Welfare & Lavoro

Non autosufficienza: cinque passi per una riforma che faccia la storia

Nasce il “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”. Visione unitaria, care multidimensionale, innovazione delle risposte, filiera: solo così la riforma sarà davvero sostanziale. Il punto di partenza, in ordine di tempo, non può che essere la domiciliarità: ma qui si gioca la credibilità del percorso di riforma

di Sara De Carli

Paradossalmente la non autosufficienza nella prima versione del PNRR mancava quasi del tutto, pur essendo gli anziani la fascia di popolazione che in termini di malattia e mortalità ha pagato il prezzo più alto del Covid-19. C’erano risorse, ma non una modifica del modello di intervento. L’incisività di alcune voci qualificate ha fatto sì che le cosa cambiassero: la versione definitiva del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede la realizzazione della riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, attesa dalla fine degli anni ’90. Un risultato storico per certi versi, ma anche solo un punto di partenza: soltanto la concreta elaborazione del Piano e delle azioni transitorie che lo accompagneranno (insieme al raccordo con l’altra riforma prevista dal PNRR, che riguarda la disabilità) diranno se la riforma risponderà o meno alle esigenze degli anziani e delle loro famiglie.

Il Paese è quindi dinanzi a una grande sfida e a un’opportunità storica: bisogna riuscire a coglierla. Per farlo i primi passi sono cruciali: è il disegno della riforma che deve creare solide fondamenta su cui poggiare tutti i passi successivi. Nasce per questo il “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”, presentato ieri in un evento online a cui hanno partecipato i ministri Roberto Speranza e Andrea Orlando, a sottolineare fin da subito l’assoluta necessità che questo percorso parta fin dall’inizio sotto la stella della collaborazione e condivisione tra i due ministeri: diversamente quell’integrazione sociosanitaria attesa da decenni resterebbe ancora una volta un mero flatus voci.

Al “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” hanno già aderito una quarantina di realtà della società civile (37, da Caritas Italiana a UNEBA – Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale, da Cittadinanzattiva al Forum nazionale del Terzo Settore, dal Network Non Autosufficienza (NNA) a SPI-CGIL – Sindacato Pensionati Italiani. «Un percorso di scopo che si basa su un fortissimo dialogo sociale, che ha visto unirsi due percorsi inizialmente distinti – quello dei sindacati e quello del civismo attivo e delle associazioni di pazienti e familiari – per dare più importanza alle assonanze che alle dissonanze» ha sottolineato Andrea Morniroli del Forum Disuguaglianze e Diversità introducendo il dibattito. «Il Patto ha l’obiettivo specifico della riforma della non autosufficienza, senza dimenticare però che questa riforma raccoglie anche altre due indicazioni importanti del PNRR, che sono la salute di prossimità e la necessità pensare la salute in una integrazione tra sociale e sanitario».

Il “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” ha chiesto al Governo di assumere cinque impegni. È stato Cristiano Gori, coordinatore del Network Non Autosufficienza, a presentare i contenuti della proposta ai ministri Orlando e Speranza, all’onorevole Marialucia Lorefice e alla senatrice Annamaria Parente. «La riforma è un sogno, ma se guadiamo la vita non è ancora nulla. La bontà dei processi di riforma si misura solo dall’impatto sulla vita persone. A questo vuole contribuire il Patto, chiedendo cinque impegni per avviare il percorso della riforma nel modo migliore, gettando le fondamenta per partire nel modo giusto», ha detto Gori.

Ecco in sintesi le richieste (in allegato in fondo all’articolo il documento integrale).

1.Fare la storia

Non è esagerato, negli altri Paesi questa riforma ha modificato strutturalmente il settore. Serve una riforma sostanziale e non solo formale, capace di aggredire i problemi di fondo, profonda ma anche ampia, che consideri congiuntamente l’insieme degli interventi compresi nell’assistenza agli anziani non autosufficienti e che tocchi tutta la filiera sanitaria e sociale, i contributi economici, i servizi alla persona, le risposte nel territorio, la residenzialità, le badanti.

2. Superare la frammentazione

La riforma deve essere elaborata congiuntamente dai Ministeri della Salute e del Welfare. Attualmente uno dei problemi più grossi delle risposte alla non autosufficienza è il debole coordinamento fra i vari passaggi: superare la frammentazione che oggi contraddistingue il sistema dell’assistenza agli anziani non autosufficienti e ricondurre le risposte a un quadro unitario deve essere stella polare. Perché cominciare da qui? Perché la collaborazione istituzionale è condizione non sufficienza ma certamente necessaria per avere risposte coordinate nei territori. Se non c’è nel disegno, nell’origine, la possibilità di perseguire questo obiettivo viene meno.

3. Riconoscere le specificità della non autosufficienza

Gli interventi destinati agli anziani non autosufficienti non di rado oggi sono disegnate non avendo in mente la non autosufficienza e le sue peculiarità. Non si usa il modello proprio, che è quello del care multidimensionale, che prevede risposte progettate a partire da uno sguardo complessivo sulla condizione dell’anziano: la non autosufficienza infatti coinvolge per sua natura l’intera esistenza delle persone e rende necessario l’approccio multidimensionale. D’altra parte, non esiste un solo profilo dell’anziano non autosufficiente, basti pensare alle differenze tra un anziano allettato e uno con l’Alzheimer: le risposte vanno diversificate.

4. Investire per cambiare

Oggi in Italia ci sono circa 3 milioni di anziani non autosufficienti, pari al 5% della popolazione. Il loro numero è destinato a raddoppiare entro il 2030. C’è una scarsa offerta di servizi in Italia per la NA e quindi sviluppare l’offerta dei servizi è assolutamente necessario: questio vale per tutte le principali unità di offerta: domiciliari, semi-residenziali e residenziali. Attenzione ad affermare che la priorità per ogni persona è stare a casa, per tanti non è possibile: i dati scientifici dicono che quello che occorre è uno sviluppo complementare di assistenza di servizi domiciliari e residenziali, di tutta la filiera dei servizi. Più fondi, però, non sono un valore di per sé: bisogna evitare che gli auspicabili nuovi finanziamenti siano impiegati per rifare su scala maggiore le stesse cose che si fanno oggi, replicando le criticità oggi esistenti. Ogni euro in più deve essere speso per cambiare le risposte, per innovare.

5. Connettere interventi transitori e riforma

Avviare il cantiere della riforma significa certamente avviare l’elaborazione del testo della riforma ma contestualmente significa che tutte le azioni transitorie (investimenti PNRR + eventuali altri interventi decisi dal Governo) devono già essere coerenti con la riforma in gestazione. Se non fosse così, se la riforma andasse da una parte e gli interventi transitori messi in campo dall’altra, si minerebbe alle radici il percorso di cambiamento. Il punto di partenza, per gli interventi transitori, non può che essere la domiciliarità dal momento che ci sono già 2,7 miliardi di euro del ministero della Salute: la richiesta del “Patto” è che questi interventi transitori sulla domiciliarità siano congegnati come il primo passo del percorso che si compirà con la riforma: che siano disegnati congiuntamente dai due Ministeri; seguendo il modello del care multidimensionale; con risorse di fonte sia sanitaria sia sociale e quindi con il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali che stanzi risorse proprie aggiuntive ad hoc, in Legge di Bilancio. «Lo sforzo richiesto è sostanziale per entrambi i Ministeri, ne siamo consapevoli, ma questi interventi sulla domiciliarità – che devono essere i primi in ordine temporale – daranno la misura della credibilità del percorso di riforma», ha concluso Gori.

Photo by David Monje on Unsplash


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