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Welfare, siano i servizi ad adeguarsi ai bisogni. E non viceversa
Presentato il manifesto "Verso un nuovo sistema di welfare" elaborato dal Forum del Terzo Settore. La portavoce Vanessa Pallucchi: «chiediamo che nei futuri provvedimenti, Governo e Parlamento si impegnino per un massiccio investimento nel sociale, rafforzando in particolare la rete socio-sanitaria e avvalendosi delle competenze e della visione del Terzo settore. Solo in questo modo si può invertire il processo di impoverimento del welfare»
I livelli essenziali di prestazioni sociali (Leps) non sono sufficienti per stabilire che nel nostro Paese ci siano standard di vita sostenibili. Anche se riconosciuti come diritti fondamentali dall'articolo 117 della Costituzione, oggi in Italia ci sono ancora troppe disuguaglianze che precludono alle persone di usufruire di servizi fondamentali tra cui un’assistenza sanitaria adeguata, il libero accesso allo studio, a un lavoro dignitoso e la mancanza di modelli che incoraggino l’inclusività sociale, soprattutto per disabili e soggetti fragili.
Prossimità, universalismo e inclusività sono i tre principi sui quali si interroga il Forum nazionale del Terzo settore, principale organismo di rappresentanza unitaria del Terzo settore italiano, riunitosi per proporre un nuovo modello di welfare, che rimetta al centro dei servizi la persona e i suoi bisogni essenziali. Tenutosi a Roma il 15 marzo presso la Sala Capitolare del Senato, il Forum nazionale del Terzo settore apre al post pandemia con il manifesto “Verso un nuovo sistema di welfare”, che vuol rappresentare una base di partenza per l’apertura di un dibattito sui temi di welfare con i vari attori coinvolti e con le istituzioni.
«L’attuale sistema di welfare è frammentato, non riesce a garantire un'adeguata rete di protezione sociale, per questo va sostituito con uno che permetta la piena riconoscibilità dei diritti e che permetta di definire, finanziare e rendere elegibili su tutti i territori i livelli essenziali delle prestazioni sociali», è così intervenuto Roberto Speziale, coordinatore della Consulta Welfare del Forum Terzo Settore. Il manifesto si snoda principalmente tra 5 obiettivi, che puntano a sviluppare un sistema socio-sanitario integrato, esteso ed omogeneo in tutto il Paese; rivedere il sistema di governance, in modo da coinvolgere sia il livello statale che quello regionale e locale, oltre che il Terzo settore stesso. Poi, occorre basare la programmazione degli interventi potenziando le risorse disponibili. Nel Manifesto si spiega come sia necessario sviluppare il sistema di presa in carico delle persone a partire dai Piani settoriali previsti dal Piano nazionale degli interventi e servizi sociali 2021-2023; infine, il documento incentiva ad abbracciare e sostenere ulteriori forme di welfare, che sia aziendale e integrativo.
Il modello a cui tendere – secondo il Forum – previene e contrasta gli elementi di esclusione sociali, promuovendo invece il benessere e lo sviluppo delle persone, non solo attraverso interventi di riduzione del disagio e delle povertà, ma anche attraverso il coinvolgimento, attivo e diretto, dei destinatari nei loro percorsi di inclusione culturale, sociale ed economica. «Una società inclusiva è consapevole essa stessa di dover abbandonare il precedente esempio fondato sull’integrazione, che propone modelli standard fuori dai quali, chi non vi rientra, risulta comunque escluso socialmente. Per questo il Forum del Terzo Settore chiede da anni che ci sia un confronto tra i sistemi di welfare integrati: dall’integrazione socio-sanitaria alle politiche per il lavoro, passando per l’accoglienza e il sostegno alla genitorialità, su tutti questi punti vogliamo confrontarci con le istituzioni e con i vari soggetti interessati per evitare che, a poco a poco, a causa anche delle crisi che stanno attraversando il Paese, si erodano i diritti delle persone», prosegue Speziale, ovvero favorendo un dialogo armonico tra istituzioni, enti locali, privati, mondo dell’associazionismo e cittadini, anello fondamentale nella filiera del welfare.
«Per realizzare un nuovo welfare che garantisca gli stessi diritti su ogni territorio, definire i Livelli essenziali delle prestazioni sociali è condizione necessaria, ma non sufficiente: occorre anche prevedere adeguati finanziamenti e mettere gli enti locali nella condizione di rendere i Leps esigibili in tutto il Paese. Ecco perché chiediamo che nei futuri provvedimenti, Governo e Parlamento si impegnino per un massiccio investimento nel sociale, rafforzando in particolare la rete socio-sanitaria e avvalendosi delle competenze e della visione del Terzo settore. Solo in questo modo si può invertire il processo di impoverimento del welfare cui stiamo assistendo da anni, anche a causa della pandemia, e contrastare il drammatico aumento di disuguaglianze e divari territoriali», ha precisato Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore.
L’essenzialità non è il minimo: per una rivoluzione qualitativa del welfare
Per un nuovo “umanesimo” dei Leps, i Livelli essenziali delle prestazioni sociali che misurano anche lo stato di benessere della popolazione, è importante che questi siano allora giudicati non con criteri a ribasso, come fossero base minima dei servizi offerti ai cittadini visto lo stato attuale del Paese, ma ragionando su come renderli accessibili a tutti e inviolabili indipendentemente dallo stato sociale, dalla Regione di provenienza o da qualsiasi altro fattore discriminante. «Stiamo attraversando un momento di profondi cambiamenti sociali, con la Legge delega sulla non autosufficienza il Governo propone uno sviluppo inclusivo e l’integrazione di diversi servizi alla persona, a partire da quello sociosanitario», spiega Emma Staine, per conto della Commissione politiche sociali Conferenza Regioni. Il nuovo modello di welfare non può limitarsi più a dare risposte ai bisogni circoscritti, ma deve farsi carico di tutta la grande area legata alla prevenzione. «In alcune regioni purtroppo, come Sicilia e Calabria, quando si è disabili lo si patisce il doppio. Anche i calabresi e siciliani hanno diritto all’assistenza sociosanitaria e alla continuità assistenziale come tutti gli altri». Ed è proprio sul principio di universalità, ma anche di interconnessione, che poggia la visione un welfare generativo, in cui si risolvono piccole e grandi problematiche individuali ma, al tempo stesso, si genera benessere e miglioramento sociale per tutta la popolazione.
«Credo sia importante superare la visione meccanicistica delle persone e puntare a considerare la loro presa in carico sotto ogni aspetto, con la valorizzazione delle risorse interessate di qualsiasi regione. Un altro tema molto spinoso riguarda non a caso il capitolo di spesa dedicato alla salute, il cosiddetto Budget salute, e quale fetta rappresenti nel sociale», aggiunge Eleonora Vanni, presidente di Legacoopsociali.
Risorse umane e materiali per rinsaldare gli assetti sociali
Il Pnrr rappresenta una grande occasione per l’Italia non solo se si parla di risorse economiche, ma soprattutto per porre in essere una complessiva nuova ristrutturazione del Sistema Paese, che realizzi assetti sociali più equi, coerenti e sostenibili, in linea con i più avanzati sistemi europei e in virtù di un’amministrazione più efficace e flessibile, orientata al cittadino. «Perché in alcune regioni gli assessorati si unificano e collaborano per favorire una governance più agile sul territorio, mentre in altre no?», solleva per esempio Claudio Falasca, dell'ufficio studi di Auser, «Questo è un limite su cui speriamo la Legge delega farà presto chiarezza, soprattutto sulle competenze delle case di comunità e su quelle dei distretti sociosanitari». Un aspetto molto importante riguarda poi le risorse da destinare ai servizi. Il Pnrr deve connaturare tutti gli investimenti e le riforme della Missione 5 (Coesione e Inclusione) e Missione 6 (Salute) che più direttamente prevedono azioni strutturate per le politiche attive del lavoro e il sostegno dell’occupazione, l’attivazione di infrastrutture sociali a favore delle persone e dei nuclei famigliari “fragili” e soluzioni per l’abitare. Oggi infatti il 28,4% delle persone con disabilità rischia l’esclusione sociale secondo i dati della Commissione europea. «Per molti disabili non c’è stato bisogno della pandemia per capire che molti servizi non sono inclusivi. Se c’è una cosa che la pandemia può insegnarci, allora, è che il vero cambiamento culturale deve ripartire dall’inclusività», propone Raffaella Cungi di Uniamo. «Bisogna uscire dalla logica che vede il welfare come mera assistenza e ragionare piuttosto in termini di autonomia delle persone, da garantire in ogni fase della vita» prosegue Pallucchi. «Il Pnrr è una grande opportunità per migliorare la qualità di risposta ai bisogni delle persone, ma servono politiche e risorse che concretizzino l’obiettivo. Grazie al nostro osservatorio su Pnrr e Terzo settore, ad esempio, sappiamo che la percentuale di risorse destinate al Sud, relative alla misura sui percorsi di autonomia delle persone con disabilità non raggiunge al momento la quota 40% e l’utilizzo degli strumenti di amministrazione condivisa è scarso. Ci auguriamo nei prossimi mesi di assistere a un cambio di passo».
Il ruolo del Terzo settore
Il post pandemia, lo slancio di investimenti offerto dal Pnrr e i mutamenti sociali sono una partita aperta per il Terzo settore, che deve interfacciarsi con le persone attraverso nuove strategie. Quelle passate non hanno funzionato, lasciando le persone inascoltate. «La mancanza di molti servizi è dovuta a un non dialogo con le istituzioni su tematiche come la frammentarietà dei fondi fino all’incomunicabilità coi territori su argomenti come la scuola e la disabilità», spiega Luca Trapanese di Anci. Il Terzo settore assume una particolare rilevanza anche grazie all’amministrazione condivisa, all’accreditamento e al convenzionamento, previsti dal Codice del Terzo settore. Strumenti, questi, che appaiono più appropriati in quanto favoriscono la consultazione e la partecipazione attiva dei cittadini.
«Sono i servizi che devono adeguarsi alla persona e non il contrario:», interviene Vincenzo Falabella di Fish, «dobbiamo costruire sui territori quei servizi che garantiscano i diritti costituzionali dei cittadini. Pensiamo alla Legge 112, in materia di assistenza alle persone con disabilità gravi: è una legge che presenta delle criticità normative, in primis la mancanza di dati per mappare il fenomeno, senza quei dati non possiamo giustificare la mancanza di risorse da destinare alle persone. Qualora arrivino sul territorio però, quelle stesse risorse non vengono spese adeguatamente. Ecco perché riteniamo necessaria la creazione di una cabina di regia con le istituzioni che permetta di costruire opere per un sistema di welfare di cui abbiano davvero bisogno i cittadini e che possa venir loro incontro».
Se si parla di inclusione, però, è lecito parlare anche di quella che parte dal basso e si alimenta del senso di appartenenza dei cittadini alle cause sociali, coinvolgendo le proprie organizzazioni più rappresentative, contribuendo direttamente ai processi concernenti la rilevazione dei bisogni, nonché alla definizione delle politiche di sviluppo sul territorio e alla corretta allocazione delle risorse. Strettamente legata a questo aspetto è la necessità di provvedere anche a sancire, definitivamente e in norma, che l’affidamento dei servizi alla persona non possa più essere effettuato attraverso a gare al massimo ribasso, contrastando prassi non rispettose delle vigenti normative. Il lavoro del Terzo Settore non può più essere visto come la mera fornitura di manodopera a basso costo, vanno inoltre garantite adeguate forme di trasparenza rispetto ai contratti.
«Da che erano 2 milioni e mezzo prima della pandemia, ora sono 5 milioni e mezzo le persone che in Italia vivono sotto la soglia di povertà assoluta. Questa situazione pone una domanda alla politica e chiede al Paese di agire nei confronti di uno stato di povertà diventato ormai multidimensionale, che non si limita solo alle risorse allocate», spiega Antonio Russo, vicepresidente di Acli. «Anche la povertà giovanile si è spinta dal 3,9% all’14,2%. È nella percezione della fragilità che però dovrebbe scattare la via per l’innovazione sociale, dobbiamo imparare a guardare alla sostenibilità nell’ottica di una crescita ambientale e comprendere che un povero non è un carico residuale, ma va preso in carico dall’intera società», aggiunge Don Francesco Preite, presidente dei Salesiani per il sociale, «Non lasciamo sole le famiglie per esempio, evitiamo che cadano nelle maglie della criminalità in cui spesso finiscono anche i progetti del welfare sociale, interveniamo incentivando il lavoro, in particolare quello giovanile, l’istruzione, garantendo alle persone che possano avere lo stesso grado di lavoro e studio tra Nord e Sud, riconoscendo la capacità di vocazione dei territori e mettendo le regioni in grado di rispondere a questa vocazione». Questa frammentarietà dei bisogni, per esempio, è emersa soprattutto nelle attività di supporto assistenziale dei Salesiani. «Nel Meridione, per esempio, registriamo una forte richiesta di servizi di supporto alle famiglie, mente al Nord servono politiche mirate sulla formazione delle persone, per orientarle al lavoro», conclude Preite.
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