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Lavoro & Disabilità

Zero donne assunte: lo strano caso della Campania

La legge sul diritti al lavoro delle persone con disabilità compie 25 anni. La nuova relazione al Parlamento nel 2021 conta 775mila iscritti alle liste del collocamento obbligatorio, 41mila assunzioni e 37mila avviamenti al lavoro. Le scoperture sono 162mila. Il caso Campania: su 3mila assunzioni nel biennio 2020/21, le donne assunte sono zero. L'analisi di Alberto Fontana

di Sara De Carli

Sono passati 25 anni dall’approvazione della Legge 12 marzo 1999, n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” e la XI Relazione al Parlamento certifica – ce ne fosse bisogno – che la strada da fare è ancora tantissima. Il periodo sotto esame è (sigh) il biennio 2021/2021, quello segnato dal Covid-19. «Intanto osservo che le politiche attive del lavoro si fanno e sono efficaci quando hai a disposizione una analisi puntuale e congiunturale dei dati: con uno scarto di tre annualità, fai fatica. Puoi solo fotografare le mancanze. Ma che cosa stia succedendo adesso, a livello nazionale è impossibile saperlo», commenta Alberto Fontana, presidente di Fondazione Serena e di Fondazione Aurora, direttore di Spazio Aperto, cooperativa sociale milanese che ha 40 anni di lavoro su questo tema.

«Comunque nessuna sorpresa. Teniamo conto che parliamo degli anni del Covid, in cui la legge 68 è stata sospesa. Purtroppo ancora dopo 25 anni in Italia la verità è che tutto quello che afferisce al lavoro per una persona con disabilità ha ancora molto a che fare con l’obbligatorietà. Il diritto cioè è esigibile solo nella misura in cui c’è una obbligatorietà: se non sei obbligato, l’inserimento lavorativo di una persona con disabilità non lo fa ancora nessuno o quasi. Il lavoro da fare è ancora culturale». Il punto cruciale per Fontana è che «per le aziende l’inserimento di una persona con disabilità è un “incubo culturale”, è un elemento di disorganizzazione: mentre la verità – non lo diciamo per partito preso ma in base a solide esperienze –la capacità di accoglienza di una persona con disabilità rende migliore l’ambiente di lavoro per tutti».

Ancora dopo 25 anni, la verità è che se non c’è un obbligo, l’inserimento lavorativo di una persona con disabilità non lo fa ancora nessuno o quasi

Alberto Fontana

Il caso Campania: zero donne assunte

Una sorpresa a dire il vero c’è, almeno giornalisticamente. Ed è clamorosa. In Italia fra le assunzioni nel privato dalle liste del collocamento mirato, la quota femminile si attesta attorno al 40% (42% nel 2020 e 43% nel 2021). Tuttavia negli ultimi due anni osservati dalla relazione, in Campania non è stata assunta nemmeno una donna dalle liste del collocamento mirato: zero nel 2020 e zero nel 2021. Gli uomini invece sì, quelli sono stati assunti: 3.031 nel biennio (1.512 nel 2020 e 1.519 nel 2021), su 121.331 iscritti alle liste del collocamento mirato. Gli unici altri territori in cui nel biennio si è registrata una sproporzione netta fra donne e uomini assunti sono il Lazio nel 2020 (78 donne assunte dalle liste, pari al 5% degli assunti dalle liste del collocamento mirato, che però nel 2021 registra un “normalizzato” 41% di donne assunte) e l’Umbria, ove le donne assunte sono state il 10% nel 2020 (25 su 245) e il 7% scarso nel 2021 (22 su 333 assunzioni).


I posti disponibili

A livello nazionale, nel 2020 sono stati 114.846 i datori pubblici e privati con l’obbligo di legge di assunzione di una persona con disabilità che anno inviato la propria dichiarazione. La relativa quota di riserva complessiva era di 524.400 unità, delle quali il 29,5% costituita da posizioni scoperte. Per il 2021, i datori di lavoro diventano 120.803, per una quota di riserva di oltre 540mila unità, nella quale risultano 162.454 scoperture: posti che dovrebbero per legge vedere al lavoro altrettante persone con disabilità e che invece sono rimasti non occupati. Nel 2018 le scoperture erano oltre 145mila.

Nel 2021 la quota di riserva era di oltre 540mila unità, con 162.454 scoperture: posti che dovrebbero per legge vedere al lavoro altrettante persone con disabilità e che invece sono rimasti non occupati

A fronte di ciò, le sanzioni disposte dagli Ispettorati territoriali del lavoro dal 1° gennaio al 31 dicembre sono state 327 nel 2020 e 141 nel 2021.

La distribuzione geografica della quota di riserva italiana mostra come la regione Lombardia, con una media annuale di circa 123mila posti conteggiati, pari al 23% dell’intero Paese, sviluppi più dell’intero Sud Italia, Isole comprese (18% del totale) e delle regioni centrali (21%).


«Anche questa volta colpisce la percentuale di scoperture nella Pubblica Amministrazione. Uno dei problemi è che se nelle aziende private è chiaro che la responsabilità di realizzare l’inserimento lavorativo è del legale rappresentante, nella Pa non viene indicato di chi è la responsabilità, non c’è una persona a cui chieder conto: questo è un freno», annota Fontana. Di contro invece, «il fatto che dal 1° gennaio 2022 le sanzioni siano state adeguate e portate a un’entità tale per cui oggi non c’è più “convenienza” per un’azienda a eludere l’obbligo, come in passato, sta stimolando la partecipazione. I dati regionali dicono che qualcosa si sta muovendo».

Alberto Fontana


Le persone in cerca di occupazione

Le persone con disabilità in cerca di una occupazione e, a tal fine, iscritte agli elenchi competenti per il collocamento mirato risultavano 794.937 nel 2020, scese a 774.507 nel 2021. Di essi, 432.950 sono iscritti agli elenchi di Sud e Isole (dato 2021). La presenza di donne è inferiore agli uomini in entrambe le annualità: 331.238 nel 2020 e 323.350 nel 2021. Gli stranieri iscritti negli elenchi del collocamento mirato nel 2020 sono 182.459 mentre nel 2021 sono 158.590. Le nuove iscrizioni nel corso del 2020 non hanno superano le 53mila registrazioni (inferiori di oltre il 40% all’annualità precedente) per poi crescere nuovamente nel 2021 a 85mila.

Non rientrano nell’area disabilità ma sono sempre iscritte alle liste per il collocamento obbligatorio due categorie che ci piace qui citare: gli orfani per crimini domestici (0 iscritti nel 2020 e 3 iscritti nel 2021) e i care leavers (17 nel 2020 e 75 nel 2021).

Bassa scolarità

Tra le caratteristiche degli individui iscritti, la relazione al Parlamento segnala un livello medio basso di scolarità. «Paghiamo il mal funzionamento della scuola e dei percorsi formativi e sono contento che nella relazione questo venga sottolineato con forza. Questo va detto. La persona in condizione di disabilità è una persona che ha meno possibilità di accedere a istruzione e questo fa la differenza per l’accesso al mondo del lavoro perché rende le persone con disabilitò meno competitive», afferma Fontana. I dati dicono che il 37% degli iscritti alle liste del collocamento mirato ha al massimo la licenza media o il diploma di qualifica professionale, più un altro 13% che ha solo la licenza elementare: significa che una persona su due non ha nemmeno un diploma, mentre i laureati sono il 4%.

«L’informatica e la tecnologia, la trasformazione che stiamo tutti vivendo, per certi versi rende più acuto il problema. Sappiamo tutti quanto oggi conti la formazione nel mondo del lavoro: se la formazione non c’è, questo pesa tantissimo nel mantenere bassi i livelli di occupazione delle persone con disabilità. L’impossibilità di accesso qui non è determinata da qualcosa che è riconducibile alla disabilità, quanto al percorso di formazione. È da qui che dobbiamo ripartire», dice Fontana.

Sappiamo tutti quanto conti la formazione: se la formazione non c’è, questo tiene bassi i livelli di occupazione. L’impossibilità di accesso al mondo del lavoro in questo caso non è determinata dalla disabilità, quanto dal percorso di formazione. È da qui che dobbiamo ripartire

Alberto Fontana

Le assunzioni: il calo rispetto al pre-Covid e la questione donne

I patti di servizio personalizzato previsti dall’art. 20 del D.lgs.150/2015 e stipulati nel corso del 2020 sono stati oltre 38mila, cresciuti a 41mila nell’anno seguente. Gli avviamenti al lavoro totali, comprensivi dei comparti pubblico e privato in Italia, sono stati 27.986 nel 2020 (di cui 10.493 donne) e 37.148 nel 2021 (di cui 16.372 donne): il calo rispetto al 2019 (anno pre-Covid) è rispettivamente del 35% e del 13%. Gli avviamenti al lavoro presso datori di lavoro pubblici e privati di persone iscritte al collocamento mirato comunicati sono stati infatti 28mila nel 2016, quasi 35mila nel 2017, 39mila nel 2018 e 43mila nel 2019.

Gli avviamenti al lavoro nel comparo privato sono stati 26.957 nel 2020 e 36.024 nel 2021. «Un segmento crescente degli avviamenti si indirizza verso le aziende non sottoposte ad obblighi di assunzione, che rappresentano rispettivamente il 10,3% e l’11,4% nel biennio. Si tratta di datori di lavoro che, pur non avendo vincoli di legge, procedono con l’assunzione di persone con disabilità iscritte agli elenchi, beneficiando in taluni casi degli incentivi previsti dalla normativa e offrendo opportunità di lavoro che mostrano il sistema del collocamento mirato permeabile a soluzioni estendibili al mercato del lavoro aperto», scrive la relazione.

Le tipologie dei prestatori d’opera richieste con più frequenza nel biennio risultano quelle di impiegato (31% e 34%) e operaio (26% e 28%). La componente femminile rappresenta, nei profili impiegatizi, la maggioranza. Gli avviamenti su richiesta nominativa (modifica della legge 68 introdotta con il Jobs Act  nel 2015) sono stati 19.934, quelli in base alla graduatoria 339 (di cui 110 “secondo l’ordine di graduatoria”). Gli avviamenti degli iscritti nell’elenco del collocamento mirato presso datori di lavoro pubblici sono stati 1.029 nel 2020 e 1.124 nel 2021: appena il 3,7% del totale nazionale nel primo anno e sul 3% nel successivo.

Gli avviamenti al lavoro sono stati 37.148 nel 2021 (-13% rispetto al pre-Covid). Le assunzioni sono state 41.323 (-29% rispetto al 2019). Sei volte su 10 il contratto è a tempo determinato, anche nella Pubblica Amministrazione. La PA brilla invece per l’assunzione di donne

Le assunzioni sono state oltre 32mila nel 2020 (32.778, di cui 13.695 donne, pari al 41,8%) e 41mila nel 2021 (41.323, di cui donne 17.777, pari al 43,0%): cifre che si discostano significativamente dalla performance del collocamento mirato nel 2019, ante-Covid, con 58.131 assunzioni tra settore pubblico e privato. Il calo è del 44% nel 2020 e del 29% nel 2021.

La tipologia contrattuale prevalente è quella a tempo determinato (59% delle registrazioni in entrambe le annualità), mentre il ricorso al tempo indeterminato si limita al 25-26% delle assunzioni. Gli enti pubblici coprono il 9% delle assunzioni per entrambe le annualità osservate, mentre per quanto riguardo le tipologie contrattuali adottate, si rilevano percentuali analoghe tra pubblico e privato (28% e 30% di tempi indeterminati nel biennio per il pubblico impiego), perdendo una delle peculiarità delle amministrazioni pubbliche le quali, in passato, assicuravano maggiore solidità nella durata del contratto.

Resta invece una marcata distinzione relativa alle assunzioni femminili, per le quali i datori di lavoro pubblici mostrano maggiore attenzione, a vedere i dati distinti per genere. Nel 2020 il 64% degli ingressi nelle PA è coperto da donne con disabilità, con valori che raggiungono il 70% per i contratti a tempo determinato.

In generale, le assunzioni di stranieri iscritti nell’elenco del collocamento mirato, presso datori di lavori privati, sono stati 4.465 nel 2020 e 6.524 dell’anno successivo. Oltre il 60% di essi sono cittadini comunitari.

Contratti a tempo determinato: il non rinnovo è la prima causa di cessazione

Le informazioni che pervengono dai servizi per il collocamento mirato italiani mostrano un totale di risoluzioni nel settore privato pari a 25.069 casi nel 2020, che diventano 28mila nell’anno successivo. La quota maggiore di risoluzioni si riferisce alla tipologia di contratti a tempo determinato (49% nel 2020 e 46% nel 2021). Le percentuali di lavoratrici coinvolte, per le tipologie definite, non superano generalmente il 40%. Le interruzioni dei contratti a tempo indeterminato sono percentualmente in numero inferiore nel biennio (rispettivamente il 31% e il 33%). Indagando i motivi di risoluzione del rapporto di lavoro privato registrati nel biennio, si evince che la causa prevalente è rappresentata dalla cessazione del termine nei contratti a tempo determinato (circa il 30%, pari a 8.125 nel 2021), seguita dalle dimissioni ordinarie (7.796 nel 2021, circa il 28%). Nella Pubblica amministrazione, si registrano 1.533 risoluzioni nel 2020 e 1.882 nel 2021, con un coinvolgimento di contratti a tempo determinato coinvolti che oscilla tra il 67% nel primo anno e il 70% in quello successivo.

Un altro elemento che colpisce – dice Fontana – «è il fatto che l’occupazione delle persone con disabilità spesso ha una caratteristica: è a tempo determinato. Quindi oltre alla difficoltà dell’inserimento nel mondo del lavoro, poi c’è l’elemento di precarietà. Quando un rapporto di lavoro cessa, quasi una volta su tre è perché il contratto a tempo determinato non viene rinnovato. Questo ovviamente ha conseguenze sulla possibilità di costruzione di un percorso di vita indipendente».

L’occupazione delle persone con disabilità ha una caratteristica: è a tempo determinato. Quindi oltre alla difficoltà dell’inserimento nel mondo del lavoro, c’è l’elemento di precarietà

Alberto Fontana

La chiamata nominativa

L’introduzione della chiamata nominativa è una delle novità più recenti del rapporto fra persone con disabilità e ondo del lavoro. «Questa opzione ha sollevato le aziende dalla chiamata numerica, che non è stata abrogata ma che sostanzialmente non viene più utilizzata, quella per cui “devi assumere il primo in lista”», ricorda Alberto Fontana. In questo modo «tendenzialmente si rafforza un rapporto di lavoro più stabile, perché l’azienda sceglie un lavoratore specifico, in base alle sue caratteristiche, alle sue competenze, al profilo. I dati relativi alla mancata conferma, in moltissimi casi, dei contratti a tempo determinato dicono però che il problema della stabilità dei contratti non è stato risolto. Inoltre questa opzione ha acutizzato il fatto che le persone con caratteristiche di maggiori complessità o che pagano ancora un maggiore stigma e che quindi risultano più difficili da collocare, con la chiamata nominativa hanno forse ancora più difficoltà. Qui, torno a dire, la svolta è culturale: per le aziende non è solo un tema di responsabilità ma di credere che la presenza di una persona con disabilità migliora l’ambiente di lavoro per tutti».

Foto Pexels, Marcus Aurelius


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