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10. Riforme costituzionali e democrazia dei forti

La cosiddetta “bozza di Lorenzago”, contiene correttivi istituzionali che rafforzano il premier e metterebbero il Parlamento ai suoi ordini (di Giorgio Vittadini e Luca Antonini).

di Giorgio Vittadini

Il Senato ha recentemente approvato, in prima lettura, il disegno di legge costituzionale AS 2544, che passerà alla storia come la ?riforma di Lorenzago?, perché elaborata da alcuni ?saggi? della Casa delle libertà nell?estate 2003. Per quanto riguarda i contenuti, i pilastri della ?bozza di Lorenzago? possono essere così distinti: l?introduzione di un premierato forte, il Senato federale e l?interesse nazionale, la devolution e la riforma della Corte costituzionale. In questa sede è opportuno soffermarsi su alcuni aspetti della parte sulla forma di governo. Mentre l?impianto sul federalismo appare uno sviluppo coerente e necessario dell?imperfetta riforma del Titolo V, quello sulla forma di governo si distingue per far risuonare note così singolari da poter essere considerate come il problematico punto d?arrivo del processo avviato dagli anni 90 quando, in modo traumatico, si sbloccò un assetto che era riuscito a evitare ogni tentativo riformista: leggendo le pagine di una qualsiasi rivista giuridica di fine anni 80, non mancherà infatti la possibilità di trovarvi, sconsolata, la certezza che poco o nulla, nel prossimo futuro, sarebbe potuto cambiare. Invece, di lì a poco, la tranquilla democrazia italiana avrebbe subito una serie di contraccolpi, tanto violenti quanto imprevisti, che ne avrebbero sgretolato le difese, aprendo la falla a un instancabile processo di riforma, pronto a tracimare sulle diverse spiagge dell?assetto istituzionale. Il vittorioso referendum sulla preferenza unica, quello sul maggioritario, ma soprattutto la rivoluzione giudiziaria di Tangentopoli decretarono così l?eclissi di un mondo, costringendo il sistema a ripensare se stesso: il motore del processo di revisione fu acceso da una scintilla patologica, più che dalla necessità fisiologica di un adeguamento al rapido movimento degli eventi degli anni 90 (dalla globalizzazione alla caduta dei muri). La cicatrice di quella rivoluzione giudiziaria segnerà il destino della democrazia italiana, istillando il germe di un manicheismo pronto a tradursi in sfiducia nella politica come compromesso. Sarà così inferto un colpo brutale a quello spirito autenticamente italiano che, in forza di una tensione ideale al bene comune, permise, ad esempio, il miracolo costituente di un compromesso sincero tra la tradizione cattolica, socialista e liberale. La rivoluzione giudiziaria determinerà l?insorgere di un nuovo costume istituzionale e politico che, costruito sulla delegittimazione dell?avversario e sull?assenza di ogni principio di gratuità, non tarderà a manifestarsi in una rinascita del decisionismo, testimoniata innanzitutto da un?insolita leggerezza nel rimettere mano all?assetto costituzionale, come dimostra la risicatissima maggioranza con cui, sul finire della scorsa legislatura, è stata approvata una riforma epocale come quella del Titolo V. Ancora oggi è troppo esiguo il numero delle Regioni che hanno concretizzato il processo di riforma degli Statuti, sebbene siano passati cinque anni dalla legge costituzionale n. 1 del 1999. La stessa riforma del Titolo V si sta mostrando ingestibile, e la scarsa attitudine del sistema a metabolizzare le riforme può essere dimostrata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 265/03 che ha dichiarato illegittimi i regolamenti delle Giunte regionali, determinando la perdita di validità di centinaia di regolamenti nel frattempo emanati. Il contrappasso di questo decisionismo è stato dimostrato dalla bassissima partecipazione popolare, il 7 novembre 2001, al primo referendum costituzionale della storia repubblicana. Un aumento della distanza tra Paese legale e Paese reale sembra quindi delinearsi quale facile sorte di un parossismo riformista troppo facilmente disposto, a prescindere dall?ampiezza del consenso e dalla tenuta del sistema. La ?bozza di Lorenzago? sembra costituire, per alcuni profili, una conferma di questa tendenza, almeno nella versione originaria del progetto, dove si configurava un premierato forte protetto da norme anti ribaltone. La relazione al progetto, peraltro, accennava al ?modello Westminster?, che già nel 1996 era al primo punto delle riforme istituzionali dell?Ulivo che, alla Bicamerale D?Alema, votò compatto una proposta simile del relatore Cesare Salvi, elaborata sulla base dell?art. 115 della Costituzione spagnola. Si tratta quindi di una tendenza trasversale. La disciplina del rapporto di fiducia, nella ?bozza di Lorenzago? veniva quindi strutturata depotenziando il ruolo del Parlamento: il bilanciamento tra le esigenze della stabilità con quelle delle democraticità nel progetto originario era spostato sulle prime a danno delle seconde. Secondo il progetto originario, infatti, lo scioglimento delle Camere avrebbe dovuto essere decretato dal Presidente della Repubblica anche quando semplicemente la Camera avesse votato contro una proposta sulla quale il governo aveva posto la fiducia. All?altare della stabilità veniva quindi sacrificato il ruolo del Parlamento, ridotto a una sorta di ?caserma? agli ordini del Primo ministro, con il rischio della deriva verso una vera e propria ?democrazia plebiscitaria?. Si è parlato perciò di ?premierato assoluto?, evidenziando come la combinazione automatica sfiducia/scioglimento finisca per mettere a disposizione di una sola persona (il premier) un potere di ricatto senza uscita. Il testo ora approvato dal Senato contiene fortunatamente un significativo temperamento di questa tendenza, componendo in un equilibrio decisamente più accettabile le esigenze della efficienza e stabilità con quelle della democraticità. È un?evoluzione senz?altro positiva. Il rafforzamento dei poteri del premier dovrà comunque essere bilanciato rafforzando istituti che consentano ai cittadini l?esercizio della loro ?sovranità?, recuperando democrazia sostanziale. La rete di salvataggio rispetto al rischio di una personalizzazione del potere, in altre parole, va ricercata nel ridare protagonismo alla sovranità popolare (e direi ?personale?) rispetto alla partitocrazia. Altrimenti, servirebbe a poco anche un modello che prevedesse la massima centralità per un Parlamento ma rispetto al quale i cittadini non hanno avuto una reale possibilità di scelta dei candidati (imposti dalle segreterie di partito). È quindi importante, nel testo approvato dal Senato, la previsione diretta a rafforzare la sussidiarietà orizzontale: il nuovo testo dell?art.118 della Costituzione impone al pubblico di “riconoscere e valorizzare” l?autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali. Dall?idea di una graziosa concessione (indotta dal termine “valorizzare” dell?attuale art. 118), si passa quindi allo stesso verbo utilizzato dall?art. 2 della Costituzione in relazione ai diritti inviolabili dell?uomo: “riconoscere”. Si tratta di un?evoluzione importante, che rende giustizia (almeno più di prima) alla tradizione di Welfare society italiana e implementa quella rete di salvataggio, data dal protagonismo della società civile, che costituisce qualcosa di indispensabile in un sistema bipolare dove governa un premier rafforzato.

Giorgio Vittadini Luca Antonini


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