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La vita lungo il muro di Mirafiori raccontata per radio da un critico ipovedente

Si chiama Stefano Beccacece, vive ai margini di quella che è stata la più grande fabbrica d’Europa e ogni giorno accende la sua Radiomusik in cui si occupa di tutto, dal calcio alla filosofia teoretica

di Fabrizio Floris

La dove la città finisce c’è un muro che circonda 3 milioni di metriquadri di terreno. Era il confine della città la chiamavano Mirafiori, guarda i fiori, una pianura dove a partire dal 1936 il cemento iniziò a prevalere sul verde. Intorno a quella mura sorse la più grande Fabbrica d’Europa attraversata quotidianamente da 60 mila persone.

Per loro la città fu costretta a spostarsi oltre la frontiera della Fabbrica. I palazzi (17mila alloggi) vennero tirati su a partire dal 1963 dando casa ad oltre 40 mila persone. Sono stati anni intensi di una popolazione giovane e piena di vita, ma anche di lotte e sconfitte. Con la Fabbrica che segnava non solo la città, ma era l’epicentro di tutte le battaglie politiche del Paese.

La caratteristica delle vie che confinano con il muro della Fabbrica è l’aver dato un’abitazione a gruppi di persone che sono arrivate insieme e che collettivamente hanno costruito il loro luogo di vita: il loro quartiere non quello degli architetti. Un’accoglienza che come una sorta di imprinting è rimasta negli anni: “accolti per accogliere”.

Adesso c’è meno vita, ci sono più vecchiaia e solitudine e le porte sono confini che separano di sommersi dai salvati. Eppure su quelle strade di cemento i fiori sono rimasti, seppur sotto altre spoglie, hanno carne e ossa, sono persone speciali che non è facile scorgere e a volte incontrare come Stefano Beccacece di professione critico radiofonico.

La sua casa è al fondo dell’ultima via del quartiere che segue l’asse binario del muro della Fabbrica. È ipovedente e da 4 mesi vive solo perché la madre è ricoverate in ospedale. Ma lui ogni mattina attiva la sua app radiofonica, apre la sua pagina social e si mette alla ricerca di notizie per la sua Radiomusik.

Nelle ultime settimane non è potuto andare neanche a trovare la madre perché per via del coronavirus gli accompagnatori non famigliari non possono entrare negli ospedali ma lui senza un aiuto non può arrivare al reparto dove è ricoverata. Ha una cultura universitaria e passa agevolmente dal calcio alla filosofia teoretica.

Il suo calendario è segnato dalle partite di calcio ad esempio ricorda che la madre è stata ricoverata il giorno della partita di andata tra Juve-Inter e non è ancora uscita adesso che siamo alla partita di ritorno.

È come spiega Francesco Marra “uno di zona”, «una grande persona, ma è difficile incontrarlo per le strade, ma sui social lo potete trovare tutto il giorno, tutti i giorni». Pronto a mettersi in gioco perché per lui “ogni giorno è buono per sfondare”. Sapendo che passano gli anni, ma poi sono i minuti a trasformare la vita. Stay tuned.


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