Cooperazione & Relazioni internazionali

In Italia gli stranieri più istruiti non restano

In molte città italiane questa settimana è cominciata la scuola, il miglior strumento e luogo di integrazione per gli stranieri di qualsiasi provenienza. Funziona così in tutta Europa? La situazione fotografata da Eurostat

di Donata Columbro

Sono 121mila i migranti e i rifugiati arrivati sulle coste italiane nel 2015, 432mila in Europa secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni. Per la maggior parte di loro l’Italia è solo un territorio di transito, ma chi rimane trova un paese accogliente che favorisce la loro integrazione nella nostra società? Secondo i nuovi dati Eurostat sulle migrazioni e l'inclusione sociale non siamo “un paese per stranieri”: chi ha un livello di istruzione più alto non sceglie di vivere qui, mentre i giovanissimi che restano hanno un alto tasso di abbandono del percorso scolastico.

L’educazione è uno dei fattori più importanti per l’integrazione dei migranti nella società europea. Non fornisce solo le competenze per avere successo nel mercato del lavoro, ma ne favorisce la partecipazione attiva e li aiuta a percepire come proprie la cultura e i valori della società in cui hanno scelto di vivere.

I nuovi dati di Eurostat provano a misurare l'integrazione dei migranti usando gli indicatori sull'educazione e l'inserimento dei giovani stranieri nella società attraverso i percorsi professionali ed educativi proposti dai singoli paesi europei.

Cosa dicono i numeri
Tra la popolazione non europea residente in Europa prevale un livello di educazione basso: per il 43,9% dei cittadini di 18-64 anni il massimo livello di istruzione raggiunto è quello primario di base, mentre tra i “nativi” il tasso è del 25%.

Un terzo dei cittadini non europei dai 30 ai 34 anni ha un’istruzione di tipo universitario. In diversi paesi europei gli stranieri hanno un livello di istruzione più alto che i nativi, ma non in Italia. I più istruiti scelgono l'Irlanda, il Lussemburgo e il Regno Unito, mentre in Italia c'è la più alta percentuale di stranieri con basso livello di istruzione.

Secondo gli obiettivi di Europa 2020, almeno il 40% dei cittadini europei dai 30 ai 34 anni dovrebbe completare l’istruzione universitaria entro il 2020. Nel 2014 la percentuale di cittadini non europei con una laurea era del 30,2%, mentre per i “nativi” era del 38,5% e del 39,3 per gli stranieri di altri paesi europei.

In Grecia, Italia, Spagna, Malta e Portogallo tra i cittadini di 25-54 anni, c'è la più alta proporzione di stranieri non europei per cui il massimo livello di istruzione raggiunto è quello primario. Italia, Slovenia e Grecia hanno la più bassa percentuale di stranieri non europei con un percorso universitario.

In Slovenia, Grecia, Finlandia, Spagna e Paesi Bassi i dati mostrano che l'integrazione non diminuisce le disparità tra nativi e stranieri: se il 34,3% dei nativi in Slovenia ha raggiunto il livello universitario, tra gli stranieri la cifra è del 13,2%. In Grecia il differenziale è di 18,5 punti, 14,6 punti in Finlandia, 13,3 in Spagna e 12,5 nei Paesi bassi. La tendenza opposta si osserva in Polonia, Lussemburgo, Malta, Bulgaria e Regno Unito, dove la percentuale di stranieri arrivati all'università è più alta rispetto ai nativi.

La Slovenia, la Grecia e l’Italia hanno il record di più bassa percentuale di stranieri non EU con un percorso universitario: parliamo del 10%, 11,9% e 12,1%.

Abbandono scolastico e integrazione nel mercato del lavoro
Gli stranieri nati fuori dall’Ue hanno il doppio delle probabilità di abbandonare la scuola rispetto ai nativi. Un cittadino non europeo su 4 tra i 18 e i 24 anni ha lasciato l’educazione o il percorso formativo in modo prematuro, rispetto al 10% dei nativi e al 19% degli stranieri nati altri in stati europei. Nel 2014, tra gli stati membri per cui erano disponibili i dati, il più alto tasso di abbandono del percorso educativo e formativo degli stranieri si è registrato in Spagna (38%), Italia (33%) e Grecia (28%).

Secondo gli obiettivi di Europa 2020, la strategia decennale per la crescita e l'occupazione che l'Unione europea ha varato nel 2010, il tasso di studenti che lasciano la scuola dovrebbe scendere sotto il 10% entro il 2020.

Generazione “neet”, ovvero "Not (engaged) in Education, Employment or Training": più del 20% dei cittadini non europei più giovani – tra i 15 e i 24 anni – non studia e non lavora. Tra i “nativi” la percentuale è del 12%, per gli europei di altri stati è del 15,5%.

Il gap di genere è più ampio tra gli stranieri: il 23,8% delle donne contro il 17,6% degli uomini per i non europei, e 17,9% contro il 12,7% per gli stranieri europei.

È di qualche giorno fa il rapporto di Save the children sulla povertà educativa in Italia, che ha analizzato la mancanza delle competenze necessarie per uno sviluppo adeguato dei nostri studenti. Più di 1 adolescente su 3 in famiglie con un basso livello socio-economico e culturale non raggiunge i livelli minimi di competenze in matematica e quasi 1 su 5 in lettura. Quando si tratta di “accoglienza migranti” parlare di “quote” non basta: la nostra scuola è pronta a garantire un vero futuro ai fratellini di Aylan?


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