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Bene l’accelerazione sui pagamenti del 5 per mille… ma attenti alla beffa

L'approvazione del Dpcm sul 5 per mille è quantomai necessaria e urgente. Diversamente c'è un rischio molto concreto, dice Gabriele Sepio. Se nel 2020 arrivassero i pagamenti per due edizioni del 5 per mille (il 2018 e il 2019) ma non il tanto atteso DPCM, «nel 2021 gli enti non incasserebbero un euro, perché il 5 per mille 2020 verrebbe erogato – secondo le modalità e le tempistiche attuali – soltanto nel 2022. Un effetto indesiderato e paradossale».

di Sara De Carli

A tre mesi dalla pubblicazione degli elenchi del 5 per mille 2018 (era il 3 aprile 2020), è pressoché concluso l’iter burocratico per versare ai vari enti iscritti all’elenco delle Onlus e del Volontariato – il più corposo – ciò che gli italiani hanno loro destinato. Lo conferma l’avvocato Gabriele Sepio, che è stato coordinatore del Tavolo tecnico-fiscale per la riforma del Terzo settore presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed è membro del Consiglio Nazionale del Terzo Settore.

E se il Ministero del Lavoro ha dato il via ai pagamenti per 40.400 enti – «ne manca ancora qualche migliaio, sono quelli che non hanno indicato l’Iban» -, l’Agenzia delle Entrate lavora per la pubblicazione degli elenchi dei beneficiari dell’edizione 2019, che dovrà avvenire – secondo il DL Rialancio – «entro il 31 luglio 2020», mentre il relativo contributo dovrà essere erogato dalle amministrazioni competenti «entro il 31 ottobre 2020». Tempi davvero plausibili? «Sì, l’intenzione è quella di arrivare entro fine anno a pagare anche il 5 per mille 2019», conferma Sepio.

Tutto bene quindi? Non esattamente, annota Sepio, perché «questi interventi “speciali” devono essere uno stimolo a completare l’iter del DPCM sul 5 per mille. Diversamente l’accelerazione sul pagamento del 5 per mille 2019 non solo non risolverebbe il problema ma paradossalmente potrebbe aggravarlo». In soldoni, se nel corso di questo straordinario 2020 arrivassero i pagamenti per due edizioni del 5 per mille, il 2018 e il 2019, ma non arrivasse il DPCM, «il rischio concretissimo è che nel 2021 gli enti non incasserebbero nemmeno un euro, perché il 5 per mille 2020 verrebbe erogato – secondo le modalità e le tempistiche attuali – soltanto nel 2022. Un effetto indesiderato e paradossale. Con il DPCM invece, si assegnano le somme previste a prescindere dalla presentazione della dichiarazione dei redditi integrativa, producendo quell’effetto sui tempi che è stato inserito in via straordinaria per l’edizione 2019 ma che c’è bisogno di mettere a sistema. Diversamente sarebbe una beffa terribile», spiega Sepio.

L’altro tema legato alla mancata approvazione del Dpcm è il peso che questo ritardo continua ad avere sugli effetti burocratici: il Dpcm «innalzerebbe la soglia minima da 12 a 100 euro, è evidente che oggi abbiamo molti casi in cui la procedura costa più del beneficio incassato», dice Sepio. E poi la trasparenza: gli enti sono già tenuti a rendicontare l’utilizzo del 5 per mille entro un anno da quando hanno ricevuto le somme erogate, «ma questo non basta, essendo contributi che arrivano da tutti i cittadini è giusto che questa rendicontazione si traduca in trasparenza per tutti i cittadini».

Ultimo punto, il tanto atteso Runts: «Il decreto è al vaglio della Conferenza Stato Regioni e una volta approvato ci vorranno sei mesi perché Unioncamere possa implementare la piattaforma. Il Registro quindi potrebbe essere operativo, se il decreto arriva in estate, entro febbraio. E molte più realtà a quel punto potrebbero beneficiare del 5 per mille».

Photo by Samuel Scrimshaw on Unsplash


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