venice Production Bridge. La prima occasione per il regista, Alessio Genovese, di incontrare il pubblico e raccontare la genesi del cortometraggio, ma anche gli sforzi in atto per farlo diventare ben presto lungometraggio. Grazie all’associazione Zabbara Ets, che lo ha prodotto con il supporto dell’ 8xMille Valdese e della Banca d’Italia, inoltre, “Siamo a ‘mmare” verrà presentato alle 17 di sabato 9 novembre nella sezione £Voci dal Carcere” della trentesima edizione del MedFilm Festival, in piazza della Repubblica, a Roma.
«Circa 8 anni fa abbiamo cominciato a sperimentare questa tecnica di scrittura partecipata per il cinema che si chiama “FanKino”, il cinema che si diverte», spiega il regista, Alessio Genovese, «portandolo avanti per quattro edizioni con la partecipazione di gruppi misti composti da ragazzi migranti, seconde generazioni e giovani palermitani con fragilità di vario genere. Sono arrivati tutti attraverso il passaparola perché crediamo molto nella motivazione personale. Non abbiamo, infatti, mai cercato accordi con istituti, scuole, servizi sociali proprio perché siamo stati sempre molto determinati a lavorare con un target di persone che non riceveva alcun tipo di assistenza. In questo modo, i gruppi che si sono formati sono stati sempre dei crocevia per le persone che volevano raccontare la loro storia».
Due anni e mezzo fa l’ingresso all’Ucciardone di Palermo, storico carcere borbonico che sorge a pochi passi dal salotto buono del capoluogo siciliano, che oggi ospita circa 520 detenuti quasi tutti definitivi. Un numero storicamente basso, dal momento che la struttura penitenziara nel tempo ne ha ospitati anche oltre mille, ovviamente in condizioni del tutto diverse da quelle odierne.
Trenta i detenuti che, per la prima volta, hanno deciso di mettersi in gioco collaborando attivamente alla nascita di un soggetto che ha portato alla realizzazione del corto, il cui cast è composto dagli stessi detenuti e da non professionisti, come i ragazzi che frequentano la scuola serale dell’Opera Don Calabria e i servizi del Centro TAU di Palermo, entrati in gioco come comparse.
Un rapporto a specchio, nel quale il padre rivede nel figlio come era da giovane, mentre il figlio vede nel padre quello che potrebbe diventare
Il film narra la storia di Turi, un ragazzo il cui padre, quando aveva otto anni, viene arrestato e lui portato in una comunità alloggio lontano da casa. Quando ritorna, all’età di diciotto anni, non conoscendo di fatto Palermo. si inserisce all’interno del mondo criminale. Complice il fatto che la sua ragazza vuole continuare gli studi, lasciandolo proprio nel giorno del suo compleanno, Turi si sente rifiutato e diventa violento. Verrà arrestato e portato nello stesso carcere del padre, con cui non ha mai vissuto. Avranno l’occasione di recuperare un rapporto complicato, anche e soprattuto perchè mai nato.
«Il mio vissuto è un po’ quello del personaggio del film», racconta Maurizio Polizzotto, 52 anni, in carcere per una rapina impropria, ma anche per diversi altri reati cumulatisi negli anni, «e forse per questo, senza però neanche saperlo, quando il regista mi ha fatto il provino mi ha subito scelto per la parte del protagonista, Dado. È stata un’esperienza fantastica anche perchè inattesa. Ho vissuto tante esperienze, anche quella della droga che vivono tanti giovani. Io l’ho conosciuta quando sono entrato al carcere minorile del Malaspina di Palermo. Dal ’90 a oggi ho girato circa 25 strutture penitenziarie di tutta Italia e ognuna è diversa dall’altra. E purtroppo devo dire che il carcere, oggi come oggi, non permette di cambiare, migliorare. Proprio i ragazzi non hanno educazione, non portamno rispetto ai più adulti, agli agenti penitenziari. Non è comunque facile accettare di dovere stare in un luogo dove non hai più libertà. Io, per esempio, ho studiato e ho sviluppato la mia passione per la cucina, che spero potrò sfruttare una volta fuori. Il cinema mi piacerebbe, ma credo di essere un po’ troppo grande per poterlo fare a livello professionale. Ma vedremo».
Totalizzante, piena di emozioni l’esperienza di un set anche per Ignazio Sciurello, 54 anni, che in “Siamo a ‘mmare” è un comune detenuto, vicino di cella del protagonista, che nella vita reale ha una condanna all’ergastolo per omicidio.
«Sicuramente mi sono divertito», dice lui stesso, incontrato anche lui in una sala colloqui dove la lastra divisoria sembrava non esistere più quando, al racconto dell’esperienza cinemagrafica, è subentrato quello del reato commesso, con tutte le conseguenze che questo ha avuto per la famiglia e i figli in particolare, «ma la mia soddisfazione non ha eguali se la paragono all’orgoglio dei miei figli nel sapermi nel cast di un film come “Siamo a’ mmare”, che ha dato tanto a tutti noi. Quando l’ho detto loro, non ci credevano. A dire il vero neanche io!!! Sono qui da quasi 10 anni e ogni giorno mi pento di quello che ho fatto. dettato solo da un impulso, da un impeto di rabbia. Dire che non lo rifarei è scontai, ma è così. Ora, grazie all’art. 20, posso uscire per svolgere dei lavori socialmente utili in città, per esempio opere di giardinaggio, e anche questo, quando l’ho comunicato alla mia famiglia, è stata commozione per tutti».
Piccole conquiste che fanno la differenza all’interno di una struttura penitenziara, coinvolgendo tutti per fare in modo che la reclusione non debba più avere un’azione repressiva, ma offrire occasioni di riabilitazione per un futuro reingresso in società. Il cinema, da tempo, svolge questa funzione, per certi versi anche catartica. “Siamo a’mmare” lo è stato forse anche di più.
«Un progetto come quello che ha portato alla realizzazione di questa opera non può assolutamnente essere considerato isolato», afferma Fabio Prestopino, direttore dell’Ucciardone di Palermo, « perché rientra in una volontà, nell’afflato dell’amministrazione penitenziaria di creare condizioni diverse quanto ad attività trattamentali. Non credo che sia l’unica esperienza cinematografica che esista in un istituto penitenziario, ma la bellezza di questo progetto parte della sceneggiatura e anche dalle attività ancillari, come piace tanto dire oggi, che sono la fotografia, le scenografie e tutto ciò che sta dietro e attorno alla realizzazione di un film, alla cui sceneggiatura abbiamo lavorato insieme al regista. Il fatto che anche i detenuti siano stati protagonisti non è una novità assoluta, ma è sicuramente un valore aggiunto. Devo aggiungere, in verità, che non ho notizie di altri film prodotti con questa modalità all’interno dell’Ucciardone, anche se siamo stati spesso e volentieri sede di set cinematografici. Tanto per fare qualche nome, abbiamo aperto le porte a Ficarra e Picone, a Luigi Lo Cascio, anche ai Fratelli Corsaro. La realizzazione sinergica di “Siamo a ‘mmare” mi ha, però, fatto riflettere sul fatto che, nelle tante produzioni che ci hanno coinvolti, i detenuti non sono mai stati scelti come comparse, vedendo invece attori vestire le loro parti. Credo che, se il carcere debba servire veramente a qualcosa, quando è possibile anche i detenuti debbano prendere parte a percorsi che li possano aiutare a viverlo come occasione e non come mera punizione».
Un’occasione che serve non solo a chi ha una pena da scontare in carcere
«I miei figli sanno tutto quello che mi è successo nella vita e ho sempre sperato che non facessero i miei stessi errori», aggiunge in conclusione Polizzotto. «Purtroppo uno di loro ha avuto un piccolo problema con la giustizia, un furto, ma fortunatamente ha vissuto l’esperienza della comunità e non quella del carcere. Ovviamente, gli ho parlato e ha capito quello che ha fatto. Sa che, scegliendo delle cattive compagnie, la strada è unica. Io cerco di essere loro amico, ma non è facile. Il mondo è cambiato. Per esempio, io abitavo allo Zen 2 e sino a pochi anni fa era tutto diverso. Oggi vedi bambini anche molto piccoli tenere in mano le bottigliette con cui fumano il crack. Quello che mi auguro è che i miei figli, ma anche i ragazzi in generale, possano ispirarsi a modelli sani. Io ho sbagliato, lo so, ma voglio costruire un futuro migliore per la mia famiglia. Questo farò, quando uscirò da qui».
Le foto e il trailer sono stati forniti dalla produzione del film
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