Welfare & Lavoro

Rsa un capro espiatorio perfetto, ma le responsabilità sono altrove

Ecco come è andata nelle Residenze sanitarie assistite. La ricostruzione di 50 giorni che hanno visto la morte, prevista, di tanti anziani. Il nulla delle autorità preposte e della Protezione civile incapace di dare le dovute protezioni. Così le Rsa sono diventate un capro espiatorio perfetto anche per una cattiva coscienza sociale

di Riccardo Bonacina

Tranquilli, muoiono solo i vecchi

Dopo le prime esternazioni di esperti secondo cui il Covid 19 era poco più di un’influenza, dal 27 febbraio si cominciò a tranquillizzare anche dicendo che sì, qualcuno moriva ma che il coronavirus che non è così letale perché a morire erano solo i vecchi che sarebbero morti comunque perché già colpiti da altre patologie e ormai ultra ottantenni.

"Se ne sarebbero andati comunque", era il ritornello di virologi, editorialisti e professoroni intervistati. Ci fu anche una certa reazione a questo disprezzo per le persone e per il dolore di chi stava perdendo i propri cari e all'idea mostruosa che gli anziani come tutti quelli che sono deboli non vadano nemmeno curati troppo né assistiti, tanto sono vicini alla fine (The Econimist dixit).

Ricordo questo irrispettoso mantra di fine febbraio perché nel breve volgere di poco più di un mese gli stessi esperti, professori, editorialisti e oggi magistrati, si scandalizzano perché a morire siano tanti anziani. Nelle Rsa o nelle case, si suppone, perché tamponi e dati certi sino al 7 aprile non è stato dato di avere (leggi qui).

13,4% indice di mortalità Covid19 per gli over 80

Al 9 aprile un’analisi dell’Istituto Superiore di Sanità su un campione di 16.654 pazienti deceduti e positivi a COVID-19 in Italia, ha stabilito che l’età media dei pazienti deceduti e positivi a COVID-19 è di 78 anni per gli uomini e di 83 per le donne. Insomma, cinquanta giorni dopo lo scoppio dell’epidemia italiana, un dato era ed è certo: muoiono soprattutto gli anziani. E una ricercapubblicata su The Lancet Infectious Diseases il 30 marzo ci dice che il tasso di mortalità (non di letalità) del Covid19 sui casi accertati, più alto, è stimato come segue: 1,25% tra 50-59; 3,99% tra 60-69; 8,61% tra 70-79; 13,4% sopra 80 anni.

Ora, le 4629 case di riposo e Rsa italiane hanno una popolazione di 300.000 ospiti (più di un quinto dei quali in Lombardia) al 75% over 80 e al 78% non autosufficienti (in Lombardia al 94%!). Insomma, era prevedibile che proprio in queste strutture le morti si sarebbero moltiplicate (ne abbiamo scritto in tempi non sospetti e senza isterismi, semplicemente raccontando). Non c’è bisogno di essere amanti (come il sottoscritto) di film di genere catastrofico per immaginare gli effetti dirompenti e devastanti di una pandemia che colpisce in particolare la popolazione anziana, per prevedere che laddove questi erano raggruppati in strutture, tra l’altro non segreganti, ma aperte al territorio, il virus avrebbe colpito di più.

Il nulla delle autorità nazionali e regionali

Eppure, sia a livello nazionale che regionale si è dovuto constatare che non esisteva nessuna linea guida per emergenze di questo tipo nonostante le indicazioni e le promesse del dopo Sars. E in più proprio le strutture dedicate agli anziani sono state lasciate sole, senza indicazioni sino al 4 marzo e senza Dispositivi di protezione individuale per i suoi operatori socio-sanitari ancora sino a pochi giorni fa. La Protezione Civile che in altre situazioni aveva dato buona prova di sé, di fronte a questo tipo di emergenza ha messo in campo scarsa preparazione e ancor meno risorse preordinate oltre, però, a una sciagurata volontà di centralizzazione che ha impedito anche l’autoproduzione, se non clandestinamente, di protezioni per il personale. In questo contesto il punto che fa scalpore: la sciagurata delibera dell’8 marzo che in Lombardia che chiede alle RSA di farsi carico di pazienti Covid “lievi” per alleggerire gli ospedali sotto pressione di cui abbiamo già scritto (qui).

Se non si è riusciti ad avere strategie rigorose per circoscrivere il rischio nemmeno tra operatori ospedalieri (oltre 100 i medici morti e decine di infermieri) – se non nei pochi ospedali già altamente specializzati per episodi infettivi su piccole porzioni di popolazione – meno che mai ci si poteva aspettare di riuscirci nelle realtà socio-sanitarie residenziali per persone anziane e ancor più per quelle disabili.

La drammatica decisione di vietare gli accessi dall’esterno a familiari, volontari, visitatori, sapendo bene che questo avrebbe destabilizzato emotivamente gli ospiti anziani o disabili, e richiesto perciò al personale un carico doppio di accudimento e vicinanza è stata presa, nella gran parte dei casi, prima di ogni indicazione delle autorità preposte. E la chiusura ha comportato il rischio che fosse intesa come un voler occultare “fuori” ciò che accadeva “dentro”. Chiusura per molte Rsa già disposta responsabilmente nei giorni seguenti il 23 febbraio in assenza di precise indicazioni regionali (si veda l’allegato sull’ordinanza Regione Lombardia del 23 febbraio) e senza aspettare il Dpcm del 4 marzo dove alla lettera m) si vietava “l’accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite (RSA) e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, è limitata ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura, che è tenuta ad adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione”.

Capro espiatorio per Pm e coscienza sociale

Ora le Rsa sono diventate il capro espiatorio perfetto e decine di Pm si sono lanciati lancia in resta ponendosi l’epocale domanda: “a marzo 2020 sono morti più anziani che a marzo 2019?”. Bastava che leggessero uno straccio di giornale o mi telefonassero per avere una risposta! E, come spiegano, cercano il «nesso di causalità» tra morti e Coronavirus, forse non sapendo che a marzo non è stato né fornito né fatto un tampone che sia uno e che perciò, a parte i pochi ospedalizzati nessuno saprà ma quanto il coronavirus abbia pesato nel portare alla morte pazienti che già soffrivano di patologie gravi, visto che non è stato fatto nemmeno il tampone, né prima né dopo la morte. Chissà se i magistrati in corso d’opera capiranno che devono alzare un poco lo sguardo, che devono guardare un po’ più in alto se vogliono colpire i veri responsabili della diffusione del virus nelle strutture per anziani.

Ma le Rsa sono un capro espiatorio perfetto perché addossare su di loro la colpa lava anche una cattiva coscienza sociale, quella di chi ha affidato i suoi anziani già da mesi o da anni a coloro che potevano e dovevano occuparsi di loro e dovevano continuare a farlo al posto nostro. Abbiamo chiesto alle case di riposo di sostituirci con i nostri parenti anziani al 100 % e lo hanno fatto.

Si può immaginare un altro modello dalle Rsa? Certo, ma invece di processi occorre mettere in campo risorse per assistenza domiciliare e medicina di territorio dove anche il Terzo settore sia sempre più protagnista.


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