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La società civile in gilet giallo: il filo rosso che unisce Di Maio & Macron

Orizzontali e senza corpi intermedi, i gilet gialli sono la nemesi della "società civile" alla quale Macron chiedeva di essere «più partecipativa e disintermediata» e di «impegnarsi sul campo per far emergere la voce dal basso». Se oggi capiamo a quali forme e a quali perverse mutazioni certi sogni vanno incontro, converrà chiederci - e chiedercelo fino in fondo - se la visione darwiniana della società civile di Macron e quella roussoviana di Luigi Di Maio sono tanto dissimili

di Marco Dotti

«Gilets jaunes, ne faiblissez pas!»: gilet gialli, non mollate! La lettera aperta di Luigi Di Maio, pubblicata il 7 gennaio sul Blog delle Stelle, ha toccato un nervo sensibile. E ha sparigliato le carte nel rapporto fra istituzioni e società civile.

Il messaggio – osserva Jérôme Gautheret su Le Monde, mentre definisce il M5S «movimento antisistema inclassificabile» ancorché alleato dell'«estrema destra» di Matteo Salvini – ha per lo meno «la dote della franchezza». Un messaggio che, ben al di là delle intenzioni del suo autore, svela un paradosso che è comune tanto a Macron, quanto a Di Maio: chi sogna una società civile liberata da corpi intemedi visti come catene oppressive o ha nella manica l'asso di una diversa intermediazione o, prima o poi, è destinato a soccombere davanti a una piena di rabbia e rancore.

Macron: la società civile come una start-up

"Società civile" e "bisogni dei cittadini" erano state tra le espressioni più ricorrenti di Macron durante la sua corsa all'Eliseo. Arrivatoci e finito il rodaggio delle promesse, ecco il risveglio.

L'ideologia macroniana – aveva messo in guardia, inascoltato, una vecchia volpe come Régis Debray – parla di società civile, ma non alla società civile. E, soprattutto, non la ascolta: è cieca ideologia del potere di matrice neoprotestante (qui una nostra analisi). Macron, suggeriva Debray, è un Trump che non sa ancora di esserlo.

Oramai è chiaro che Macron, parlando di (e mai alla) società civile avesse in testa un'idea oleografica da startupper: riunire un po' di manager con la vocazione per la filantropia interessata, un po' di esperti di marketing sociale qualche commercialista e un po' di donne giusto per far numero. E attraverso queste micro élites, disarticolando le rappresentanze per la verità già morenti del terzo settore francese, proporre "soluzioni" a "problemi".

Ma la società è un reticolo di questioni connesse e complesse, non un cumulo di problemi che, come pratiche burocratiche inevase, attendono da un funzionario-salvatore una risposta.

Il governo dei problem solver che creano i problemi

Breve, e non esaustivo, elenco dei passi falsi di Macron nel sociale:

Proprio la mentalità da problem solver è stata fatale a Macron. Un generale senza esercito che, nel suo labirinto di specchi, si è circondato di una casta tecnocratica il cui vero trait d'union è il disprezzo per la societè civile e, a forza di cercare problemi da risolvere, si è trovato a crearne di nuovi.

Una lezione darwiniana per Rousseau

L'ultimo problema, il più grande, perché è un contagio che presto si propagherà all'Europa, è quello dei gilet gialli. «Gilet gialli: ecco la società civile voluta da Macron», titolava Le Nouvel Observateur il 16 novembre scorso.

Orizzontali, disintermediati, senza corpi intermedi, vincitori sui social rispetto all'ultra social En Marche di Macron: i gilet gialli sono a nemesi della "società civile" alla quale il candidato Macron chiedeva di essere «più partecipativa» , diretta e di «impegnarsi sul campo per far emergere la voce dal basso». Salvo poi, da presidente, soffocare ogni richiesta dietro una burocrazia imbellettata da innovazione. Start-up nation, appunto.

Poco prima dell'elezione, teorizzando «l'inutilità dei corpi intermedi», Emmanuel Macron definì il proprio movimento En Mache «un truc darwinien», un trucco darwiniano, e dei suoi comitati locali, che inizialmente dovevano fornire il supporto per la costruzione di nuovi corpi intermedi (ah, la pianificazione!), affermò che quelli peggiori sarebbero scomparsi, facendo emergere altre forme adatte al contesto di una società sempre pronta a mutare.

Se oggi capiamo a quali forme e a quali mutazioni certi sogni vanno incontro, converrà chiederci – e chiedercelo fino in fondo – se la visione darwiniana della società civile di Macron e quella russoviana di Luigi Di Maio sono tanto dissimili.


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