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Emergenza Covid e servizi per la disabilità: un’occasione per ri-pensar-ci

Ha senso che noi, che abbiamo tra i nostri soci le persone che assistiamo, aspettiamo che sia la Pubblica Amministrazione a dirci cosa fare? In guerra (ma anche in pace) serve l’impegno militante ad assumersi responsabilità. Chi costruisce il futuro, non aspetta le procedure: procede. A piccoli passi, per tentativi ed errori, sbagliando e ricominciando

di Marco Bollani

Preambolo. Impatto dell’emergenza Covid-19 sui servizi diurni per la disabilità

Siamo entrati nell’emergenza Covid alla fine di febbraio 2020 e fino a tutto il 17 marzo, per chi vive i servizi diurni come un’opportunità di sostegno e per chi vi lavora, è stato quasi un mese di disorientamento personale, organizzativo e istituzionale davvero “dirompente”. Nessuno sapeva cosa si dovesse fare: tenere aperto o chiudere? Per Regione Lombardia, con nota del 5 marzo del Direttore Generale Assessorato al Welfare, le «limitazioni o sospensioni dei servizi socio-sanitari» potevano «essere stabilite dai singoli enti gestori in considerazione del numero di operatori disponibili, degli utenti frequentanti e delle loro condizioni di salute», avendo come obiettivo la Regione di «contemperare la continuità dell’erogazione dei servizi rispettando la libera scelta dei soggetti e dei familiari che ne usufruiscono» con l’interesse collettivo di arginare il più possibile l’avanzata del Covid, chiudendoci ciascuno nelle proprie case.

Il 17 marzo 2020 il Decreto Cura Italia ha sospeso l’erogazione dei servizi semiresidenziali socio-sanitari e sociali, determinando in capo alle pubbliche amministrazioni di garantire, anche attraverso un percorso di co-progettazione con gli enti gestori dei servizi, attività alternative indifferibili (per le persone che non potevano fare a meno del servizio), accogliendole individualmente presso le sedi dei servizi, oppure attraverso attività da remoto, oppure attraverso prestazioni di assistenza domiciliare. A partire dal 4 maggio è stata avviata la fase 2 dell’emergenza: si è cominciato a lavorare per la riattivazione dei servizi diurni arrivando ad avere una norma regionale, la DGR 3183, in data 26 maggio 2020 che, «in ottemperanza all’art. 8 del DPCM 26 aprile 2020 come modificato dall’art. 9 del DPCM del 17 maggio 2020» ha stabilito che fosse compito delle Regioni «stabilire il riavvio dei servizi semiresidenziali attraverso la stesura di un Piano Territoriale Regionale».

Quindi, ricapitolando, la Regione ha stabilito il 5 marzo che gli enti gestori potessero stabilire eventuali sospensioni, il Governo ha stabilito la sospensione stabilendo che la Pubblica Amministrazione stabilisse attività alternative in co-progettazione con i gestori e poi sempre il Governo ha stabilito che le Regioni stabilissero un piano di riavvio dei servizi.

Tre considerazioni sulla gestione dell’emergenza

1. Il Buco Nero

Il primo mese di emergenza dal 23 febbraio al 18 marzo è stato un vero e proprio buco nero. La Regione ha stabilito che spettasse ai gestori valutare le interruzioni, ma ha citato solo i servizi semiresidenziali socio-sanitari: per gli altri, nessuna indicazione. Con l’avanzata del Covid scandita dai bollettini quotidiani dei decessi e dei ricoveri e una ritirata progressiva dei nostri servizi e dei nostri progetti a chiudere, in ordine sparso, senza una norma che stabilisse una regola uguale per tutti. Una corsa a ritirarsi, alla chiusura, accompagnata da una rincorsa impetuosa, confusa e a tratti nevrotica a chiedere alle istituzioni di indicarci una strada: cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo agire? Quindi ritirata in ordine sparso accompagnata dalla richiesta di un sentiero…

2. Un sentiero “normativo” accidentato

Il 17 marzo è arrivata la risposta del Decreto Cura Italia, stabilita dal Governo: sospensione per tutti i servizi, ma obbligo per le pubbliche amministrazioni di fornire attività alternative, anche mediante co-progettazioni con i gestori, impegnando le risorse già iscritte a bilancio delle istituzioni ovviamente, così come è successo per gli insegnanti delle scuole, ove la sospensione delle lezioni non ha comportato una rinegoziazione dei budget scolastici. Individuato il sentiero della sospensione dei servizi, a fronte di un primo respiro di sollievo per chi li gestisce, il carico dell’angoscia si è spostato tutto sulle persone e sulle famiglie: ce la faremo? Quando riapriranno? Ma il respiro di sollievo dei gestori è durato pochissimo. Perché il sentiero tracciato non era per nulla chiaro. Chi decide come fare e in quanto tempo attivare le attività alternative? Le pubbliche amministrazioni? E come fanno ad esempio in Lombardia le pubbliche amministrazioni a programmare attività indifferibili immediatamente, all’interno di un sistema sussidiario in cui sin da subito è stata data dalla Regione ai gestori stessi la facoltà di stabilire cosa fare? E com’è che le attività dei servizi gestiti da noi gestori potranno essere rimodulate dalla pubblica amministrazione? E se la pubblica amministrazione non riesce a dare ordini ed a attivare le rimodulazioni, i gestori stanno fermi? Noi, che abbiamo tra i nostri soci le persone che assistiamo, aspettiamo che sia la Pubblica Amministrazione a dirci cosa fare? E perché se le persone non frequentano il centro a causa di forza maggiore, io gestore dovrò rinegoziare con la pubblica amministrazione il costo ed i budget della mia attività? Per le scuole, ad esempio, anche loro servizio essenziale, non succede così. E perché per noi sì? E quindi è subito ripresa la corsa a chiedere alle istituzioni un’altra norma: cambiare il sentiero definito dal Decreto Cura Italia. Una rincorsa a modificare il Decreto prima della conversione in Legge: il decreto deve spiegare meglio come si fa a fare ciò che esso stabilisce e deve dirci meglio come gestire le risorse per i nostri interventi. Anche perché scrivere di attività alternative stabilite dalla pubblica amministrazione in co-progettazione con gli enti, per fronteggiare bisogni urgenti, complessi e indifferibili (senza una indicazione chiara di come gestire le risorse) è un po’ come dire al soldato in trincea che chiede munizioni di ripensare al concetto di arma e le ragioni della guerra. Le attività alternative hanno fatto una fatica enorme a partire perché il Decreto Cura Italia è stato scritto male (e forse diversamente non sarebbe potuto essere…), ma forse è stato scritto male perché è stato pensato troppo lontano da quello che stava succedendo a Codogno, a Vo’ Euganeo, Bergamo, Brescia, Pavia e Piacenza.

Scrivere di attività alternative stabilite dalla pubblica amministrazione in co-progettazione con gli enti, per fronteggiare bisogni urgenti, complessi e indifferibili (senza una indicazione chiara di come gestire le risorse) è un po’ come dire al soldato in trincea che chiede munizioni di ripensare al concetto di arma e le ragioni della guerra.

Marco Bollani

Anche la conversione in Legge del Cura Italia non ha portato sufficiente chiarezza. E anche la revisione del famoso art. 48, novellato da un ulteriore Decreto Legge, non ha aiutato a determinare ulteriore chiarezza. Con il risultato davvero paradossale che ancora oggi, con la fase 2 avviata il 4 maggio e con la riattivazione dei servizi disciplinata a livello regionale il 23 maggio, non tutti i servizi sono stati riavviati, molte attività alternative non sono mai partite e soprattutto ancora oggi non è chiaro come saranno remunerate le attività rimodulate. E tante persone sono ancora a casa. E molti genitori sono ancora sotto pressione, a casa, insieme ai loro figli. Privati i figli della possibilità di stare insieme agli operatori e ai loro amici e compagni di attività, di lavoro, di divertimento con cui condividono il centro. E privati i genitori di un servizio essenziale. De-privati, entrambi. Di ciò che serve a garantire il loro benessere…

3. Un tentativo di svolta, per uscire insieme da questa battaglia

Il 26 maggio 2020 Regione Lombardia ha emanato la DGR 3183 che definisce le modalità per ri-avviare i servizi semiresidenziali. Questa DGR ha rappresentato e rappresenta tuttora un vero respiro di sollievo per i gestori e per le istituzioni, perché finalmente ha saputo confrontarsi con la realtà, dando fiato al buonsenso. Intanto è stata costruita insieme: con il concorso della Regione, dei Comuni, delle ATS, delle realtà degli enti gestori e delle associazioni di rappresentanza della disabilità. Insieme corresponsabilmente, individuando tra le misure per ri-attivare i servizi anche un patto di corresponsabilità con gli utenti dei servizi. E poi perché ha stabilito di ri-avviare i servizi a partire dalle esperienze virtuose di chi ha rimodulato da subito le attività, senza aspettare che la Pubblica Amministrazione stabilisse cosa fare, legittimando ed allargando quelle soluzioni nate dal buon senso non disciplinate dal Cura Italia del Governo. E poi, anzi soprattutto, perché ha disegnato una prospettiva che va oltre la gestione della crisi, per provare a cogliere qualche opportunità dalle esperienze attivate per fronteggiare questa battaglia, provare a farne tesoro e aprire qualche ipotesi di innovazione. Sembra pochissimo, soprattutto per chi è ancora a casa e non frequenta il centro, ma è tanto, davvero tanto importante che da questa battaglia cominciata in ordine sparso ritirandoci e chiudendoci, si sia riusciti a delineare un orizzonte di ripresa, costruito insieme. Non era scontato.

La DGR 3183, in Lombardia,ha disegnato una prospettiva che va oltre la gestione della crisi, per provare a cogliere qualche opportunità dalle esperienze attivate per fronteggiare questa battaglia, provare a farne tesoro e aprire qualche ipotesi di innovazione. Sembra pochissimo, soprattutto per chi è ancora a casa, ma è davvero tanto importante che da questa battaglia cominciata in ordine sparso ritirandoci e chiudendoci, si sia riusciti a delineare un orizzonte di ripresa, costruito insieme. Non era scontato

Marco Bollani

Tra i punti determinanti e qualificanti della DGR 3183 merita un’attenzione davvero particolare la possibilità di garantire accoglienza presso sedi alternative, che davvero è stata ispirata dal buon senso: se non si possono assembrare le persone in luoghi chiusi, perché non dividerle in tanti luoghi diversi, possibilmente all’aperto, riservati e protetti ma che consentano di mantenere il distanziamento perché più grandi e più spaziosi? Contemperando in questo modo il diritto alla sicurezza con la necessità di essere accolti per le persone che non possono essere assistite da lontano o essere assistite a casa loro? Il Decreto Cura Italia non ci ha pensato, ma molti gestori lombardi e non solo lombardi lo hanno fatto. E la DGR 3183 ha riconosciuto questa possibilità. Ha vinto il buon senso.

Spunti per ri-pensare il presente e costruire il futuro

Non siamo ancora fuori dall’emergenza. Siamo ancora impegnati a fronteggiare il nemico, che potrebbe tornare a breve. Ma alcune cose le abbiamo imparate e forse potranno esserci utili sia per le prossime eventuali battaglie sia per gestire il prossimo tempo di pace.

  • In guerra, ad ogni rimpallo di scelte e di responsabilità il nemico avanza;
  • In guerra, le scelte strategiche dei colonnelli e dei generali non possono fare a meno delle informazioni dei soldati che stanno in prima linea, soprattutto se il nemico è sconosciuto;
  • In guerra, se il nemico è sconosciuto, occorre affidarsi anche al buon senso: prima che ci arrivi la scienza e prima che ci arrivi la norma, il buon senso è oro colato;
  • In guerra, ma non solo in guerra, anche in tempo di pace, per seguire il buon senso, prima delle norme e prima della scienza, serve coraggio: serve l’impegno anche militante ad assumersi responsabilità;
  • In pace, forse ancora più che in guerra, la corresponsabilità rappresenta un tesoro davvero importante per costruire futuro;
  • Per costruire futuro non basta essere in pace, occorre la capacità negativa di tollerare l’incertezza muovendosi a piccolissimi passi, come le formiche, guidati dal buon senso, prima che le norme e che la scienza intervengano
  • Chi costruisce il futuro, non aspetta le procedure: procede. A piccoli passi, per tentativi ed errori, sbagliando, fallendo e ricominciando.

Oggi possiamo ri-cominciare corresponsabilmente a gestire questa battaglia non ancora vinta, operando assumendoci tutti un po’ di rischio, per non far mancare ciò che serve per il benessere delle persone, facendo tesoro di questa esperienza per ri-pensare i servizi, adattarli ai bisogni di vita delle persone, ri-pensando anche a come si possono governare e a come le nostre organizzazioni possano assumere e ri-lanciare la loro sfida e la loro missione di costruire futuro.

*Marco Bollani, Federsolidarieta Lombardia

Photo by Finn Hackshaw on Unsplash


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