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Giusella Finocchiaro

Fondazioni: il modello sia partecipativo

di Redazione

«Già prima dell’emergenza pandemica a fronte di un contesto economico-sociale pesantemente modificato dalla crisi, abbiamo ripensato il nostro ruolo secondo il modello partecipativo, con l’obiettivo di fungere da coordinamento e stimolo fra i diversi soggetti». Riprendiamo l'intervista alla presidente della della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna pubblicata sul magazine di dicembre in occasione dei 30 anni delle Fob. Nelle correlate i dialoghi con il presidente di Acri e Compagnia San Paolo, Francesco Profumo, il presidente di Fondazione Cariplo Giovanni Fosti, il presidente della Fondazione di Sardegna, Antonello Cabras e quello di Carisap Angelo Galeati

Pnrr: il grande nodo del Piano oggi è la sua effettiva “messa a terra”. Quale contributo concreto possono dare le fondazioni affinché un importo così rilevante di risorse diventi reale risorsa per le comunità?
Le opportunità fornite dal Pnrr devono essere colte a pieno e le fondazioni, in quanto “corpi intermedi”, sono chiamate, insieme agli altri protagonisti della vita civile del Paese, a immaginare nuovi scenari per costruire comunità sempre più solidali, sostenibili e inclusive, proponendosi come antenne del territorio e come ponte fra diversi soggetti. Ricostruzione e ripartenza sono concetti ricorrenti nei documenti programmatici, così come la definizione delle modalità attraverso le quali garantire la “messa a terra” degli interventi nel modo più efficace possibile. Tre le direttrici cruciali: la velocità della risposta ai bisogni poiché la crisi economica necessita di riscontri immediati; il monitoraggio delle azioni messe in campo per rafforzare la responsabilizzazione degli attori coinvolti ed eventualmente ritararle in maniera tempestiva; l’approccio partecipativo che garantisca il coinvolgimento di tutti i soggetti attivi nelle comunità. Un approccio basato sul principio di sussidiarietà e sulla partecipazione, sperimentato ormai da tempo, che può contribuire a far sì che i progetti siano più efficaci e duraturi.

Innovazione: per la fondazione che presiede questo termine cosa significa in concreto nel rapporto con le comunità di riferimento?
Il grave shock provocato dall’emergenza pandemica ha rappresentato una sfida senza precedenti, ma anche un’opportunità per ripensare e ritarare le modalità di azione adattandole al cambiamento. Attraverso nuovi modelli di lavoro e di relazioni molte organizzazioni si sono dimostrate resilienti, potendo contare sull’accompagnamento da parte della fondazione di sperimentazioni innovative. Tutti abbiamo dovuto rispondere a interruzioni, imprevedibilità e cambiamenti uniti. Così, mentre il vissuto di ciascuno di noi migrava rapidamente online, abbiamo assistito nel giro di pochi mesi a una profonda trasformazione delle modalità di operazione e interazione, si pensi ad esempio all’accelerazione verso la trasformazione digitale. Molte di queste esperienze andranno conservate e sistematizzate, in modo da aiutare le comunità a navigare in periodi di cambiamento accelerato e a muoversi verso l’innovazione e la crescita futura. Questa è, dunque, una consapevolezza che nasce dalla lezione appresa nei mesi della pandemia.

Coprogettazione: come pensa di favorire l’implementazione di questo modello di policy nel rapporto con Terzo settore e pubbliche amministrazioni
Prima dell’emergenza pandemica a fronte di un contesto economico-sociale pesantemente modificato dalla crisi, abbiamo ripensato il nostro ruolo secondo il modello partecipativo, con l’obiettivo di fungere da coordinamento e stimolo fra i diversi soggetti. In anni di incertezza, nei quali appariva difficile una programmazione di ampio respiro, abbiamo proposto stabilità e pianificazione, qualificandoci non solo come ente erogatore, ma come parte attiva nell’elaborazione e attuazione di piani fondamentali sul territorio. I nostri partner vedono in noi un interlocutore solido, noi vediamo loro come cocostruttori di politiche attive verso una ridefinizione del welfare state, nell’ambito di un rapporto indipendente e sussidiario che significa essere consapevoli dei ruoli diversi ma anche del fatto che territorio e beneficiari sono gli stessi. Abbiamo così realizzato un patrimonio indivisibile: la fiducia reciproca. E gli economisti ci ricordano spesso quanto questa abbassi i costi di transazione.

Impresa sociale: può essere davvero l’architrave di un nuovo modello economico? Come le fondazioni possono costituire un fattore di spinta su questo fronte?
Ritengo che le imprese sociali possono essere annoverate tra gli interlocutori più vocati all’innovazione e più reattivi. Nei mesi della crisi hanno infatti dimostrato di essere capaci di rafforzare i propri servizi, sostenendo spesso direttamente l’aumento dei costi, riprogrammare le attività, che spesso ha significato il passaggio al digitale dei servizi prima previsti in presenza, ampliare l’offerta per far fronte alle aumentate fragilità che la pandemia ha portato con sé. Una recente ricerca condotta da Iris Network ha evidenziato come molte imprese sociali abbiano superato la crisi mostrando un comportamento resiliente. Nello specifico, viene evidenziato come abbiano saputo rispondere a esigenze nuove e urgenti, reinventarsi e trasformarsi per portare avanti le attività e continuare a essere “punti di riferimento per i propri utenti e le comunità”. Dunque riconosciamo nelle imprese sociali alcuni fattori determinanti che sono anche i nostri: la solidità organizzativa, i valori di riferimento, la capacità connettiva con il territorio e l’investimento in competenze.

Le priorità: quali sono i bisogni del territorio che sentite come prioritari nei prossimi anni e su cui farete i maggiori “investimenti"?
Obiettivo prioritario sarà contrastare le diseguaglianze economiche e sociali e rafforzare la coesione sociale, in particolare sostenendo interventi finalizzati alla promozione della solidarietà e dei legami sociali e alla salvaguardia della salute e del benessere di tutti i cittadini: le donne, gli anziani, i giovani sono stati i soggetti più colpiti e occorre investire per recuperare il divario che la crisi ha acuito.
La nostra massima attenzione andrà alla scuola, come sempre. Ancora di più dopo l’esperienza della didattica a distanza che ha consentito certamente di superare l’emergenza, ma impone oggi un recupero della relazione, nonché un ripensamento del modello educativo.
Inoltre, il nostro sostegno sarà rivolto a ogni iniziativa che incentivi i consumi culturali, nei teatri, nei musei e in ogni luogo deputato, non solo per favorire la ripresa di un settore che molto ha sofferto in questi ultimi anni, ma anche guidati dalla profonda convinzione che la cultura possa essere “medicina” per le nostre comunità.


Foto: Giovanni Bortolani


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