Famiglia

Wu Ming 4: «Accompagnando mio figlio a calcio sono cresciuto io come padre»

Le cronache spesso raccontano di papà sfegatati, che litigano con arbitri e allenatori colpevoli di non valorizzare le doti dei loro piccoli campioni. Ma non c'è solo questo, dentro l'amore per il calcio che unisce padri e figli. "Il calcio del figlio", scritto da Wu Ming 4, racconta le comunità di padri che nascono a bordo campo, che non fanno notizia ma fanno crescere anche i padri

di Gilda Sciortino

bambini che giocano a calcio, con allenatore

Una sorta di stupore, di improvvisa consapevolezza rispetto a cosa vuol dire essere genitore di un ragazzo che pratica calcio in una delle tante società sportive non professionali del Paese. È questa la percezione che regala la lettura di Il calcio del figlio. Storia di genitori, figli e pallone, scritto da Wu Ming 4, al secolo Federico Guglielmi, che ha raccontato la sua esperienza di genitore per i lunghi 12 anni di pratica sportiva del figlio. Un libro che entra ed esce dai campi, frequenta gli spogliatoi, interagisce con gli allenatori, ma che ci tiene pure a mantenere un certo distacco per diventare la voce delle tante comunità di genitori.

Dovremmo smetterla di pensare che cosa serve ai ragazzi. Forse ciascuno di noi dovrebbe riappropriarsi innanzitutto del proprio tempo libero e dargli dignità. Perché poi i ragazzi ci guardano e forse quello che gli resta è il buon esempio

Wu Ming 4

Che tipo di storia volevi raccontare con questo libro? E che storia è nata?

Il libro è un memoriale, nel senso che di invenzione non c’è quasi niente. È la storia che io ho vissuto da padre accompagnatore – e poi anche da dirigente accompagnatore – di mio figlio maggiore, dai suoi sei anni non ancora compiuti fino ai 18 anni circa. Un viaggio lungo, che ha attraversato tutte le varie fasi di crescita. Ovviamente ho selezionato dei momenti, sintetizzando dei periodi a cavallo di due società sportive. La prima, quella dov’è cresciuto, che è la società sportiva di quartiere, molto povera e disorganizzata e poi il salto verso una società sportiva più ambiziosa, più strutturata, anche più ricca. Racconto di questo passaggio, la squadretta di bambini e di amici che piano piano crescono, diventano adolescenti, si fanno notare. Due mondi in uno.


Pregi e difetti di questo mondo, ma anche di chi ne fa parte, ossia le comunità di genitori che si costituiscono intorno a questa esperienza…

In questo mondo le relazioni sono le più variegate. Certo noi magari siamo abituati a considerare gli episodi più eclatanti, negativi, perché li sentiamo nei notiziari, come le risse in tribuna o i genitori che contestano l’allenatore perché non fa giocare il figlio. Tutto questo c’è e lo racconto, ma c’è anche molto altro. Io ho voluto raccontare anche la parte positiva di questa esperienza, che spesso, invece, secondo me è un po’ trascurata solo perché non fa notizia.


Cosa non fa notizia?

Il fatto che attorno a questa esperienza nascono le esperienze condivise delle famiglie, piccole comunità che possono anche durare pochi anni, ma che sono anni formativi per tutti. La verità è che si cresce insieme ai ragazzi. Tramite questa esperienza, per esempio, io ho incontrato persone che altrimenti non avrei mai avuto modo di incrociare nella mia vita: alcune mi sono piaciute, altre non mi sono piaciute, ma sicuramente tutte molto diverse da me. Si va dall’immigrato albanese sempre a corto di soldi al manager della banca mondiale. Con un militare di carriera, io che non ho fatto nemmeno la naja, probabilmente non avrei avuto da scambiare mezza parola in un’altra circostanza: invece, in questo contesto mi sono trovato quasi a stingere amicizia con questo papà. Il mondo dello sport dei figli è un’esperienza particolare che, secondo me, forza anche le maglie delle zone di comfort reciproche e ti porta a metterti in gioco, a incontrare l’altro da te. È un’esperienza che va in controtendenza, ti aiuta a uscire da te stesso, dalle solite frequentazioni e a confrontarti con il Paese reale, con la vera vita.

Noi genitori contemporanei siamo schiacciati dal senso di colpa per il tempo che non trascorriamo con i nostri figli e dal senso di inadeguatezza, desideriamo soprattutto fare felice il nostro erede. Lui vuole giocare a calcio e calcio deve essere

Wu Ming 4

Un libro, però, che fa una precisa scelta stilistica…

Ho fatto una scelta ben precisa, infatti non è il “mio narrante” che lo anima. Il narratore si dà del tu, come se si guardasse allo specchio o come se si rivolgesse al potenziale alter ego, cioè un padre o una madre che hanno attraversato la stessa esperienza. Diversamente sarebbe stata la solita storia di un papà che racconta quanto è bello e bravo suo figlio. Mi interessava raccontare una storia che senza dubbio è la mia o la nostra, ma che parla del rapporto tra padre e figlio, con tutte le difficoltà che ciò comporta. Attenzione, è un libro che racconta molto di sbagli, commessi anche da me e, col senno di poi, valutati come tali. Quello che ho voluto fare è stato osservarmi mentre ero dentro a questo turbinio. Gli antropologi la chiamano “osservazione partecipante”, che è ciò che fanno quando si mettono tra i nativi e registrano quel che accade. Chiaramente la tua presenza è condizionante, in qualche modo interagisci, però al tempo stesso rilevi le relazioni, raccogli le testimonianze. Ho, quindi, raccontato dei tipi umani, che fossero ragazzini, genitori, allenatori o dirigenti.

La presentazione del libro a Booq Bibliofficina di Palermo. Benché si mostrino in pubblico di persona, i Wu Ming hanno adottato la politica di non apparire in foto né in video

Che tipo di valutazione fai del calcio, dopo questa esperienza?

Le squadre dei ragazzini sono meravigliose! È un’esperienza fantastica lo sport di squadra, senza ombra di dubbio, anche estremamente formativa sul piano relazionale. Il ruolo degli adulti – tutti, non parlo solo dei genitori, ma anche dei mister, dei dirigenti – andrebbe un attimo rivisto. La genitorialità oggi è in crisi, ma è anche molto raro trovare nelle società sportive del personale qualificato dal punto di vista pedagogico. Sono quasi tutti i dopolavoristi che lo fanno per passione. Lì, invece, avresti modo di cogliere le fragilità dei ragazzi. Il problema è che nel passaggio verso società magari più ambiziose comincia una maggiore competizione interna, sui ruoli, su chi gioca di più e chi gioca di meno, chi vuole mettersi in luce dentro la squadra.

La genitorialità oggi è in crisi, ma è anche molto raro trovare nelle società sportive del personale qualificato dal punto di vista pedagogico. Sono quasi tutti i dopolavoristi che lo fanno per passione. Lì, invece, avresti modo di cogliere le fragilità dei ragazzi

Wu Ming 4

Tuo figlio ha letto il libro?

Sì, mentre lo scrivevo. Non ha fatto molti commenti, è uno di poche parole, ma credo che abbia colto un aspetto fondamentale. Mi ha, infatti, raccontato che un suo ex compagno di squadra, uno dei ragazzini con cui è cresciuto sul campo di calcio, a cui avevo regalato una copia, dopo averlo letto gli ha chiesto come mai in copertina c’è un bambino con la maglia numero 6, numero che non era il suo. Mio figlio gli ha risposto: “Ma quello non sono io”. Ecco, mi sembra che abbia colto il senso, che appunto ho cercato di scrivere non la nostra storia, ma una storia che potenzialmente ne richiama tante altre. Lui ora fa altro, il calcio non lo interessa più e io dico di essere finalmente fuori dalla “dipendenza” che ti porta questo mondo. Però quanto è bello, lo dico nel libro, vedere i bambini che giocano a pallone. È una di quelle cose che ti riconciliano, prima che con il calcio, con la vita stessa.

Foto di Adrià Crehuet Cano su Unsplash 

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