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Contro la povertà educativa il Fondo è un’occasione da non perdere

Secondo l'associazione che da oltre 15 anni è impegnata nel difendere i diritti dei bambini e delle donne vulnerabili in Italia e nel Sud del Mondo il Fondo presentato è «un primo passo avanti nel riconoscimento di un problema che investe l'Italia più di altri Paesi europei». I dati su educazione e cultura

di Antonietta Nembri

«Un primo passo avanti nel riconoscimento di un problema che investe l’Italia più di altri Paesi europei» con queste parole WeWorld ha sottolineato la presentazione a Roma del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile (su Vita ne abbiamo scritto qui e qui). Da parte sua WeWord che da oltre 15 anni è impegnata nel difendere i diritti dei bambini e delle donne vulnerabili in Italia e nel Sud del Mondo ricorda che il problema della povertà educativa minorile se non affrontato «ci allontana dagli obiettivi di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva che ci siamo dati in seno alla Strategia Europa 2020. Un problema che cerchiamo di affrontare da anni sul campo con il nostro progetto Frequenza200 che si concentra nella lotta della dispersione scolastica».

Il fondo, approvato in via sperimentale, sarà erogato sotto forma di credito d’imposta alle fondazioni bancarie impegnate sul tema e fino a un ammontare complessivo di 100 milioni di euro in tre anni. L’obiettivo è contrastare la deprivazione educativa di tutti quei bambini, bambine e adolescenti che non possono sviluppare le proprie capacità, competenze e aspirazioni per cause di vario tipo (individuali, famigliari e di contesto).

L’Italia è oggi il fanalino di coda su diversi aspetti legati all’educazione, primo fra tutti quello relativo alla percentuale di spesa pubblica destinata all’istruzione: 7,9% a fronte di una media europea del 10,2% (i dati completi dall’index di WeWorld sono in allegato). Ma anche per quella destinata alla cultura: 1,4% a fronte del 2,1% medio Ue. «Destinare risorse finanziarie all’educazione e alla cultura significa investire sul sistema scolastico (ad esempio offrendo più servizi per l’infanzia, migliori infrastrutture, etc.) e sul contesto educativo esterno alla scuola (l’offerta di attività extracurricolari e culturali, come l’andare a teatro o avere accesso ai media digitali) – ricorda in una nota WeWorld – . In una parola, su tutti quegli elementi che possono incidere sulle possibilità di crescita cognitiva, intellettiva e culturale dei bambini e delle bambine».

Non bisogna neppure dimenticare che le opportunità educative dei bambini dipendono anche dai contesti famigliari di provenienza. I dati sull’educazione che l’Eurostat ha aggiornato di recente e pubblicato (aprile 2016) ci dicono che in Italia la percentuale di persone tra i 30 e i 34 anni con un’istruzione terziaria si attesta al 25,3%: solo una persona su 4! «Il nostro Paese – sottolineano ancora da WeWorld – è agli ultimi posti in Europa, assieme a Romania, Malta, Slovacchia. In tutti gli Stati membri dell’Unione tale percentuale è aumentata dal 2002 ad oggi, e in ben 12 paesi dell’Ue il target2020 del 40% è stato raggiunto e superato».

Non solo continua la nota dell’organizzazioni: «Una bassa percentuale di persone laureate ci dice anche altro. È banale ma va tenuto presente che la mancata istruzione terziaria dipende in parte dall’elevato tasso di abbandono scolastico nell’istruzione secondaria». I dati Eurostat collocano l’Italia tra i paesi dell’Unione che hanno fatto i progressi migliori per quanto riguarda i tassi di abbandono scolastico dei giovani 18-24enni (passando dal 20,4% del 2006 al 14,7% del 2015).
Ma se si sommano i tassi di abbandono nella scuola secondaria di I e II grado (considerando quindi gli studenti che non ottengono il diploma nei due cicli), si nota che il fenomeno è molto più grave e diffuso si quanto rilevato dall’Eurostat, attestandosi al 30% (Checchi, in WeWorld 2014).
A guardare ai dati disaggregati, si può notare che in Italia l’abbandono scolastico non riguarda tutti allo stesso modo: è più diffuso tra gli studenti che tra le studentesse, più nelle zone del Mezzogiorno che nel nord Italia. L’abbandono scolastico ha costi enormi per la collettività. La ricerca Lost (in allegato) ha stimato quelli economici: tra il 1,4% e il 6,8% del PIL (quindi da 21 miliardi di euro a 106 miliardi di euro, a seconda della crescita del Paese) (ne avevamo parlato in un articolo dell’ottobre 2014).

Ma vi sono anche i costi sociali: un Paese poco istruito, dove lo stato non investe in educazione e i giovani abbandonano prematuramente gli studi non riuscirà a garantire la crescita e il benessere per tutti. Cosa ancora più grave, non rispetterà quel principio etico che tutti gli Stati delle Nazioni Unite – compresa Italia – si sono dati, quello del Nessuno resti indietro (No one left behind).
Iniziative di contrasto all’abbandono scolastico promosse in collaborazione tra Terzo settore, scuole ed enti locali, in Italia ci sono e tra queste vi è la rete promossa da WeWorld Frequenza200

Ora conclude la nota di WeWorld con «il Fondo destinato ad affrontare la povertà educativa l’Italia ha l’opportunità di affrontare alla radice il problema investendo su interventi di scuole, enti locali e terzo settore che promuovano l’educazione di qualità inclusiva per tutti». Si tratta insomma di un’occasione da non perdere e da gestire bene valorizzando le esperienze positive già in atto che hanno elaborato una metodologia di lavoro nazionale.

In apertura foto di Xavier Leoty/Afp/Getty Images