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Alle mafie diciamo No”i”

di Anna Spena

Gianni Bianco, giornalista, e Giuseppe Gatti, magistrato, raccontano le vite di tanti cittadini comuni che, nel gioco di squadra, hanno trovato la forza di ribellarsi ai boss. Dal ruolo dei giovani alla legalità 2.0 passando per la lotta delle donne dove il percorso di riscatto e di emancipazione è spesso generato da un atto d'amore

Per sconfiggere le mafie, bisogna conoscerle. Soprattutto le meno note e sottovalutate, come quelle del Foggiano. Ma dopo lo studio, bisogna passare all’azione.

Non da soli, ma costruendo il Noi. E a essere protagonisti delle pagine del libro da pochi giorni pubblicato da edizioni Città Nuova sono i tanti cittadini comuni che, nel gioco di squadra, hanno trovato la forza di ribellarsi ai boss. Da Scampia alla Locride, da Vieste all’Emilia.

Gli autori Gianni Bianco, giornalista, e Giuseppe Gatti, magistrato, di “Alle Mafie diciamo Noi” raccontano le vite di chi fa della legalità uno strumento di bene comune, lavoro, studio, sviluppo sociale ed economico.

«Quello che traspare con forza è la passione civile degli autori, la loro fede in una democrazia vera, basata sulla responsabilità, sull’impegno di tutti per il bene comune. Passione civile – scrive Luigi Ciotti nella postfazione – che è anche passione pedagogica. Il libro è rivolto ai ragazzi ai quali parla con un linguaggio semplice, diretto, ma al tempo stesso profondo, capace di riportare i concetti alla loro fonte: le esperienze e le storie delle persone».

Quando e com’è nata l’idea del libro?
GB Prima del libro c’è un’amicizia, una di quelle profonde e importanti che danno sapore ad una vita intera. Con Giuseppe Gatti ci conosciamo fin da bambini, abbiamo condiviso partite a pallone e prime cotte da bambini, iniziative di volontariato e difficoltà da ragazzi. Ma anche ideali come solidarietà, legalità, accoglienza, pace. Le scelte professionali ci hanno diviso, io ho seguito la via del giornalismo, lui della magistratura. Ma non ci hanno tolto la voglia di trovare uno strumento che ci permettesse di continuare a coltivare quei progetti insieme, anche da grandi. E’ il libro ci ha dato questa possibilità, l’incontro con i ragazzi delle scuole ha dato invece senso a questo impegno comune.

Qual è il valore aggiunto di un libro scritto a quattro mani?
GB Credo sia quello di dare fin dalla scrittura, un’idea precisa di cosa sia e quale forza abbia il “Noi”. Ognuno per costruire un paese migliore, non intossicato dalla mafie, deve dare il meglio di sé. Ma a poco vale se non ci si mette insieme superando individualismi e protagonismi. Abbiamo provato a farlo noi per primi, per questo il libro è stato un piccolo laboratorio del “noi” che adesso mostriamo ai ragazzi delle scuole come una possibilità concreta: quella di trovare la propria realizzazione umana e professionale, non da soli, ma insieme.

In quanto tempo avete raccolto le storie?
GB Cinque anni fa scrivevamo “La legalità del noi”, da allora ci siamo messi in viaggio e ad ogni tappa del nostro giro tra scuole, associazioni, beni confiscati e parrocchie, abbiamo incontrato cittadini attivi, capaci di sfidare i clan con coraggio, confidando sulla forza del “noi”. Ogni volta ci dicevamo: questa storia andrebbe raccontata, quest’altra dobbiamo farla conoscere, perché ognuna ci sembrava portatrice di nuovi semi di speranza. Per questo abbiamo deciso di piantare quei semi in un nuovo libro, provando a immaginare quali frutti quelle storie potranno ora portare.

La genesi del titolo
GB Il titolo nasce dall’esigenza di sottolineare quel particolare apporto che ognuno può e deve dare per costruire di un paese migliore, non più ostaggio dell’arroganza delle cosche. Siamo convinti che il movimento antimafia, al netto del doppio gioco di qualcuno, abbia dato fin qui un contributo eccezionale, dicendo collettivamente un “no” deciso ai boss e alle loro logiche. Per fare un passo avanti tocca ora però che ognuno di noi aggiunga qualcosa di sé a quel “no”. Nella piccola “i” che trasforma il “no” in “noi”, c’è proprio la chiave per vincere la sfida. E’ il passo che viene chiesto a ciascuno di noi, dare un contributo per costruire comunità solidali, nelle quali l’altro non sia vissuto come un ostacolo o un avversario, ma come un dono, una risorsa, un compagno di viaggio con cui camminare insieme.

Che ruolo hanno i giovani? Che cos’è la legalità del noi 2.0?
GB Il ruolo dei giovani è fondamentale. Conquistarne altri alla causa, è il più importante investimento che si possa fare sul futuro del Paese. E noi lo abbiamo visto, nelle scuole da Nord a Sud. La generazione di “sdraiati” si rimette in marcia quando si sente coinvolta, quando percepisce di aver un ruolo attivo, quando gli si prospetti un’alternativa. Don Ciotti lo ripete spesso, “non bisogna dare loro solo un posto, ma far loro posto”. Chiedono stabilità e lavoro, ma anche orizzonti più ampi di quelli costruiti dalla virtualità dei social. Per questo parliamo di “legalità del noi 2.0”. Abbiamo proposto loro un impegno comune nella lotta antimafia, loro l’hanno tradotto nel loro linguaggio, inventando strumenti nuovi e moderni per coinvolgere i compagni. Per spingerli a cercare la loro strada, nel libro abbiamo provato a raccontare anche le storie di alcuni eroi civili della lotta alla mafia ma focalizzandoci sul momento della scelta, quella che si presenta agli adolescenti quando devono decidere da che parte stare e cosa fare da “grandi”. E siamo convinti che sin dai banchi di scuola si scrivano i percorsi di uomini e donne che domani saranno amministratori pubblici onesti, imprenditori corretti, cittadini attivi.

GG Più passa il tempo e più mi convinco sempre di più che la lotta alla mafia e alle mille forme di illegalità che devastano il nostro meraviglioso Paese non possa essere concepita soltanto come un attività di contrasto giudiziario. I processi, gli arresti e le condanne sono il momento in cui lo Stato cerca di sconfiggere la criminalità con la repressione, ma quando si arriva a questo siamo già in ritardo, perché i reati sono già stati commessi e, in qualche modo, il danno è già stato fatto.Spesso il carcere, che rappresenta la sanzione con cui vengono punite le condotte più gravi, peggiora ancora di più le cose, perché per un ragazzino, che aspira a diventare un boss, andare in galera vuol dire in qualche modo “poter fare carriera”. In carcere puoi fare le conoscenze giuste, puoi farti apprezzare per la capacità di importi e di farti rispettare: è lì che, principalmente, si fanno i battesimi, con cui si consacra l’avvenuta affiliazione mafiosa oppure gli innalzamenti, che segnano il passaggio di grado da picciotto a vero e proprio boss. E’ per questo che bisogna concentrare il massimo dello sforzo possibile sulla prevenzione e la prevenzione deve necessariamente partire dal dare una risposta concreta ai bisogni e alle aspettative delle giovani generazioni. Investire sulla prevenzione vuol dire impegnarsi seriamente per sconfiggere il dramma della disoccupazione giovanile, ma, ancora prima, potenziare al massimo l’offerta educativa, sostenendo e valorizzando il lavoro preziosissimo dei nostri insegnanti e di tutti coloro che spendono tempo energia e risorse nella formazione dei giovani, vivendo a diretto contatto con loro. Molti pensano che la scuola debba essenzialmente limitarsi a trasmettere ai nostri figli delle competenze legate ai programmi previsti dalle diverse discipline, allo scopo di farli diventare dei “bravi professionisti”. Per questa ragione i progetti socio-educativi, che vanno sempre più arricchendo il quadro delle attività scolastiche, sono visti, talvolta, come una inutile perdita di tempo, sottratto alla “produttività scolastica. Nulla di più sbagliato.Penso che la scuola debba aiutare i nostri ragazzi a diventare prima di tutto dei “bravi cittadini”, ovvero persone “libere ma allo stesso tempo responsabili”, in grado di comprendere l’importanza del contributo che ciascuno può dare per rendere migliore questo paese; persone capaci di rispetto, accoglienza e, soprattutto, di solidarietà… sì perché è proprio attraverso la solidarietà che riusciamo a sentirci veramente parte di questa nostra grande comunità.

Qual è il ruolo delle donne nella lotta alla mafia?
Sono loro le rondini che fanno intuire la primavera dell’antimafia. Quando il cupo inverno dell’omertà maschile sembra non passare mai, il coraggio delle donne, annuncia i tempi nuovi. Accade nel Foggiano dove non ci sono collaboratori di giustizia ormai da anni, nessuno dentro i clan parla, ma ci sono madri che scelgono di dissociarsi e passare con lo Stato, per dare un futuro diverso ai propri figli. E accade in Calabria dove arrivano a sostenere i provvedimenti del Tribunale dei Minorenni che sospendono la potestà genitoriale pur di far sperimentare ai “figli di mafia”, che un altro mondo è possibile. Se una speranza di sconfiggere le mafie c’è, sono proprio le donne ad alimentarla con la loro scelta d’amore.

GG Reagire alla mafia significa innanzitutto vincere la solitudine…E la solitudine non la si può vincere da soli…c’è bisogno di un “incontro”…di una relazione, una relazione forte, una relazione d’amore. C’è bisogno di un “NOI”. Nel foggiano non ci sono da molti anni collaboratori di giustizia, perché quelle poche volte che qualcuno prova a fare il grande salto, la famiglia e gli amici più cari puntualmente lo abbandonano e lui, una volta rimasto solo, fa marcia indietro. Paradossalmente fa più paura l’idea di dover affrontare tutto da soli piuttosto che il fatto di mettersi contro i mafiosi. Abbiamo detto che nel foggiano scarseggiano i collaboratori di giustizia, ma questo vale soprattutto per gli uomini. Per le donne il discorso è diverso e, a questo punto, non a caso.

Il percorso di riscatto e di emancipazione è quasi sempre generato dall’amore per i figli, quei figli a cui si vuole dare, a tutti i costi, un futuro diverso, un futuro migliore. L’ “incontro” di una madre con suo figlio…, diventa quel “NOI” per cui spendersi, quel “NOI” in cui credere, quel “NOI” in cui trovare l’energia per dire basta, la forza di denunciare e la voglia di cambiare. Le donne, le persone più fragili e indifese, quelle che più di tutti portano nel corpo e nell’anima i segni e le ferite di quella violenza bestiale attraverso cui si afferma la prevaricazione mafiosa, diventano così seme di speranza e offrono a tutti una prospettiva di cambiamento possibile…anche in terre difficili come queste.

GLI AUTORI

Gianni Bianco è vice caporedattore della redazione cronaca del Tg3.

Giuseppe Gatti è sostituto procuratore della Repubblica presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Bari.Per Città Nuova hanno scritto nel 2013 La legalità del Noi. Le mafie si sconfiggono solo insieme. Da allora, insieme, incontrano studenti e insegnanti in giro per l’Italia.


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