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Mario Giro

Sulle migrazioni, l’Unione Europea rischia di sparire

di Joshua Massarenti

Oltre 150 capi di Stato e di governo, tra cui il Premier Matteo Renzi, sono attesi a New York per partecipare alla 71° Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Oggi in un Palazzo di Vetro blindato dopo le esplosioni a Manhattan, si terrà il Summit sulle migrazioni voluto da Obama, a cui seguiranno domani un altro Vertice ONU sui rifugiati e il 21 un side event organizzato dall'Italia. Alle Nazioni Unite si presenta un'Unione Europea debole, fragile e disunita dopo il fallimento del Vertice di Bratislava. Parla il Vice Ministro degli Esteri con delega alla cooperazione internazionale.

Vice Ministro, oggi al Palazzo di Vetro si presenta un Presidente del Consiglio estremamente deluso, per non dire furente, dall’esito del Vertice di Bratislava. Lei che giudizio da a questo Summit?

Condivido appieno le parole espresse dal Premier all’indomani del Vertice. E’ stato fatto troppo poco e troppo tardi. E’ un esito che temevamo da molti mesi. Oggi più che mai la Commissione europea deve fare di più sulle migrazioni, perché di fronte a noi c’è un Consiglio europeo fagocitato dai veti incrociati.

Che cosa si può fare per ricucire lo strappo di Bratislava?

Bisogna trovare il coraggio di fare politica. Se il Consiglio è bloccato è inutile che la Commissione medi molto a monte quando sottopone le sue iniziative e proposte agli Stati Membri se poi deve farlo a valle con gli stessi Stati Membri per trovare un accordo equilibrato, deve avere il coraggio di fare delle proposte politiche molto più forti e riprendere in mano tutto il suo potere di iniziativa. Quello di Juncker è stato un buon discorso sullo Stato dell’Unione, ma dalle parole bisogna poi passare ai fatti e non farsi umiliare dal Consiglio. Per quanto riguarda gli Stati Membri, mi sembra che la botta presa con il Brexit sia stata molto forte ed altrettanto forte è la rassegnazione a chiudersi su stessi. Di questo passo, l’Europa muore.

Come giudica l’atteggiamento di Francia e Germania in Slovacchia?

La preoccupazione del Premier è che si continui come se nulla fosse. Ma l’era del business asusual non può andare avanti. Siamo in una situazione di grave pericolo.

La preoccupazione del Premier è che si continua come se nulla fosse. Ma l’era del business as usual non può andare avanti. L'Unione Europea è in una situazione di grave pericolo.

Intanto alle Nazioni Unite, l’Ue rischia di fare l’ennesima figuraccia…

Il Brexit deve essere colto come un’opportunità per rifondare l’Europa, che invece rischia di dissolversi lentamente. Non vorrei che il Summit sulle migrazioni fosse ricordato come una delle tante tappe del crollo dell’Unione.

Eppure la scorsa settimana era iniziata bene con il lancio del Piano di investimenti esteri dell’UE per l’Africa e i Paesi del Vicinato…

Il piano va sicuramente nella direzione giusta, è una svolta rispetto al Quadro di partenariato sulle migrazioni presentato dalla stessa Commissione europea a giugno, e lontana dall’approccio del Fondo fiduciario per l’Africa adottato al Summit Ue-Africa di La Valletta nel novembre 2015. Al di là del Vertice di Bratislava, l’Ue ha gli strumenti per dare una svolta nei rapporti con il continente africano, sia sulla gestione dei flussi migratori che sullo sviluppo. Se vogliamo dirla con una battuta, dobbiamo fare meglio dei cinesi, ovvero tornare ad investire sul serio nel continente africano per crearvi occupazione, sostenerne la crescita economica in modo sostenibile, frenare di conseguenza i flussi e consentire al tempo stesso alle imprese europee di tornare su un mercato a cui abbiamo voltato le spalle molti anni fa. Ma non bisogna illudersi: ovunque nel mondo, ci saranno sempre esseri umani in movimento, noi siamo pronti a formare giovani africani che poi torneranno nei loro paesi per aiutarli a svilupparsi.

Non bisogna illudersi. Ovunque nel mondo, ci saranno sempre esseri umani in movimento, noi siamo pronti a formare giovani africani che poi torneranno nei loro paesi per aiutarli a svilupparsi.

Gli investimenti sono quindi la chiave di volta delle relazioni Ue-Africa?

Se pensiamo di “aiutarli a casa loro” solamente attraverso le politiche di sviluppo, non ci arriveremo mai. Gli aiuti sono importanti perché guardano molto agli aspetti umani e ambientali, ma oggi è necessario anche che il settore privato torni a investire in Africa e nei Paesi terzi, con forza e in modo sostenibile. Ci sono settori come l’energia rinnovabile e l’agribusiness i cui bisogni sono enormi. L’Enel la sua parte la sta facendo sulle rinnovabili, bisogna potenziare la presenza delle imprese europee sul continente africano.

Sulla condizionalità degli aiuti sottoposta dall’UE ai Paesi partner per bloccare i migranti ed accettare i rimpatrii, c’è stato uno scontro aperto con la Mogherini. Pace fatta?

Non c’è mai stato scontro. Abbiamo semplicemente detto che spesso la condizionalità non porta i frutti sperati. E’ un’illusione pensare che uno Stato africano fragile, già povero di per sé, esposto alla minaccia terroristica e che controlla molto difficilmente le sue frontiere, possa accettare un simile approccio. L’Africa va presa sul serio. La vera condizionalità va imposta sui diritti umani e la governance.

Qual è la posizione della Mogherini?

E’ d’accordo, ma deve anche fare i conti con le anime e gli interessi che compongono l’Unione Europea. E qui si torna a Bratislava, dove la risposta politica non è stata assolutamente all’altezza delle sfide che ci attendono sulle migrazioni. Invece vorrei congratularmi con l’Alto Rappresentante per l’ottimo lavoro svolto in questi ultimi tempi.

Sulle migrazioni si parla solo ed esclusivamente dell’Ue, sullo sguardo che hanno i leader africani invece niente. Lei è in contatto regolare con molti di loro, come percepiscono l’Unione su questa partita?

Ne discutono molto, ma vogliono essere trattati come veri partner, e non come semplici interlocutori a cui si dice cosa fare e non fare.

Quali le loro richieste?

Vogliono imprese, imprese e imprese. Insomma piani di investimenti ambiziosi.

L’Africa va presa sul serio. Vuole essere trattata come un vero partner e chiede investimenti. La vera condizionalità va imposta sui diritti umani e la governance.

E in cambio quali garanzie sono disposti a dare sui diritti umani o la lotta contro la corruzione?

Sono tutti temi che fanno naturalmente parte del dialogo politico. Se un Paese vuole negoziare con noi, deve sapere che negozia con delle democrazie. Non vogliamo esportare un modello democrazia pre-confezionato, lasciamo ad ognuno dei nostri partner il tempo di fare il proprio cammino, ma stiamo molto attenti ai diritti umani. Quest’attenzione non si limita soltanto ai negoziati sulle questioni migratorie, ma su tutte le politiche di sviluppo. I progressi ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi dieci anni, molti Stati sono passati da regimi autoritari a regimi semi-autoritari, se non addirittuta democratici. Dobbiamo continuare a sostenere questo processo, sapendo che siamo sfidati dalle cosiddette “democrature” – ovvero regimi dove la democrazia è di facciata – più attenti alle libertà economiche che a quelle politiche e civili.

Molti continuano a criticare il Fondo fiduciario per l’Africa, gestito secondo le Ong con criteri opachi…

Il Fondo è stato creato con vecchi criteri, andrà avanti per conto suo e dovremo sicuramente seguirne con attenzione l’implementazione, ma la vera sfida riguarda il nuovo piano di investimenti esteri presentato la scorsa settimana.

Vorrei congratularmi con l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Federica Mogherini, per l’ottimo lavoro svolto in questi ultimi tempi.

Torniamo al Summit di New York sulle migrazioni. Quali le sue attese?

Le migrazioni sono ormai in cima all’agenda politica globale. L’Asia e l’Africa sono i continenti più coinvolti da questo fenomeno, con l’Europa che accoglie una minima parte di migranti, ma che è in preda al panico. Dobbiamo trovare il modo di rendere il fenomeno circolare per il semplice fatto che la gente continuerà a spostarsi, soprattutto i giovani. Con oltre un miliardo di ragazzi e ragazze nel mondo, abbiamo raggiunto il picco demografico giovanile. E’ quindi necessario passare da una politica emergenziale ad una politica incentrata sulla circolarità, la formazione e l’integrazione. Non esistono alternative.

A New York ci saranno tre grandi eventi: il Summit voluto da Obama, quello delle Nazioni Unite e un importantissimo side event organizzato dall’Italia. Così come per Bush, l’attuale Presidente degli Stati Uniti ha un enorme problema con i flussi migratori provenienti dal Messico e con l’integrazione. Da anni negli Stati Uniti il Congresso blocca le sanatorie, che potrebbero favorire l’integrazione della minoranza latinoamericana, che tanto minoranza non lo è più, ma il peso è e sarà sempre più importante nell’elettorato statunitense. Ecco perché Obama ci tiene a dedicare un Summit sulle migrazioni, un tema che sarà al cuore del side event italiano, in cui si discuterà dei corridoi umani e dell’iniziativa straordinaria portata avanti da Sant’Edigio assieme alla Chiesa valdese e alla Federazione delle Chiese evangeliche, e a cui potrebbe aderire la Cei.


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