Cooperazione & Relazioni internazionali

Mediterraneo, Balcani, America Latina: i profughi che non vediamo

Quante sono le Lesbo, le Lampedusa, le frontiere di terra dai Balcani fino al Messico che non conosciamo? Dati certi non esistono, camminiamo tra le stime, per lo più al ribasso. Alla fine del 2021 le persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni di diritti umani erano 89,3 milioni. Da allora, l’invasione russa dell’Ucraina – che ha causato uno degli esodi forzati di più ampia portata e quello in più rapida espansione dalla Seconda Guerra Mondiale – e altre emergenze, dall’Africa all’Afghanistan ad altre aree del mondo, hanno portato la cifra a superare la drammatica soglia dei 100 milioni

di Anna Spena, Matteo Riva e Paolo Manzo

I numeri non racchiudono le vite. Ma con le migrazioni forzate funziona così: ci muoviamo quasi alla cieca, non esistono dati ufficiali, dati aderenti alla realtà che possano in qualche modo circoscrivere un fenomeno. Camminiamo tra le stime, per lo più al ribasso. E le facce delle persone, con le loro vite, le perdiamo per strada. Quante sono le Lesbo, le Lampedusa, le frontiere di terra dai Balcani fino al Messico che non conosciamo? Che succede non solo in Italia, ma in Medio Oriente, Africa, in America Latina? Una risposta certa, come dicevamo, un dato certo, non esiste. Iniziamo però da una stima verosimile: alla fine del 2021, secondo il rapporto statistico annuale dell’UNHCR Global Trends, le persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni di diritti umani risultavano essere 89,3 milioni. Da allora, l’invasione russa dell’Ucraina – che ha causato uno degli esodi forzati di più ampia portata e quello in più rapida espansione dalla Seconda Guerra Mondiale – e altre emergenze, dall’Africa all’Afghanistan ad altre aree del mondo, hanno portato la cifra a superare la drammatica soglia dei 100 milioni. La Turchia ha ospitato quasi 3,8 milioni di rifugiati, la popolazione più numerosa al mondo.

Cosa succede in Italia?

Dall’inizio dell’anno sono sbarcate sulle coste italiane (dato aggiornato al 14 luglio 2022 ndr) 31.675 i migranti. Non significa che in Italia hanno provato ad arrivare poco più di 30mila persone, significa che queste sono quelle arrivate vive. Quante sono state riportate in Libia? Quante sono morte in mare? Ma non esistono solo le frontiere di mare, anche quelle di terra. E lì tenere traccia è più complesso: ci si muove in gruppi più piccoli, su viaggi della speranza che durano mesi, spesso anni, e toccano diversi Paesi. Quello che sappiamo è che delle zone specifiche sono diventate un limbo e lì i migranti si bloccano e spesso non riescono ad andare avanti, a volte, neanche a tornare indietro.

Lampedusa, vacilla la macchina dell’accoglienza

È l’isola più estesa dell’arcipelago delle Pelagie. Per la sua posizione tra le coste nordafricane e il sud d'Europa, Lampedusa negli ultimi venticinque anni è stata una delle principali mete delle rotte dei migranti nel Mediterraneo. Il primo sbarco è stato registarto a metà ottobre del 1992 e ha coinvolto 71 maghrebini. È qui che il 3 ottobre 2013 un'imbarcazione carica di persone è naufragata a poche miglia dall'imboccatura del porto causando 366 morti e oltre 20 dispersi. In seguito a questo tragico evento, su proposta di un comitato appositamente costituito, il 15 aprile 2015 la Camera dei Deputati ha approvato con 287 voti favorevoli, 72 contrari e 20 astenuti l'istituzione, per il 3 ottobre, di una "Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione". Qui la macchina dell’accoglienza è fluida o si inceppa a seconda del momento politico e del numero di sbarchi. Oggi vacilla: all’interno dell’hotspot di Lampedusa non si erano mai visti numeri così alti negli ultimi anni. Nella struttura di Contrada Imbriacola ci sono al momento oltre 2000 persone davanti a una capienza limite di 450-500 persone. Si tratta di sbarchi autonomi o di barconi che vengono accompagnati in porto da motovedette della guardia costiera o della guardia di finanza. I luoghi di partenza sono sempre Libia o Tunisia. E cresce il numero di minori non accompagnati.

Roccella Jonica, dall’inizio dell’anno sono oltre 4mila i migranti arrivati nel porto calabrese

Dall’inizio dell’anno sono oltre 4mila, nel 2021 erano stati settemila il numero totale delle persone sbarcate, i migranti arrivati nel porto calabrese o nelle spiagge vicine. L’estate scorsa gli sbarchi sono arrivati a una media di quattro al giorno. Arrivano su barche a vela pilotate dagli scafisti. Arrivano da Siria, Afghanistan, Iran, ma anche Bangladesh e Palestina. Un numero quello degli arrivi sulla Locride che di anno in anno cresce rapidamente e che ha avuto un’impennata tra il 2020 e il 2021. Chi arriva a Roccella Jonica lo fa principalmente dalla rotta della Turchia.

Triste, ogni anno 10mila migranti passano dalla città

La Rotta Balcanica è una rotta dimenticata. Non interessa all’Italia. Non fa il rumore mediatico dei barconi che attraversano il Mediterraneo. E quei profughi che si mettono in marcia e attraversano i confini di sei o sette Paesi prima di raggiungere l’Europa – quando e se ci riescono – sono marginali. Perché loro in Italia non vogliono restare. Convenzionalmente la rotta inizia in Grecia, fisicamente finisce in Italia, a Trieste. Ma il viaggio di chi fugge inizia molti chilometri prima per finire poi nel Nord Europa. Quanti sono quelli che ogni anno si mettono in marcia per percorrerla non lo sappiamo. Ma a Trieste, nel 2021, sono state registrate 7500 persone, poco più di seimila sono entrate nei percorsi di accoglienza. A loro va aggiunto almeno un terzo che non viene registrato, quindi, l’ipotesi più plausibile, è che ogni anno le persone che transitano per la città e che poi spesso proseguono il viaggio per l’Europa del Nord siano circa 10mila.

Ventimiglia, ogni anno 30mila migranti bloccati

Ultimo comune italiano prima del confine francese, Ventimiglia è un luogo di frontiera. 25mila abitanti e 30mila migranti che ogni anno qui arrivano, si fermano, provano ad oltrepassare il confine per raggungere la Francia e vengono rispediti indietro alla frontiera. Dal 2011, dopo la primavera araba, i flussi si sono intensificati. Vivere in un luogo di confine significa avere a che fare con questi fenomeni, trovarsi il mondo a casa. Ventimiglia è diventata la “Lampedusa del nord” dal 2015. Quando la Francia ha letteralmente chiuso ogni punto di passaggio e i valichi di frontiera sono stati militarizzati per fermare e scoraggiare i flussi migratori. Nel 2020 tra Ventimiglia e Mentone sono state respinte 22mila persone. In alcuni giorni i respingimenti dalla Francia riguardano anche più di 100 persone. Da quando è stato smantellato il Campo Roja, a inizio pandemia, a Ventimiglia non c’è nulla di istituzionale per la primissima accoglienza di chi passa da qui per andare in Francia.

Moria a Lesbo, quello che è stato il più grande campo profughi d’Europa

È stato per anni il primo punto d’approdo dei profughi del Medio Oriente. Il campo di Moria pensato per duemila persone ne ha “imprigionate” fino a 20mila insieme nel 2020. A Lesbo ci sono migliaia di rifugiati dall'Afghanistan, dall'Iraq, dal Congo e da decine di altri Paesi. La notte tra l’8 e il 9 settembre 2020, un incendio devastò devastò il campo di Moria. All’indomani dell’incendio di Moria, le autorità Greche ed Europee avevano promesso che le condizioni di accoglienza sarebbero migliorate, ma le condizioni non sono migliorate.

Calais, la giungla francese

Nel nord della Francia, nella zona di Calais, dove i migranti tentano la traversata verso il Regno Unito, la strategia dello Stato rimane da anni sempre la stessa: espellere le persone dagli insediamenti informali. Nel 2021, Human Rights Observers (HRO) ha registrato 1.226 espulsioni, cioè 102 espulsioni al mese. Più di tre al giorno. Queste espulsioni si inseriscono nel contesto della strategia “Zéro point de fixation” delle autorità. Lo scopo è quello di evitare a tutti i costi che un accampamento diventi troppo grande, costringendo le persone a spostarsi.

Bosnia Erzegovina, il limbo del Cantone di Una-Sana

La Rotta Balcanica in Bosnia Erzegovina si blocca: i migranti non devono arrivare in Croazia. Il Paese che, insieme alla Turchia, “difende le frontiere europee”. Ma le difende da chi? La maggior parte dei profughi in Bosnia Erzegovina sono concentrati nel cantone di Una- Sana, al confine con la Croazia. Ce ne sono circa seimila – i numeri ufficiali non esistono – e sono concentrati nelle città di Bihač e Velika Kladusa. Tra aperture e chiusure dei campi profughi ufficiali è difficile tenere traccia delle persone. La maggior parte dei profughi vive negli squat, strutture fatiscenti e abbandonate. Stanno lì in attesa di provare il “game”, l’espressione che utilizzano per indicare il passaggio tra la Bosnia e la Croazia, a volte lo provano anche 20 volta prima di riuscire. E ogni volta sono gioco nella mani della polizia: violenze, rapine, uomini mascherati e vestiti di nero che fanno inginocchiare i rifugiati con le mani legate dietro la schiena per picchiarli con lunghi bastoni. Così si fingono svenuti come unica forma di autodifesa, ma la polizia continua, gli butta l'acqua addosso per sveglairli. La Croazia è la frontiera più dura per l’ingresso in Europa assieme a quella sul fiume Evros tra Turchia da una parte, e Grecia o Bulgaria dall’altra.

I 600mila migranti intrappolati in Libia

Partiamo da due dati sintetici: nel Paese ci sono 621mila migranti, di oltre 43 nazionalità diverse (dati Oim aggiornati a novembre 2021). Uomini, donne e bambini andati incontro alla detenzione arbitraria, alla tortura, a trattamenti crudeli, inumani e degradanti, agli stupri e alle violenze sessuali, ai lavori forzati e alle uccisioni illegali; 4300 persone si trovano nei centri di detenzione. L’unica cosa che sappiamo è che la Libia non è un Paese sicuro. Nel rapporto pubblicato da Medici Senza Frontiere “Out of Libya” vengono descritti tutti i punti deboli dei meccanismi di protezione esistenti per le persone bloccate nel Paese. I pochi canali legali verso paesi sicuri messi a punto da UNHCR e dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) sono lenti e restrittivi. Possono accedere alla registrazione solo le persone di 9 nazionalità, l’accesso alla registrazione è quasi inesistente al di fuori di Tripoli e nei centri di detenzione e i posti di ricollocamento nei paesi di destinazione sono limitati. Delle circa 40mila persone registrate con il programma di ricollocamento dell’UNHCR, solo 1.662 hanno lasciato la Libia lo scorso anno, mentre 3mila sono partite con il programma di rimpatrio volontario dell’OIM. Negli ultimi cinque anni sono state oltre 82mila le persone intercettate in mare e riportate in Libia, e allora perché continua il Memorandum tra i due Paesi, tra l’Italia e la Libia? L’assistenza dell’Unione europea ai guardacoste libici è iniziata nel 2016, così come gli intercettamenti in mare. La cooperazione è poi aumentata considerevolmente con l’adozione di un Memorandum d’intesa bilaterale, firmato da Italia e Libia il 2 febbraio 2017, e con l’adozione della Dichiarazione di Malta. Questi accordi costituiscono la base di una costante cooperazione che affida il pattugliamento del Mediterraneo centrale ai guardacoste libici, attraverso la fornitura di motovedette, di un centro di coordinamento marittimo e di attività di formazione. Gli accordi sono stati seguiti dall’istituzione della zona SAR libica, un’ampia area marittima in cui i guardacoste libici sono responsabili del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso. Queste azioni, in grandissima parte realizzate dall’Italia e finanziate dall’Unione europea, come ha denucniato più volte Amnesty International, hanno da allora consentito alle autorità libiche di riportare sulla terraferma persone intercettate in mare, nonostante sia illegale riportare persone in un luogo nel quale rischiano di subire gravi violazioni dei diritti umani.

Niger e il niente del deserto

Ogni mese, in media, vengono espulse dall’Algeria e dalla Libia 2000 persone, alcune con ferite gravi, sopravvissute a episodi di stupro, e con forti traumi. Al momento dell’espulsione, le persone vengono abbandonate in mezzo al deserto al confine tra Algeria e Niger, in un luogo chiamato “Punto Zero”, a 15 km dalla città di Assamaka. Secondo i dati forniti dall’Ong Alarm Phone Sahara, circa 8.207 persone sono state espulse dall’Algeria verso il Niger nel primo trimestre del 2022. Un numero simile dovrebbe riguardare quelli espulsi dalla Libia.

Libano, l’emergenza che è diventata quotidianità

I rifugiati presenti in Libano sono tantissimi ma nessuno è riconosciuto dal governo, che non ha mai firmato la convenzione di Ginevra sui profughi, dunque non riconosce lo status di rifugiato, per questo non ci sono campi strutturati, e per questo il problema dell’accoglienza è stato – anche – un problema di parole: come li chiamiamo? Profughi? Visitatori? Vivono da diversi anni in campi profughi informali nati in tutto il Paese, nelle tende, negli edifici abbandonati, nei garage senza finestre sul ciglio della strada. Le stime parlano di un milione e mezzo di persone. Sono per lo più profughi siriani che non possono tornare a casa: una casa ormai non ce l’hanno più o chi è scappato è ricercato dal governo di Assad e quindi non può più tornare indietro.
Per capire fino in fondo il peso di questo numero bisogna guardare ad un altro dato, quello dei cittadini libanesi, poco più di sei milioni di abitanti per un Paese grande quanto l’Abruzzo. La situazione è ancora più drammatica da quando – con l'aggraversi della situaizone interna nel 2019 – l’80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, la lira libanese si è svalutata del 90%. Il Libano è un Paese che sta collassando, sotto tutti i punti di vista e i profughi siriani insieme a lui.

Siria, 7 milioni di sfollati interni

Un quarto della popolazione mondiale dei rifugiati è siriana: 6,8 milioni di persone. A loro si aggiungono 7 milioni di sfollati interni, la più grande popolazione di sfollati interni del mondo. La crisi in Siria è ormai giunta al suo undicesimo anno e, in molte zone, i bisogni umanitari sono ancora elevatissimi. Nel 2020 i rapporti di forza sono cambiati ed il governo siriano che ha consolidato il controllo su vaste aree di territorio tra cui Homs, Ghouta orientale, Damasco meridionale e Daraa, mentre la situazione per i civili rimane estremamente instabile. Sono in corso conflitti e sfollamenti nei governatorati settentrionali, con il rischio di ulteriori escalation e insicurezza nel resto del Paese. La recessione dell’economia siriana, la svalutazione, l’aumento dei prezzi, il tasso di disoccupazione elevato hanno portato ad un grande aumento dell’insicurezza alimentare, che ad agosto 2021, ultimo dato disponibile, colpisce 12.8 milioni di persone.

Il confine terrestre tra il Marocco e la Spagna attraverso l’enclave di Melilla

Lo scorso 24 giugno 2000 i migranti hanno cercato di raggiungere la Spagna attraverso l'enclace di Melilla. Le vittime sarebbero almeno 37. Il canale televisivo Melilla afferma che i migranti che non sono riusciti a entrare sono tornati sulla montagna di Gurugú, dove la polizia marocchina sta smantellando diversi insediamenti. Gli immigrati sono prevalentemente di origine subsahariana e il Marocco si sta trasformando in da Paese di emigrazione a Paese di transito.

Più di 140mila migranti sono entrati dalla Colombia a Panama attraversando il Darién Gap

È una delle rotte di traffico di persone più pericolose al mondo. È una fitta foresta pluviale montuosa e paludosa di 25mila km quadrati, un corridoio controllato dal narcotraffico dove hanno il loro habitat naturale feroci giaguari, serpenti velenosi ed avvoltoi pronti ad attaccare chi giace a terra, morente. Il viaggio a piedi può durare dai 5 ai 15 giorni, a seconda delle condizioni atmosferiche, della resistenza fisica dei migranti e dell’abilità delle guide, i “coyote" che accompagnano dietro lauti compensi gruppi di disperati provenienti da tutto il mondo, dall'Africa, dall'Asia meridionale, dal Medio Oriente e dai Caraibi, che rischiano la vita nella speranza di raggiungere il “sogno americano" negli Stati Uniti. La maggior parte dei 140mila migranti nel 2021, 19mila dei quali bambini, proveniva da Haiti, mentre quest'anno il gruppo più numeroso è composto da venezuelani.

La Peñita, il villaggio panamense di 100 abitanti con 1200 migranti in transito ogni giorno

Quando escono dal Darien Gap, a bordo di canoe a motore, i migranti vengono portati a La Peñita, un villaggio che funge da centro di smistamento. Di fronte al centinaio di abitanti, qui si radunano ogni giorno sino a 1.200 migranti, per lo più in tende ed hangar, mentre un grande magazzino è stato riconvertito in un dormitorio. Per loro, tra cui moltissime donne e bambini, ci sono solo una dozzina di bagni chimici portatili, tutti in condizioni igieniche pessime. In una roulotte, i migranti consegnano i loro passaporti e si fanno scansionare l'iride e prendere le impronte digitali. Dopo le informazioni vengono inviate al sistema di registrazione biometrica degli Stati Uniti. La maggior parte dei migranti è controllata entro un paio di settimane e, poi, aspetta il proprio turno per salire a bordo di un autobus che li porterà in un campo profughi al confine con il Costa Rica.

6,2 i milioni di migranti venezuelani

I venezuelani che sono fuggiti dal loro paese dal 2013, quando l’attuale presidente Nicolás Maduro ha assunto il potere ereditato da Hugo Chávez, sono già oltre sei milioni, un quarto dell’intera popolazione, secondo le statistiche ONU. Due milioni di loro si sono rifugiati nella confinante Colombia, il secondo paese al mondo dopo la Turchia, e un milione in Perù. Il motivo per cui sono emigrati non è dovuto a una guerra, come i 7,2 milioni in fuga dall'Ucraina o i 6,8 milioni dalla Siria, ma per mancanza di cibo perché oggi il Venezuela ha gli stipendi più bassi al mondo, pari a 4 euro al mese. Eduardo Stein, il rappresentante speciale congiunto dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati e dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni Nazioni Unite ha avvertito che, se le cose non miglioreranno a Caracas, entro fine 2022 saranno 8,9 milioni i rifugiati venezuelani sparsi in 17 paesi dell'America Latina.

I 40mila di Tapachula, nel Chiapas

Tapachula è forse la più importante delle tante Lampedusa latinoamericane ed è una bomba a orologeria che potrebbe esplodere in qualsiasi momento a causa dell'elevato numero di persone che arrivano in questa città del Chiapas dopo avere attraversato la frontiera dal Guatemala. Situata vicino al confine, con appena 190mila abitanti ospita ben 40mila disperati, soprattutto venezuelani na anche molti cubani e haitiani, bloccati come fossero in un carcere dove non hanno alcuna possibilità di alloggio o di lavoro. In termini di richieste di asilo, l'anno scorso il Messico è stato il terzo paese al mondo a riceverne di più, con 131.400 richieste, superato solo dagli Stati Uniti con 188.900 e dalla Germania con 148mila.

Sono 10.000 i migranti venezuelani in rifugi a Boa Vista, la capitale della Roraima, in Brasile

Lo stato della Roraima è la porta d'ingresso per decine di migliaia di venezuelani in fuga dalla crisi economica. Oggi circa il 25% dei bambini nelle scuole e negli asili nido della capiutale Boa Vista sono di origine venezuelana. Negli ultimi 5 anni il Brasile ha concesso lo status di rifugiato a 287.000 venezuelani. Secondo i dati dell'Operazione Accoglienza, cui partner fondamentale è AVSI, sul totale dei venezuelani riconosciuti come rifugiati, circa 64mila sono stati distribuiti in 778 comuni verde-oro. Sono 600mila i venezuelani entrati in Brasile dalla Roraima negli ultimi anni.

I 7000 migranti deportati da Usa e Messico a Huehuetenango, in Guatemala

Tra il 1 gennaio e il 30 giugno, il Guatemala ha accolto 42.313 cittadini rimpatriati forzatamente dagli Stati Uniti e dal Messico. Di questi, quasi il 20 per cento sono del dipartimento di Huehuetenango e, una volta espulsi a forza, hanno deciso di tornare al luogo di origine ma, sicuramente, molti riproveranno a raggiungere il “sogno americano". Negli Stati Uniti oggi vivono circa tre milioni di guatemaltechi, la maggior parte dei quali sono irregolari. Sulle montagne di Huehuetenango, le più alte del paese a 1.900 metri sul livello del mare e nel cuore dei tropici, da 200 anni cresce uno dei migliori caffè del mondo. Il 10% dei migranti che parte da questo dipartimento guatemalteco che si trova nella regione nord-occidentale e confina con il Messico è composto da minori.

57.032 migranti cubani sono arrivati a El Paraíso, in Honduras nel 2022

Le cifre mostrano una incredibile crescita del 57mila % dell'afflusso di cubani rispetto allo scorso anno. Tutti entrano dal dipartimento di El Paraiso da confinante Nicaragua, che lo scorso novembre ha eliminato l'obbligo del visto per gli abitanti dell'Avana, unico paese ad averlo fatto in America latina, il che spiega questo vero e proprio boom. Da allora, sempre più cubani arrivano in Honduras da dove iniziano un difficile viaggio attraverso l'America Centrale e il Messico fino a raggiungere il confine con gli Stati Uniti.

Record di 140.602 i migranti cubani entrati negli Stati Uniti tra ottobre 2021 e maggio

Un anno dopo le proteste dell’11 luglio 2021, l'esodo dei migranti cubani è esploso, con un aumento di 10 volte rispetto all'anno precedente, secondo la US Customs and Border Protection. Il fenomeno è iniziato lo scorso novembre, quando i presidenti di Cuba e Nicaragua hanno eliminato i visti prima necessari ai cubani per andare a Managua con l’obiettivo di facilitare il meccanismo di uscita e abbassare la tensione che si era creata sull'isola con le manifestazioni di massa e la successiva repressione. Una strategia simile a quella di Fidel Castro che tre decenni fa, quando lo scontento sociale all’Avana stava per esplodere, aprì il rubinetto dell’emigrazione e ci fu lo storico esodo del 1980, che vide la partenza di 125.000 cubani dal porto di Mariel su centinaia di barche. Anche adesso le proteste hanno trovato la loro valvola di sfogo in quella che è stata ribattezzata la "Mariel silenziosa", un fenomeno migratorio che ha battuto ogni record.

1238 migranti morti nel 2021, il triste record dell’America latina

1238 migranti sono morti o scomparsi nelle Americhe l'anno scorso mentre attraversavano le frontiere nella speranza di una vita migliore, e più della metà dei decessi e delle sparizioni sono avvenuti al confine tra Stati Uniti e Messico, secondo uno studio del Missing Migrants Project, un'iniziativa sostenuta dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, l’OIM. È il numero più alto di decessi di sempre. Tra i corpi identificati, i messicani deceduti sono 154, seguiti da 129 guatemaltechi e 94 venezuelani.

Tornano ad aumentare i messicani che emigrano negli Usa. 400mila solo quest'anno

La migrazione dal Messico era diminuita tra il 2009 e il 2019, con un numero maggiore di messicani che lasciano gli Stati Uniti rispetto a quelli che arrivavano. Dal 2020, la combinazione tra la crescente violenza in Messico e il peggioramento della sua economia ha portato al primo aumento della migrazione messicana da 10 anni a questa parte. Il numero di messicani arrestati negli Stati Uniti è aumentato del 50% tra il 2019 e il 2020, passando da circa 170.000 a quasi 255.000. E la cifra continua a crescere: finora quest'anno ne sono stati fermati quasi 400.000.

I 400mila esuli nicaraguensi in Costa Rica

Nelle ultime settimane si è intensificato il numero di nicaraguensi in fuga dal Paese a causa dell'irrigidimento del regime di Daniel Ortega di fronte alle proteste sociali e all'applicazione di leggi che puniscono i dissidenti con il carcere. La maggior parte di essi si concentra in Costa Rica, la destinazione più vicina e familiare, una frontiera già da tempo rovente. "Si stima che ci siano tra i 350.000 e i 400.000 esuli nicaraguensi in Costa Rica", ha dichiarato Mariano Rosa del Movimento Socialista dei Lavoratori (MST), che dirige la Commissione internazionale per la vita e la libertà dei prigionieri politici in Nicaragua.

L’inferno di Trinidad e Tobago per 30mila venezuelani in fuga

Trinidad e Tobago è la nazione caraibica più vicina al Venezuela, situate a soli 24 chilometri dal povero stato settentrionale venezuelano di Sucre, dove i settori del turismo e del petrolio sono crollati. Su queste isole oltre 30.000 venezuelani sono arrivati negli ultimi tre anni rischiando la vita nelle mani di contrabbandieri e trafficanti di esseri umani. Coloro che sopravvivono ai naufragi e agli scontri violenti con le pattuglie di frontiera, che non esitano ad uccidere, non ricevono protezione all’arrivo e le donne sono molto spesso vittime della tratta e costrette alla schiavitù sessuale, spesso con la complicità dei corrotti funzionari locali. Trinidad è a detta dell’ONU lo stato che peggio tratta i migranti in fuga dal Venezuela.

Credit Foto apertura Medici Senza Frontiere


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