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Ambiente

Taranto, appello di cittadini e associazioni: «L’acciaieria deve sparire»

Nel capoluogo jonico, mentre il Governo italiano vuole avviare l’iter di commissariamento dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa, l’associazione Genitori tarantini e numerose realtà del territorio sono mobilitate per chiedere «una riconversione dell’area industriale» e per «difendere la vita e la salute di lavoratori e cittadini»

di Emiliano Moccia

Chiusura e riconversione. «Lo stabilimento siderurgico di Taranto da lì deve sparire». Nessun giro di parole, nessun equivoco di interpretazione. Le numerose realtà che rappresentano associazioni e cittadini di Taranto chiedono «verità e giustizia» sul futuro dello stabilimento ex Ilva di Taranto, spiega Massimo Castellana, portavoce dell’associazione Genitori tarantini, che dal 2015 si battono per tutelare il diritto alla salute della comunità e per fare memoria delle tante vittime dell’inquinamento industriale. Un impegno che il sodalizio sta portando avanti con altre associazioni del territorio, che hanno un’unica richiesta da porre al Governo Meloni: «Occorre fare una riconversione dell’area industriale. Occorre chiedere al Governo risorse per provvedimenti urgenti ed immediati al fine di bonificare il territorio per tutelare salute e benessere e avviare una economia alternativa che crei da subito sviluppo sostenibile e nuova occupazione per i giovani e per chi perde il lavoro. Come chi opera nel settore della mieticoltura in questi anni ha subito gravi danni a causa dell’inquinamento dell’impianto».

Occorre fare una riconversione dell’area industriale. Occorre chiedere al Governo risorse per provvedimenti urgenti ed immediati al fine di bonificare il territorio per tutelare salute e benessere e avviare una economia alternativa

– Massimo Castellana
Un momento della manifestazione di qualche giorno fa a Taranto

Insieme ai Genitori tarantini è al fianco un piccolo esercito composto da madri, padri, nonni, zii, figli, mitilicoltori, pescatori, agricoltori, insegnanti, operai, pensionati, liberi attivisti, operatori del turismo, sindacalisti che in questi giorni sono scesi ancora una volta in strada e sono pronti a farlo ancora, per «difendere la vita e la salute di lavoratori e cittadini». Di tutti coloro, soprattutto bambini, che in tutti questi anni hanno perso la vita a causa di tumori e leucemie, provocati dall’impianto siderurgico che dal 1965 nel quartiere Tamburi produce tonnellate di ferro cambiando negli anni proprietari, nomi, livelli di produzione, ma non i disagi alla popolazione, all’ambiente, alla biodiversità del mare.

Adesso, a tenere alta l’attenzione della popolazione stanca degli effetti collaterali provocati dall’acciaieria più grande d’Europa, sono ancora una volta loro: i cittadini. Una mobilitazione resasi necessaria anche a seguito della decisione da parte del Governo italiano di voler avviare l’iter di commissariamento dopo la decisione di ArcelorMittal di sfilarsi dallo stabilimento siderurgico che appartiene ad Invitalia, cioè allo Stato Italiano. «Il dibattito sul futuro dello stabilimento ex Ilva si sta spostando sulla volontà di salvare la produzione, dimenticando le necessità di tutela del territorio e della salute di chi ci vive e di tutti i lavoratori che lavorano su impianti ancora oggi sotto sequestro dalla magistratura» spiega Massimo Castellana. «Ma noi abbiamo una visione diversa sul futuro di quell’area e di Taranto, con lavoro sostenibile, rifacimento di alcuni lavori che possano rendere più bella la nostra città, che resta bella nonostante la numerose cicatrici e ferite che si porta dietro».

Lo stabilimento si estende su una superficie complessiva di oltre 15 milioni di metri quadrati. Nel 1995 l’acciaieria è stata acquista dalla famiglia Riva, ma dopo inchieste per disastri ambientali, sequestri dell’impianto e condanne nel processo “Ambiente svenduto”, lo stabilimento siderurgico è passato di proprietà al colosso franco-indiano, che detiene la maggioranza del controllo, e allo Stato italiano. In tutti questi anni, la comunità tarantina ha continuato a sviluppare forme tumorali, leucemie, problemi cardiologici. Oltre 500 persone sono morte, invece, per incidenti sul lavoro, così come in tanti hanno perso la vita a causa delle malattie causate dall’inquinamento industriale. «Quando parliamo di cittadini, parliamo anche dei lavoratori, che spesso sono restii ad abbandonare la produzione per non perdere il lavoro. Ma noi crediamo nella dignità del diritto al lavoro, dove il lavoro deve essere svolto in salute, in sicurezza, in un ambiente salubre e libertà. Ma tutti questi elementi vengono calpestati in quell’industria rendendo il lavoratore uno schiavo. E la schiavitù non è prevista dalla Costituzione italiana».

Le nubi dell’inquinamento dell’acciaieria sulla città. Foto di una Sentinella per Taranto

Anche per questo, grazie all’attività dell’associazione che nel 2015 si rivolse alla Corte Europea dei Diritti Umani, nel 2019 arrivò la prima sentenza di condanna contro lo Stato italiano per non essere riuscito a protegger i cittadini di Taranto che vivevano nelle aree colpite dalle emissioni tossiche dell’impianto dell’ex Ilva, e non aver preso tutte le misure necessarie per proteggere efficacemente il diritto al rispetto della vita privata. Nel maggio del 2022 la Cedu ha emesso altre quattro condanne nei confronti dell’Italia per le emissioni dell’ex Ilva di Taranto, responsabili di mettere a rischio la salute dei cittadini. Nonostante le condanne e le inibitorie, la salute dei cittadini di Taranto e delle zone limitrofe continua ad essere ancora a rischio.

Massimo CAstellana, portavoce dei Genitori tarantini

«Mentre va avanti questo balletto di voci da parte dello Stato italiano, anche sulla ricerca di nuovi partner per continuare la produzione, va avanti anche l’inibitoria arrivata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. I giudici hanno preso in considerazione la richiesta formulata dal Tribunale di Milano relativa al ricorso con il quale l’associazione Genitori tarantini ha chiesto la chiusura o quantomeno il fermo dell’area a caldo. I giudici sono stati molto duri verso il comportamento dell’Italia e dello Stato.Il 14 dicembre l’avvocato generale della Corte di Giustizia europea, Juliane Kokott, ha presentato le proprie conclusioni e, fra le varie cose, ha sostenuto che laddove anche venissero utilizzate tutte le migliori tecniche possibili, se c’è un rischio per la salute dei cittadini e dei lavoratori, è prevedibile anche una perdita economica da parte dell’azienda. Quindi, se la salute umana è messa a rischio, il sito deve chiudere. E per noi, come le centinaia di persone che si sono ammalate o che hanno perso la vita la confermano, per noi non ci sono dubbi sul fatto che l’impianto non è conforme ai requisiti della direttiva europea sulle emissioni industriali. Lo stabilimento deve sparire da lì».

Siamo stati 60 anni sotto assedio di quell’industria, oggi proviamo ad assediarla noi

– Massimo Castellana

Ma l’azione dei cittadini non si ferma. «Una class action risarcitoria contro contro Acciaierie d’Italia spa, Acciaierie d’Italia Holding spa e Ilva in as, firmata da 136 persone e un bambino, è stata presentata sempre al Tribunale di Milano» prosegue Castellana. «La speranza è che venga dichiarata ammissibile. Ci stiamo attivando per arrivare al maggior numero di persone. Ogni aderente può partecipare in maniera gratuita. Tra l’inibitoria e la class action proviamo a fermali. Siamo stati 60 anni sotto assedio di quell’industria, oggi proviamo ad assediarla noi». Dal comitato Quartiere Tamburi alla Cooperativa Mitilicoltori Tarantini, dal Movimento cittadino pro Aeroporto di Taranto Grottaglie, al sindacato Lavoratori Metalmeccanici Organizzati, dall’associazione Le Stelle di Lorenzo, a Lovely Taranto, sono veramente tante le realtà che stanno spingendo insieme ai Genitori tarantini per chiedere lo stop dell’ex Ilva. Non solo. Proprio in questi giorni oltre 150 medici tarantini hanno firmato un appello inviato alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, chiedono che «non venga sprecata questa ennesima opportunità di affrontare la gravissima crisi dell’ex Ilva oltre che dal punto di vista socio-economico, anche da quello della salute dei cittadini di Taranto. Abbiamo alle spalle sessanta anni di convivenza con una fabbrica che lascia dietro di sé una scia di morti a causa dell’inquinamento di suolo, aria ed acqua del territorio in cui viviamo».

Nella missiva, che al momento non ha ricevuto risposte dall’esecutivo nazionale, i medici evidenziano che «si stima un aumento di tumori respiratori, di accidenti cardiocircolatori, di tumori della tiroide o della vescica, di tumori dell’apparato emopoietico, di infertilità, di endometriosi». Per i medici tarantini non ci sono dubbi: «Sempre in età pediatrica si osservano: aumento di malformazioni nei nati a termine, aumento degli aborti spontanei, tumori cerebrali, leucemie e linfomi, per non parlare delle malattie del neuro-sviluppo e delle sindromi metaboliche drasticamente in aumento nella nostra città. Sono stati violati tutti i diritti della popolazione tarantina circa la tutela della salute». Insomma, il quadro fatto emergere anche dai medici è più che allarmante. Ed i nomi di Alessandro, Francesco, Miriam, Benedetta, Ambra, Vincenzo, solo per citare alcune dei bambini e dei ragazzi morti di leucemia, a causa del «tanto citato articolo 32 della Costituzione troppo spesso violato per gli abitanti di Taranto: una popolazione non può pagare un prezzo così a lungo e così alto in termini di salute e di vita a salvaguardia di un lavoro che inquina».

Intanto, “Palazzina Laf” il film diretto ed interpretato da Michele Riondino, che ha puntato attraverso il cinema i fati su quanto accadeva nell’ex-Ilva a danno dei lavoratori mobbizzati e demansionati nel corso della gestione del gruppo Riva, ha vinto Tre Ciak D’oro nelle categorie Miglior attore, Miglior regista esordiente e per nella categoria Migliore canzone, con il cantante tarantino Diodato. Un film di denuncia che sta aiutando a tenere alta l’attenzione sullo stabilimento siderurgico. «Questa è la vittoria di una comunità, di un mare di gente che ha amato e capito il film, e che ha apprezzato e votato l’impegno di tutti coloro che ci hanno lavorato» ha scritto sulla sua pagina facebbok l’attore e regista Michele Riondino. «Questi premi servono per avvicinare le persone: chi ha espresso il voto a chi è stato votato, chi ha raccontato questa storia a chi ha voluto e saputo ascoltarla, chi ha visto il film a chi ha vissuto davvero quegli anni difficili in cui si è consumata la storia della Palazzina Laf».