Famiglia & Minori

Minori ucraini non accompagnati: l’accoglienza in Italia sta funzionando?

I minori ucraini che arrivano insieme a educatori o ad adulti di riferimento diversi dai genitori, per l’Italia sono “non accompagnati” e quindi vengono collocati in comunità, con la nomina di un nuovo tutore. Sulla carta tutto fila, anche per le rassicurazioni di più giudici minorili sul mantenimento delle relazioni affettive e sul tutore italiano come supporto, non come antagonista. Ma nella realtà le dinamiche non sono così semplici, come dimostra il caso di 12 orfani accolti in Sicilia da Fondazione Èbbene

di Anna Spena

Al 30 giugno 2022 i minori stranieri non accompagnati ucraini in Italia sono 5.392. Secondo quanto previsto dalla Legge Zampa ed esplicitamente ribadito nel Piano Minori messo a punto per l'accoglienza dei profughi ucraini, va considerato come minore non accompagnato ogni bambino proveniente dall’Ucraina che si trova in Italia senza uno dei genitori, anche quando è accompagnato da un adulto di fiducia della famiglia, come una zia, una nonna o persino dal direttore dell’istituto in cui era accolto in Ucraina qualora questo non possa dimostrare di essere il tutore legale del minore. Il fatto che questi adulti, in Italia, si prendono cura dell'assistenza del minore, non li rende formalmente riconoscibili come tutori secondo la legge italiana. Per ciascuno di questi minori, quindi, i Tribunali per i Minorenni stanno provvedendo alla nomina di un tutore scelto dall’elenco dei tutori volontari o nominando un tutore istituzionale. Ma è giusto che, una volta arrivati in Italia, i minori che scappano da un Paese in guerra siano divisi dalle uniche figure di riferimento che conoscono? È una questione che abbiamo sollevato già nelle primissime settimane dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quindi con i primi arrivi. La ministra Lamorgese aveva dichiarato che «molti di questi minori giungono in Italia senza nessuna figura parentale di riferimento, mentre altri sarebbero giunti nel nostro Paese senza un genitore o un adulto legalmente responsabile, ma al seguito di nonni e zii, e dunque in compagnia di adulti le cui relazioni affettive andrebbero comunque tutelate pur in assenza di una responsabilità legale nei confronti di questi minori». Concetto confermato anche dalla presidente dell'AIMMF, Cristina Maggia: «La nomina di un tutore italiano non prelude ad un allontanamento dei bambini dai loro riferimenti affettivi o ad una separazione dai loro compagni. La nomina di un tutore italiano prevista dalla legge Zampa non deve essere assolutamente percepita come una indebita ingerenza nelle vite delle famiglie ucraine, né tantomeno è corretto pensare che possa preludere ad un allontanamento dei bambini dai loro riferimenti affettivi anche non genitoriali o ad una separazione dai loro compagni ove viaggino in gruppo. Va nominato un tutore italiano per mere ragioni di concreto sostegno in un momento così difficile e doloroso. Si ritiene infatti che l’affiancamento di un tutore italiano con competenze legali, che conosce la lingua e il funzionamento delle istituzioni locali, sia un arricchimento e un supporto a favore dei minori e dei loro accompagnatori ucraini, per facilitarli nella complessa organizzazione delle istituzioni italiane. È nostro dovere vigilare affinché la situazione di accoglienza sia conforme all’interesse e alla protezione del minore», aveva scritto.

Il caso siciliano

Lo scorso 11 maggio sono arrivati in Sicilia 63 orfani evacuati dall’Ucraina. I bambini, dai 4 ai 16 anni, provengono da orfanotrofi di Mariupol e Kramators'k, nell'Oblast di Doneck. L'operazione umanitaria è stata realizzata dalla rete di associazioni Stop the war now, coordinata dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. I 63 bimbi erano accompagnati da altre 21 persone, tra alcuni educatori con i loro figli, per un totale di 84 ucraini. I bambini sono stati accolti a Trapani, dalla diocesi locale, a Modica in una struttura della Comunità Papa Giovanni XXIII e a Catania, in due strutture della Fondazione Èbbene. «Come Fondazione», spiega Edoardo Barbarossa, responsabile area accoglienza di Èbbene, «abbiamo accolto 36 persone tra minori, educatori con cui sono arrivati in Italia e figli degli educatori, ipotizzando che potessero rientrare nel circuito di accoglienza diffusa e quindi nei 15mila posti messi a disposizione dal Terzo settore, tramite affidamento diretto».

Il bando della protezione civile

Anche in questo caso citiamo due fatti importanti: lo scorso 21 marzo è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ucraina, che tra gli altri, dà il via libera a reperire 15mila posti in ulteriori forme di accoglienza diffusa, diverse da quelle previste nell'ambito delle strutture di accoglienza (CAS e SAI), tramite affidamento diretto al Terzo settore. Questa accoglienza verrà attuata mediante i Comuni, gli enti di Terzo settore, i Centri di servizio per il volontariato, gli enti e le associazioni iscritte al registro di cui all' articolo 42 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e gli enti religiosi civilmente riconosciuti. A questo decreto è seguita, lo scorso 29 marzo, l’ordinanza 881 della Protezione Civile che dà attuazione a quella accoglienza diffusa da mettere a sistema. L’11 aprile viene pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali l'avviso per l'acquisizione di manifestazioni d'interesse per l'accoglienza diffusa a beneficio delle persone provenienti dall’Ucraina: ciascun soggetto di Terzo settore potrà mettere a disposizione da 300 a 3mila posti.

Cosa succede a chi faceva accoglienza diffusa ma è rimasto fuori?

«A distanza di mesi», dice Barbarossa, «la nostra accoglienza rimane in un limbo, perché non abbiamo il riconoscimento come strutture di accoglienza in quanto la Protezione Civile ha scelto di non inserire nelle convenzioni le strutture di accoglienza siciliane». Davanti alle richiesta di chiarimenti da parte della Fondazione alla Protezione Civile, la risposta è stata chiara: «Il quadro dei fabbisogni sulla base del quale procedere all'attivazione dei posti disponibili nell'accoglienza diffusa» – si legge nella nota che trovate in allegato – «è costituito tenendo in considerazione in primo luogo le presenze all'interno degli alberghi e delle strutture ricettive individuate dalle regioni e dalle province autonome. Infatti, l'accoglienza diffusa, unitamente alla disponibilità di CAS e SAI e al contributo di autonomo sostentamento, sono da considerarsi la via prioritaria di accoglienza, residuando, invece, le sistemazioni alberghiere e le altre strutture temporanee da attivare in caso di necessità. Stante quanto sopra, posto che ad oggi, sulla base dei dati comunicati delle strutture di coordinamento regionali, poiché non risultano persone assistite in alberghi o strutture ricettive nelle regioni Sicilia, Calabria e Basilicata, questo Dipartimento ha scelto di non procedere, al momento, alla stipula delle convenzioni per l'attuazione dell'attività di accoglienza diffusa con i soggetti proponenti che hanno offerto posti unicamente nelle su menzionate regioni mentre per gli Enti che hanno manifestato disponibilità di posti anche in altre differenti regioni, si procederà alla stipula delle convezioni per un numero di posti pari a quello offerto nella manifestazione di interesse decurtato dei posti indicati nelle regioni in argomento».

Quindi cosa succede ai minori accolti da Èbbene in Sicilia?

«Non è una questione di posti attivabile o meno», continua Barbarossa. «Siamo disponibili a farci carico, anche dal punto di vista economico, dell’accoglienza dei rifugiati ucraini. Il problema è che nel gruppo che accogliamo ci sono anche minori, minori che sono considerati dalle istituzioni italiane come MSNA e quindi anche se sono arrivati in Italia con i loro educatori ucraini – che ne hanno, per il Paese d’origine, la tutela legale – per lo Stato italiano devono essere ricollocati presso strutture accreditate dalla Regione Siciliana, senza tenere in alcun conto la presenza dei loro educatori ucraini, del loro legame con questi adulti (essendo orfani), delle fratrie e degli affetti che ci sono fra loro, del benessere che viene dall’aver ricostruito un habitat di confort nella nostra terra. È una strada che, francamente, riteniamo incomprensibile. Perché dividere le persone che accogliamo collocando in posti diversi persone scappate insieme dalla guerra? È evidente che la burocrazia prevale sulla solidarietà e l’idea di struttura su quella di accoglienza di tipo familiare. Per noi questi ragazzi non sono soli, non sono MSNA, ma una volta arrivati in Italia, la Questura ha stabilito che invece lo sono».

Un primo gruppo è già stato spostato

Lo scorso 24 giugno, così, il Presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, a seguito di segnalazione da parte del Servizio sociale della città etnea, ha chiesto al responsabile del medesimo Servizio, di concerto con la Prefettura, l’immediato reperimento di una struttura idonea al collocamento dei minori. «Giorni fa», racconta Barbarossa, «Il Servizio Sociale del Comune di Catania, ha eseguito il trasferimento di 12 minori e di due educatori in un’altra struttura. Ora entrambi gli educatori pensano di lasciare l’Italia perché di fatto ci sono altre figure professionali a cui è stato dato il compito di dedicarsi agli orfani. Ripetiamo, come Fondazione, che questa non è la strada corretta».

La risposta del Tribunale

Questo primo gruppo di minori è stato spostato perché «i serivizi sociali hanno stabilito che fosse opportuno spostare i minori e i loro educatori in una struttura con standar qualitativi adeguati», spiega Roberto di Bella, presidente del Tribunale per i minorenni di Catania. «La Fondazione Èbbene, che fa parte dell'organizzazione Papa Giovanni XXIII sta facendo un lavoro encomiabile, per noi sono punti di riferimento». Il Tribunale per i minorenni di Catania, che comprende anche i distretti di Ragusa e Siracusa, prende la questione dei minori con la massima serietà ed è stato in realtà il primo in Italia a firmare un protocollo d'Intesa con Unicef e Save the Children, di durata biennale, che si svilupperà attraverso l’implementazione dell’orientamento socio-legale e dell’assistenza alle persone in difficoltà, con particolare attenzione ai minori stranieri non accompagnati e a quelli a rischio di sfruttamento, abuso ed esclusione sociale. Il supporto informativo e l’orientamento socio-legale sono rivolti anche a tutori volontari, operatori di comunità e alle altre figure adulte di riferimento. Il Tribunale è supportato, su richiesta, nella mediazione culturale attraverso il servizio Helpline multilingue, gratuito, di Save the Children. «La collaborazione con Save the Children», dice Di Bella, «che rappresenta una precedente assoluto nella tutela dei minorenni stranieri non accompagnati, soprattutto per quelli provenienti dalle zone di guerra dell’Ucraina, rafforza l’azione del Tribunale per i minorenni a tutela dei minori in condizioni di disagio e consentirà di apprestare forme di tutela sempre più efficaci e rispondenti alle esigenze di chi si trova in difficoltà. Peraltro, le sinergie previste dal protocollo si pongono in linea con la direttrice operativa fissata dal Tribunale per i minorenni di Catania e dalla Prefettura di Catania, nell’ambito dell’accordo tra pubbliche amministrazioni che istituisce l’Osservatorio prefettizio sulla condizione minorile nella città metropolitana. La sinergia tra il settore pubblico e il privato sociale qualificato per noi è la strategia vincente». Sono circa 200 i minori ucriani non accompaganti accolti nel catanese: «Rispettiamo e garantiamo», aggiunge Di Bella, «fin dall'inizio, la relazione affettiva. Accogliamo i minori con nonni e zii e nominiamo un tutore terzo. Rispettiamo le fratrie, proviamo a non dividere i gruppi arrivati insieme e comunque organizzaimo momenti d'incontro per loro. E continuo a ripetere che riteniamo la Fondazione Èbbene un punto di riferimento per noi e che fin dall'inzio ha dato un grande supporto. Ed è importante sottolineare che questa accoglienza è temporanea sia per i bimbi i cui genitori sono rimasti in Ucraina, sia per i bimbi orfani. La temporaneità è legata all'emergenza bellica».

Il caso di Bolzano

Tutti i minori in Italia senza un genitore sono quindi minori stranieri non accompagnati e collocati in una comunità? Che questa non sia l'unica interpretazione possibile lo dimostra il caso del Tribunale dei minorenni di Bolzano, che con un provvedimento del 6 aprile 2022 ha respinto le richieste di ratifica delle misure di accoglienza e di nomina di tutore per un gruppo di minorenni arrivati in Italia insieme alla responsabile dell’orfanotrofio di tipo familiare in cui erano ospitati in Ucraina, di cui abbiamo già parlato. «La cittadina straniera», come riporta l’Asgi, «aveva presentato i provvedimenti adottati dalle autorità ucraine con cui i minori erano stati affidati all’orfanotrofio di tipo familiare e le lettere del Consolato ucraino a Milano e del Ministero della Giustizia dell’Ucraina in cui si confermava che ne era affidataria e tutrice. Nonostante la plurima documentazione prodotta, pur se in lingua originale, e l’evidente legame affettivo esistente tra la signora A. e i minori, il Pubblico Ministero minorile di turno ha decretato la necessità di dividere preventivamente il nucleo e di considerare i minori come non accompagnati. I servizi sociali di Bolzano hanno dunque individuato strutture per il collocamento ai sensi dell’art. 19 D.Lgs 142/2015, prevedendo quindi la separazione dall’affidataria. Tali decisioni hanno determinato l’intervento sia del Ministero della Giustizia ucraino che del Consolato ucraino di Milano con invio alla Procura di Bolzano di specifiche comunicazioni a conferma dell’esistenza in Ucraina della forma giuridica dell’orfanotrofio di tipo familiare e della validità dei provvedimenti ucraini prodotti che avrebbero dovuto essere direttamente riconosciuti ed eseguiti in forza della Convenzione dell’Aja del 1996. A fronte del ricorso presentato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni per la richiesta di ratifica delle misure di accoglienza predisposte a favore dei minori e la nomina di un tutore, è stato effettuato un intervento nel procedimento finalizzato ad evitare la separazione del nucleo e a far rispettare i provvedimenti ucraini. Il Tribunale ha accolto le richieste presentate dalla cittadina straniera e disposto l’affidamento dei minori ai Servizio sociali del Comune per dimetterli dalla comunità, affidarli alla cittadina ucraina e sostenere la stessa nell’inserimento temporaneo in Italia e nella scolarizzazione dei minori». La decisione del Tribunale dei Minorenni di Bolzano, dunque, chiarisce come l’assenza di un genitore non si traduca automaticamente nella necessità di reperire un’accoglienza ex art. 19 qualora vi sia la possibilità di un collocamento familiare – laddove il concetto di familiare va inteso in senso ampio fino a comprendere anche persone meramente conviventi. Precisa, inoltre che i minori ucraini non accompagnati da almeno un genitore ma da altro “famigliare” non possano automaticamente essere definiti Minori Stranieri Non Accompagnati.


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