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6. Stato e mercato il patto a due che ha sepolto il welfare

Il sistema burocratico- impositivo è alle corde, travolto da troppi privilegi concessi e da una finanza allegra (di Giorgio Vittadini e Luca Antonini).

di Giorgio Vittadini

Il modello italiano di Welfare che si sviluppa a partire dal dopoguerra si fonda sull?alleanza tra Stato ed economia di mercato e grazie anche all?effetto della crescita economica riesce a strutturare un sistema protettivo di garanzie sociali. La filosofia di fondo è però di tipo paternalistico: i servizi sono erogati prevalentemente dallo Stato e finanziati sia dal sistema tributario progressivo, che garantisce la redistribuzione della ricchezza anche per conquistare consensi, sia attraverso il ricorso al debito pubblico. è il momento della ?finanza allegra? che non solo porterà a un formidabile incremento dell?organico della pubblica amministrazione (in Italia rispetto agli Usa è, in proporzione, superiore del 15%), ma che anche aggraverà le generazioni successive di uno straordinario peso in termini di costo degli interessi del debito pubblico. Si verificano inoltre sacche di sperequazioni: non c?è periodo di imposta, dalla riforma tributaria ad oggi, che non sia stato coperto da un condono fiscale. I condoni sono così diventati un?imposta sull?evasione e i contribuenti si sono divisi tra chi ha concorso alla spesa pubblica pagando le imposte ordinarie previste dalle leggi tributarie e chi quel concorso ha potuto realizzarlo pagando, in misura molto ridotta rispetto ai primi, solo una piccola parte di quanto avrebbe dovuto. Non poca ironica attualità conserva pertanto la notazione di Gobetti, indice di un difetto antico del rapporto tra fisco e contribuente: “Il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato; non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana” . All?interno del sistema pensionistico, inoltre, si sono create situazioni di vero e proprio privilegio (dalle pensioni d?oro ai baby pensionati) completamente irrelate, dal punto di vista attuariale, ai contributi effettivamente versati. Con la globalizzazione, quest?alleanza (o a volte vero e proprio pactum sceleris) tra statalismo, economia di mercato e Stato sociale è però entrata in una crisi irreversibile. Lo Stato-Nazione ha perso gran parte della capacità di proteggere la propria base di legittimità, rastrellando risorse, stimolando la crescita economica ed erogando servizi ?dalla culla alla tomba?. La globalizzazione, infatti, ha rotto la catena che legava l?individuo (con la ?i? minuscola), allo Stato energumeno (con la ?S? maiuscola). Tutte le politiche sociali del Novecento si basavano sull?idea di uno Stato sempre più forte, che avesse se non il monopolio, almeno il dominio e il controllo dell?economia. Oggi questo presupposto non esiste più e le leggi che autorizzano la spesa sociale in deficit sono ?abrogate?, prima ancora che dai vincoli di Maastricht, dai mercati internazionali. La ricchezza si sottrae al vincolo territoriale: non è più lo Stato che sceglie come tassare la ricchezza, è la ricchezza che sceglie dove essere tassata (emblematico è stato il caso dell?Irlanda che, qualche anno fa, grazie a una politica di riduzione della pressione fiscale poté vantare un tasso di sviluppo economico pari al triplo della media europea). In questo contesto il sostegno alla tradizionale formula Welfare implica un ?accanimento terapeutico? che non solo destina lo Stato alla crisi fiscale, ma che determina anche un vero e proprio corto circuito teleologico: il fine del Welfare State era quello di garantire le classi più deboli, ma il peso fiscale che il suo mantenimento implica, in un contesto globalizzato, rischia di diventare paradossalmente a carico proprio di quelle classi deboli che avrebbe dovuto tutelare. La grande ricchezza, infatti, può sfuggire alla pretesa fiscale dello Stato migrando nei territori dove la pressione fiscale è meno elevata e così la pressione fiscale nazionale, restringendosi il bacino dei soggetti incisi dalle imposte, finisce per accanirsi e tartassare i redditi medio bassi, che non possono avere mobilità internazionale, e i beni al sole (ad esempio la prima casa, sulla quale in Italia grava una pressione fiscale davvero notevole). A dimostrazione dell?attualità di questo rischio è opportuno ricordare che in uno studio del 1996, ad esempio, si evidenziava come il 30% delle famiglie italiane fosse escluso dall?area della società dei consumi, ma non da quella del prelievo fiscale dell?imposta sul reddito. In tempi più recenti, un rapporto Istat ha denunciato il notevole aumento del rischio della povertà nei cosiddetti working poors (le coppie monoreddito con figli minori) proprio a causa del cuneo fiscale. Non appare marginale, nel descrivere gli effetti del cuneo fiscale, considerare, infine, che la Finanziaria per il 2003, riducendo il carico tributario sui redditi più bassi, abbia determinato l?effetto di far uscire 300mila famiglie dalla soglia di povertà. Ma anche a prescindere da questa considerazione, il peso fiscale implicato dal mantenimento dell?attuale sistema di Welfare – che peraltro mantiene, come si è accennato, anche diverse situazioni di privilegio figlie del clientelarismo del periodo della finanza allegra – assume proporzioni allarmanti: è stato recentemente calcolato che per un impiegato con un reddito di 37.336 euro, con moglie e figlio a carico, il tax freedom day (ovvero il giorno in cui smette di lavorare per pagare le imposte) è il 22 giugno e che per un operaio con un reddito di 18.700 euro, con moglie e figlio a carico, il tax freedom day è il 15 maggio. Alla crisi collettiva del modello di Stato-Nazione, gli Stati europei hanno tentato di opporre nuove strategie di politica economica e sociale cercando di realizzare patti di concertazione tra le grandi forze sociali (governo, sindacati, imprenditori), tentando di controllare e ridurre l?intervento nell?economia, ?esternalizzando? i servizi. I risultati sono stati però deludenti: la spesa pubblica non è diminuita; il controllo del Welfare è divenuto via via più difficile; l?esternalizzazione dei servizi non ne ha migliorato la qualità perché sono continuate a mancare la possibilità di scelta dell?utente e la competizione; infine la mancata attuazione della sussidiarietà fiscale ha impedito che i meno abbienti potessero scegliere di ricevere i servizi da agenti privati o da agenti statali. Il modello burocratico impositivo di Welfare necessita quindi di essere più profondamente rivisto alla luce della sussidiarietà, che oggi costituisce un principio fondamentale per la ricerca di un nuovo equilibrio tra sviluppo e solidarietà. A questo riguardo, sotto un profilo più generale, è possibile ricordare una ricostruzione diretta a distinguere, tra i vari modelli attuativi della sussidiarietà, almeno quattro forme, elencabili secondo un ordine progressivo di realizzazione del principio: a) outsourcing e esternalizzazione dei servizi; b) sussidiarietà per progetti; c) valorizzazione delle iniziative dei privati; d) redistribuzione della ricchezza senza apparato istituzionale (concretizzabile nelle formule del voucher, del buono servizio a preventivo, del buono servizio a consuntivo, della deduzione o detrazione fiscale).

Giorgio Vittadini e Luca Antonini


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