Welfare & Lavoro

Per uscire dalla povertà occorre “allargare la cornice”

I dati appena pubblicati dall'Istat sulla povertà in Italia confermano la assoluta necessità di un'attenzione privilegiata per bambini e ragazzi. Vita prosegue nella raccolta di buone pratiche e riflessioni, in vista dell'avvio del nuovo Fondo di contrasto alla povertà educativa. Per Albero della Vita la strada è quella di attivare le persone, dare occasioni e stimoli nuovi: «la misura dell’efficacia delle azioni non è quanti inserimenti lavorativi abbiamo fra i neet, ma il cambiamento nel modo di relazionarsi con la vita, nel guardare le cose in modo proattivo».

di Sara De Carli

«Le stime che l’ISTAT ha presentato sulla povertà, riferite all’anno 2015, mostrano un quadro molto preoccupante per l’Italia. Sono in totale 4 milioni 598 mila le persone in povertà assoluta, il dato più alto dal 2005. I soggetti più sfavoriti sono le famiglie con 2 o più figli, soprattutto se minorenni, e le famiglie straniere. Nel 2015 i minorenni in povertà assoluta erano uno su dieci, il 10,9%, pari a 1 milione 13mila: dieci anni prima (2005) erano solo il 3,9%. A peggiorare rispetto al 2014 sono le condizioni delle coppie con 2 figli (in questa fascia i poveri passano dal 5,9 all’ 8,6%) e delle famiglie di soli stranieri (dal 23,4% al 28,3%), in modo più marcato al Nord (dal 24% al 32,1%). Restano elevati i livelli di povertà assoluta per coppie con tre o più figli (13,3%), con tre figli minorenni l’incidenza sale al 18,3%»: Ivano Abbruzzi è presidente della Fondazione L'Albero della Vita, che da quasi vent’anni si occupa di infanzia in Italia.

Cosa ci dicono i dati appena pubblicati dall’Istat?
È consapevolezza condivisa a tutti i livelli che il lavoro di contrasto alla povertà compiuto fino a oggi non ha aiutato le famiglie a uscire dalla povertà, a causa di un approccio assistenziale che non ha previsto il coinvolgimento attivo degli adulti e dei ragazzi. D’altra parte però è finalmente maturata una visione che nasce dall’aver compreso la necessità di partire dalla persona, di prevedere un accompagnamento volto ad aiutare l’espressione delle sue capacità, il rafforzamento di un nucleo di risorse personali indispensabili a uscire da una condizione di povertà in modo duraturo. I nostri interventi di aiuto alle famiglie in povertà con bambini del programma "Varcare La Soglia" si basano su questa idea di fondo. La misura nazionale di contrasto alla povertà SIA, in partenza dopo l’estate, carica tutto il Paese di aspettative: la responsabilità nei confronti delle famiglie e di un futuro di benessere dei loro figli minorenni è altissima. I territori e i loro servizi sociali sono al centro di questa nuova sfida, in cui a fare la differenza saranno le condizioni infrastrutturali create dai servizi per permettere ai professionisti della relazione di aiuto di fare realmente un lavoro di qualità nell’incontro con le persone, previsto nel progetto personalizzato. Sarà inoltre necessario appropriarsi di una nuova consuetudine: misurare l’esito del lavoro svolto, comprendere il reale apporto dell’aiuto fornito alle persone e l’impatto sociale che esso aiuto ha, al di là della singola persona a cui viene fornito. La componente valutativa sarà fondamentale anche come evidenza per l’ampliamento del SIA a quella parte di famiglie con bambini in povertà assoluta che non potranno accedere alla misura in questa prima fase.

In che modo L’Albero della Vita si sta occupando della povertà dei minori?
L’Albero della Vita ha la radice storica del suo impegno nella fragilità familiare forte, ma ormai da 6/7 anni lavoriamo nelle periferie su povertà, minori e mancanza di opportunità. Abbiamo vari progetti di accompagnamento ai ragazzi, volti a dare opportunità in termini di tempo libero, gioco, sport, opportunità che la povertà materiale delle loro famiglie gli negava. L’obiettivo di fondo però è quello di promuovere uno sguardo diverso verso il loro futuro, facendo proposte diverse da quelle che l’ambiente familiare o del loro quartiere è in grado di fare. In particolare dal 2014 a Milano e Palermo, ma in avvio anche a Genova, Roma e Catanzaro, abbiamo il programma "Varcare la soglia", rivolto a famiglie con figli, di cui almeno uno nella fascia 0-6 anni. È un programma che ci vede gestire spazi fisici dove le famiglie vengono incontrare. L’occasione magari è la distribuzione di generi alimentari, ma offriamo anche un accompagnamento che è il cuore dell’intervento, crediamo molto nel welfare generativo: proposte per le neomamme, attività con i bambini, accompagnamento nella ricerca di un’occupazione… un lavoro integrato che punta ad attivare le famiglie, poiché l’uscita dalla povertà non può che partire dalla famiglia. Accanto al progetto abbiamo fatto un lavoro di ricerca, raccolto nella pubblicazione “Io non mi arrendo”, con la medesima chiave di incontrare le famiglie e chiedere alla famiglia di quali aiuti è soddisfatta e di quali no, cosa possono fare loro… È un metodo diverso, è una restituzione di responsabilità alla famiglia stessa.

È consapevolezza condivisa a tutti i livelli che il lavoro di contrasto alla povertà compiuto fino a oggi non ha aiutato le famiglie a uscire dalla povertà, a causa di un approccio assistenziale che non ha previsto il coinvolgimento attivo degli adulti e dei ragazzi. Però è finalmente maturata una visione che nasce dall’aver compreso la necessità di partire dalla persona, di prevedere un accompagnamento volto ad aiutare l’espressione delle sue capacità, il rafforzamento di un nucleo di risorse personali indispensabili a uscire da una condizione di povertà in modo duraturo.

Ivano Abbruzzi

Cosa è emerso?
I bisogni e i vissuti sono diversi da famiglia a famiglia: la sottolineatura della carenza di servizi di sostegno è stata la parte interessante, per certi versi la conferma a ciò che sappiamo, non sono temi nuovi, ma qui abbiamo la bellezza delle voci delle persone. Sappiamo che serve meno assistenzialismo e più promozione della persona. Ora abbiamo visto anche che le famiglie, tutte, anno potenzialità inespresse e che la spinta a uscire dalla povertà è più forte nelle famiglie con figli. Abbiamo visto anche tante persone che si aiutano fra loro e lo raccontano. Creare relazioni è il punto di partenza per uscire dalla povertà.

Per la prima volta si sta lavorando anche a un fondo sulla povertà educativa minorile…
Questo Fondo è una bellissima opportunità e per utilizzarlo in maniera efficace non si può agire su una sola leva, in quanto la povertà educativa è un fenomeno multidimensionale. In questo senso l’aiuto educativo a bambini e ragazzi deve poter favorire le loro competenze trasversali (life skills) ancora prima delle competenze scolastiche e far fiorire le loro aspirazioni, al fine di rafforzare la capacità di relazione con sé stessi e con gli altri necessarie per la crescita in ogni campo della vita. L’espressione e la raccolta del punto di vista di bambini e ragazzi dovrà sempre essere considerato. Parallelamente anche il sistema famiglia deve essere rafforzato e aiutato nelle proprie competenze genitoriali ed educative, favorendo il potenziale generativo per sé, in una spirale di comportamenti virtuosi a beneficio anche delle proprie comunità. Tale approccio mentre contrasta le diverse cause di povertà mira a prevenire l’innesco di ulteriori disagi e difficoltà.

Forse però è bene fare un passo indietro e provare a definire cos'è la povertà educativa.
Dal nostro punto di vista è la mancanza di categorie di lettura della realtà, capaci di innescare nella persona un comportamento proattivo. È il fatto che la persona non si rende conto in maniera appropriata della sua condizione e di come potrebbe migliorarla. Il tema di fondo è che le difficoltà che le persone hanno, oggi più che mai, nascono dalla difficile interpretazione della realtà, dalla mancanza di categorie, dall’incapacità di vedere le opportunità che si nascondano dietro le difficoltà. Non vedi “come” ce la puoi fare perché non sei abituato a guardare. Allora l’obiettivo è far vedere che si può uscire dalla povertà. Anche se non c’è lavoro, anche se non sono formato, anche se non non non… In una condizione educativa “normale”, dove i bambini e i ragazzi hanno avuto accesso a varie esperienze, a mondi diversi, hanno incontrato pensieri proattivi, la capacità di attingere alle proprie risorse interne per migliorare la propria condizione non è così difficile. Invece per bambini che vivono in contesti dove queste possibilità educative non vengono fornite, la povertà significa innanzitutto incapacità di vedere una possibilità di cambiare il proprio futuro. Per uscire dalla povertà la persona si deve attivare, non c’è alternativa, nessun intervento assistenziale basterà mai. C’è sempre un gap tra la condizione di partenza e la proposta, noi dobbiamo colmare quel gap, far sì che la persona sia pronta a cogliere le opportunità che possono apparire o crearsele. Tanti servizi oggi non riescono a incontrare le persone che hanno più bisogno perché manca loro persino la capacità di arrivare ai servizi, intesi come prima opportunità. Allora dobbiamo creare sistema di lettura della realtà che metta tutti i bambini e ragazzi nelle condizioni di muoversi e arrivare alle opportunità che la vita nasconde o a crearle.

Tanti servizi oggi non riescono a incontrare le persone che hanno più bisogno perché a queste ultime manca persino la capacità di arrivare ai servizi, intesi come prima opportunità. Allora dobbiamo creare sistema di lettura della realtà che metta tutti i bambini e ragazzi nelle condizioni di muoversi e arrivare alle opportunità che la vita nasconde o a crearle.

Ivano Abbruzzi

Tutto questo come si concretizza nel vostro intervento?
Lavorando con i bambini e ragazzi e con le famiglie, perché ovviamente è una questione che riguarda anche le famiglie. Questi ragazzi hanno una mancanza di accesso alla scuola e a beni culturali, libri, musei, non escono dal loro quartiere, a Napoli c’erano ragazzini che non erano mai stati al mare. La prima parte è portare stimoli di carattere culturale in senso ampio, allargare il loro perimetro culturale, inserire nuovi dati, allargare la cornice. Questo è già tantissimo. Portare i bambini a vedere il mare, fare il corso di vela, portarli in un altro quartiere… è stato bellissimo. Poi li invitiamo a “traslare”. Scopro che c’è “altro” e di conseguenza che posso esplorare. È un lavoro molto importante: l’esperienza deve esser traslata, generalizzata. È tutto nella psiche, si tratta di cambiare le categorie di lettura della realtà. Il lavoro con le famiglie – che è fondamentale, la soluzione alla povertà di un bambino è l’uscita dalla povertà della sua famiglia – è analogo, devi aiutare la famiglia a vedere ce c’è una possibilità diversa, c’è bisogno di scatto culturale, di una iniziativa educativa.

La povertà educativa non si risolve portando il bambino al museo o regalandogli tre libri. Deve esserci un intervento educativo accompagnato da un lavoro serio, reale, perché i bambini inseriscano nella loro dimensione psichica più dati e che sia un lavoro non solo di offerta educativa ma anche psicologico. Il vero cambiamento è cambiare il modo di relazionarsi con la vita, portarli a guardare le cose in modo proattivo.

Ivano Abbruzzi

In base alla vostra esperienza, quali caratteristiche dovrebbero avere le azioni di contrasto alla povertà educativa che stanno per partire grazie a questo nuovo fondo?
Intanto speriamo si riesca ad attaccare il problema a fondo, a non fare solo azioni di superficie, che è il rischio tipico di ogni dispositivo. La povertà educativa non si risolve portando il bambino al museo o regalandogli tre libri. Deve esserci un intervento educativo accompagnato da un lavoro serio, reale, perché i bambini inseriscano nella loro dimensione psichica più dati e che sia un lavoro non solo di offerta educativa ma anche psicologico. Allo stesso tempo portare il bambino a scuola è centrale, ma questo lavoro non finisce nella scuola. bisogna puntare al cambiamento dello schema con cui si guarda la realtà. Non creda che sia una cosa astratta, è qualcosa che si può misurare. Prima vedi una cosa, poi un’altra. Ai ragazzini che hanno fatto il corso di vela con noi a Napoli, è evidente che gli è cambiata la vita. Voglio dire che la misura dell’efficacia non è quanti inserimenti lavorativi abbiamo fra i neet, ma il cambiamento nel modo di relazionarsi con la vita, nel guardare le cose in modo proattivo. Questo è il vero cambiamento.

Ha altre aspettative o speranze specifiche rispetto alla costruzione del bando?
Sarà centrale prevedere che questo Fondo possa agire in sinergia con altri strumenti in essere (es. SIA e FEAD), puntando a generare un effetto complementare e generativo di reale benessere per i bambini e le loro famiglie. Il fondo, nella sua natura sperimentale tesa a comprendere, apprendere e mettere a sistema politiche efficaci, dovrà assicurarsi che l’aiuto fornito generi il risultato desiderato: per adulti e bambini del nucleo familiare, attraverso la misurazione e la valutazione di esito dell’aiuto e di impatto sociale; per la buona salute degli investimenti economici messi in campo. Inoltre, creare reti coinvolte fin dalla progettazione degli interventi permetterà di realizzare pratiche realmente radicate nel territorio e generative di un aiuto multidisciplinare, possibile soltanto grazie all’intervento di tutti gli attori in campo.

Foto di B. Lencioni


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