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Malattie croniche: sempre più lunghi i tempi di attesa

Il 38,3% degli italiani dichiara di avere almeno una patologia cronica, ma i tempi per le visite, le diagnosi, le terapie si allungano sempre più: è quanto emerge dal XV Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità del CnAMC, presentato oggi a Roma

di Redazione

Il CnAMC, Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC), ed è una rete di Cittadinanzattiva, istituita nel 1996. È un esempio di alleanza ì tra Associazioni e Federazioni di persone affette da patologie croniche e rare, per la tutela dei propri diritti. Ogni anno, CnAMC realizza un Rapporto Nazionale sulle Politiche della Cronicità, uno strumento che accende i riflettori sulle numerose criticità che caratterizzano l’assistenza sanitaria e sociale delle persone con patologie croniche e rare e l’impatto di queste sulle famiglie.

Il XV Rapporto, titolato “In cronica attesa”, è stato presentato questa mattina a Roma, al Centro Congressi Cavour. Che cosa emerge dal Rapporto? Emerge «l’attesa, non più così paziente, da parte di chi soffre di una patologia cronica o rara». Servono anni per un diagnosi, mesi per una visita, un esame di controllo o per ricevere un ausilio, giorni al Pronto Soccorso per un posto letto. Per contro, il tempo dedicato alla visita e quindi all’ascolto è sempre più ridotto, le ore dedicate all’assistenza domiciliare ed alla riabilitazione sono troppo esigue.

La variabile-tempo incide moltissimo sulla qualità di vita e di cura delle persone con patologia cronica e rara ed è, ad esempio, uno dei principali motivi per la mancanza di appropriatezza ed aderenza terapeutica. Se si è costretti, infatti, a perdere giorni di lavoro, solo per ritirare un piano terapeutico, può accadere di abbandonare la terapia.

Dal Rapporto, redatto a cura di Tonino Aceti, Maria Teresa Bressi e Sabrina Nardi, emergono alcuni dati interessanti e utili. Vediamoli.

Popolazione

La popolazione residente in Italia nel 2016 è di 60 milioni 656 mila persone, in diminuzione di 139mila unità. Il tasso di mortalità raggiunge il picco massimo dal dopoguerra (10,7 per mille abitanti) ed allo stesso tempo si registra il minimo storico delle nascite (in totale sono state 488 mila, meno 15 mila rispetto l’anno precedente). Siamo anche uno dei Paesi “più anziani” del mondo, al quarto posto nella classifica mondiale. L’Italia non è un Paese per giovani. Lo sbilanciamento in senso negativo del rapporto fra popolazione giovane e popolazione anziana fa sì che, i giovani fra i 25 ed i 34 anni abbiano sempre più difficoltà a trovare un’occupazione e i contratti di lavoro siano sempre più precari.

Malati senza sostegno

Il carico fiscale aumenta e allo stesso tempo non vengono approvate, come accade in altri Paesi, politiche a sostegno della maternità e della famiglia. Il 38,3% degli italiani dichiara di avere almeno una patologia cronica e rimane costante la percentuale di chi dichiara di essere in buona salute (69,9%).

Le patologie più diffuse

La patologia cronica più diffusa, tra quelle prese in esame, rimane sempre l’ipertensione (17,1%), seguita da artrosi/artrite (15,6%) e dalle malattie allergiche (10,1%). Aumenta la percentuale di chi assume farmaci (dal 40,7% del 2014 al 41% del 2015).

Regioni in salute

La Regione dove si trova la maggioranza di cittadini in buona salute è il Trentino Alto Adige, la Regione con il numero minore di cittadini in buona salute è la Calabria. La Sardegna è, invece, la Regione dove c’è il minor numero di persone con patologia cronica (solo il 35,7%) che dichiara di essere in buona salute.

Stili di vita

Le cose non vanno meglio per quanto riguarda gli stili di vita degli italiani, soprattutto per i ragazzi al di sotto dei quindici anni. Per quanto riguarda il tasso di obesità, in questa fascia di età, l’Italia si trova al quindicesimo posto ed al di sopra della media europea, se analizziamo, poi, i dati relativi alla propensione al fumo, l’Italia è addirittura seconda dopo la Bulgaria. Se poi i ragazzi italiani si posizionano agli ultimi posti per il consumo di alcool, rispetto ai loro coetanei europei, si sta diffondendo, soprattutto nella fascia di età fra i 18-24 anni, il pericoloso fenomeno del “binge drinking” (letteralmente «abbuffata alcolica»), che consiste nell’assunzione di 5 o più bevande alcoliche al di fuori dei pasti in un breve arco di tempo, con gravi rischi per la salute e la sicurezza.

Fattori critici

Dal XV Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità emergono alcuni punti e altrettanti spunti di lavoro per le politiche della salute nel nostro Paese. Con forza, ad esempio, emerge la «scarsa considerazione del tempo di cura di chi ha una patologia cronica e rara». Non si interviene, infatti, sul tempo della diagnosi. Si investe troppo poco nella formazione ed informazione del personale sanitario, a cominciare dai
medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, ma anche sulla riduzione dei tempi di attesa per visite ed esami, oltre che nella definizione di percorsi chiari che consentano di intercettare precocemente
i sintomi e indirizzare in modo più efficace e tempestivo verso specialisti giusti, esami ed approfondimenti appropriati.

Non si investe in prevenzione e neanche nella riabilitazione. Non si semplificano le procedure burocratiche, ma al contrario capita che la semplificazione diventi strumento, nei fatti, per ridurre l’applicazione dei diritti, come accade con le domande di invalidità ed handicap. E ancora ci sono casi in cui non si mette in condizione chi cura di dedicare il giusto tempo all’ascolto della persona malata o alla sua assistenza, se pensiamo, ad esempio, a quei reparti ospedalieri dove c’è un infermiere per 30 pazienti o alla logica del minutaggio.


Le persone con patologia cronica e rara si trovano, pertanto, costrette a sopperire a tutte le mancanze utilizzando il proprio tempo e le proprie risorse economiche, pagando fino a 10.000 euro l’anno per l’assistenza psicologica, l’acquisto di farmaci e parafarmaci e la riabilitazione a domicilio e quasi 5.000 euro al mese per pagare la retta della RSA (Residenza Sanitaria Assistita).

Le Associazioni di pazienti si fanno carico, a loro volta, di garantire quella formazione, informazione e prevenzione che il Servizio Sanitario Nazionale oggi non garantisce pienamente. E ancora si occupano di promuovere la ricerca scientifica e farsi veicolo di innovazione.

Che fare?

Cittadinanzattiva – Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici raccomanda alle Istituzioni di mettere in atto 5 attività semplici e prioritarie per aggredire le principali difficoltà che
oggi incontrano le persone affette da patologia cronica e rara e le relative famiglie. Eccole:

1. Attuare una governance del SSN nella quale le Associazioni di cittadini e di pazienti siano finalmente effettivi protagonisti, in particolare attraverso: la loro partecipazione alla Commissione nazionale LEA prevista nella Legge di stabilità 2016; forme strutturate di partecipazione nelle politiche farmaceutiche (al livello nazionale e regionale), come del resto accade al livello europeo con EMA, nonché nei dispositivi medici e in generale in tutte le innovazioni tecnologiche; loro coinvolgimento nelle innovazioni organizzative del SSN, a partire da PDTA, ridisegno dei servizi territoriali, riorganizzazione della rete ospedaliera.
2. Garantire il recepimento e l’attuazione uniforme tanto al livello regionale, quanto a quello aziendale, del Piano nazionale delle cronicità. In particolare Cittadinanzattiva chiede di: attivare la Cabina di Regia nazionale; attivare le Commissioni Regionali, che prevedono la partecipazione delle associazioni di tutela dei malati cronici, per garantire l’attuazione e la valutazione delle azioni e degli obiettivi previsti dal Piano.
3. Garantire percorsi per la gestione corretta delle attese per eseguire visite, prestazioni ed esami, tali da assicurare coerenza con quanto definito dai Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali e compatibilità con le necessità di salute e di vita del singolo.
4. Rendere più semplice la vita complicata delle persone malate e delle loro famiglie. In particolare occorre partire dal semplificare e rendere più omogenee su tutto il territorio le procedure burocratiche, come nel caso di: rilascio del piano terapeutico; richiesta di protesi ed ausili; riconoscimento di invalidità ed handicap; rilascio del Piano Educativo Integrato (PEI) per gli alunni con disabilità ad inizio dell’anno scolastico;
Percorsi e Piani di cura integrati, nella cui definizione siano coinvolti persone con patologia, familiari ed caregiver.
5. Mettere a punto un provvedimento nazionale di riordino del settore farmaceutico e del conseguente accesso alle terapie farmacologiche, con cui si chiariscano con esattezza ruoli, funzioni, tempistiche, responsabilità, partecipazione delle associazioni di cittadini e pazienti nel processo, aspetti regolatori che mettano a sistema sia il ruolo di EMA, sia quello nazionale, regionale e aziendale, al fine di garantire trasparenza delle decisioni.

Insomma, c'è di che rimboccarsi le maniche.