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7. Il nuovo articolo 118 la Costituzione cambiata da un verbo

È il verbo “riconoscono ” inserito nella riforma approvata per ora dal Senato: una svolta in tema di sussidiarietà (di Giorgio Vittadini e Luca Antonini).

di Giorgio Vittadini

Il sistema regionale italiano, fin dall?inizio, ha sofferto il condizionamento di una grave politica dell?uniformità che, con una straordinaria produzione di regole, ha spesso misurato il rischio dell?autonomia assumendo come naturale punto di riferimento le situazioni dove maggiore era l?inefficienza amministrativa e più corrotto il costume. Questo regionalismo dell?uniformità si è risolto in un paradosso, rivelandosi un metodo inefficace rispetto allo scopo che intendeva raggiungere: votato a garantire l?eguaglianza, in realtà esso ha prodotto invece egualitarismo, in alcuni casi soffocando anche potenzialità di sviluppo, a danno di tutti. Il metodo implicito nel regionalismo dell?uniformità, infatti, non è riuscito, nonostante i vari decenni d?applicazione, a garantire l?unificazione delle condizioni di vita e il tessuto delle varie realtà regionali appare, infatti, ancora attraversato da profonde differenze economiche e sociali. Solo negli anni 90, all?interno di un panorama ancora fortemente orientato alla logica dell?uniformità, si è incominciato a prendere consapevolezza della necessità di iniziare a cambiare il rapporto tra i diversi livelli di governo, il dialogo con la società civile e le forme di partnership. Il Terzo decentramento e la riforma costituzionale sull?elezione diretta del Presidente hanno poi innovato il sistema precedente. Quasi tutte le leggi regionali di attuazione del dlgs n. 112 del 1998, infatti, hanno rafforzato il principio di sussidiarietà, non solo nella sua accezione verticale, ma anche in quella orizzontale, aprendo quindi nuove finestre alla possibilità di una cittadinanza attiva e all?ingresso, nella gestione dei servizi pubblici, di soggetti diversi da quelli organizzati nella forma burocratica tradizionale. Si è trattato di un processo in cui le singole realtà regionali hanno avuto maggiori possibilità, rispetto al passato, di sviluppare politiche differenziate calibrate sulla specificità delle rispettive situazioni. Questo ha permesso di proporre interventi non solo innovativi – si pensi al sistema dei voucher o alle politiche sanitarie -, ma anche calibrati sulle specificità politiche, culturali e sociali delle proprie aree: il buono scuola progettato dal Piemonte, ad esempio, è diverso da quello della Lombardia o dell?Emilia Romagna o del Veneto. La diversa intensità con cui il principio di sussidiarietà orizzontale è stato affermato dalle diverse leggi regionali costituisce anch?esso un dato di rilievo. Appare indicativo, infatti, che, in linea di massima, le affermazioni più decise si siano riscontrate in alcune Regioni dove la tradizione del cd. ?privato sociale? vanta una consistenza maggiore, mentre in altre realtà regionali si sia registrato un atteggiamento di maggiore prudenza. Di fronte a questi casi, inoltre, la convinzione che l?eguaglianza richieda l?uniformità o che tra federalismo e Stato sociale esista un conflitto insanabile può risultare smentita dalla possibilità di creare forme di risposta alle necessità sociali più efficaci di quelle ipotizzabili in base a una politica uniforme su tutto il territorio nazionale. Nell?ottica dell?uniformità sarebbe risultato, infatti, più difficile considerare le profonde differenze che attraver-sano la realtà regionale italiana, sia riguardo alle condizioni economiche sia rispetto alla diversa strutturazione e tradizione del tessuto del privato sociale, con il duplice rischio, quindi, di creare situazioni di inefficienza o al contrario di non valorizzare potenziali risorse. Questa spinta della legislazione regionale verso la valorizzazione di forme non paternalistiche di garanzia dei diritti sociali e quindi verso una rivalutazione, in chiave moderna, della tradizione di Welfare society, ha probabilmente indotto lo stesso legislatore costituzionale a prevedere, con la riforma del Titolo V, espressamente il principio di sussidiarietà nel nuovo art. 118. La recente riforma costituzionale, approvata in prima deliberazione dal Senato, inoltre, contiene un?importante evoluzione in tema di sussidiarietà. L?art. 118, infatti, è stato corretto sia tutelando il ruolo delle autonomie funzionali sia rafforzando la precedente formulazione. Il nuovo articolo 118 prevede ora: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni riconoscono e favoriscono l?autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. Essi riconoscono e favoriscono altresì l?autonoma iniziativa degli enti di autonomia funzionale per la medesima attività e sulla base del medesimo principio”. Le parti aggiunte (indicate in corsivo) hanno una rilevanza costituzionale notevole. La riforma del Titolo V aveva introdotto la sussidiarietà orizzontale; ed è stato un passo importante. La formulazione, tuttavia, era timida e un po? equivoca: dava l?impressione che il potere pubblico valorizzasse l?autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, solo in virtù di una graziosa concessione. Nella nuova formulazione quella ?larva? di sussidiarietà diventa ?farfalla? perché utilizza il verbo ?riconoscere? che la nostra Costituzione dispone anche per i diritti inviolabili dell?uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali (art. 2 della Costituzione). Ne deriva un deciso rafforzamento che potrebbe essere ricco di implicazioni in molti settori dell?ordinamento, dove la creatività economica e sociale è ancora troppo spesso bloccata da ?lacci e lacciuoli?. L?evoluzione dell?art. 118 è quindi importante perché rende giustizia (almeno più di prima) alla tradizione italiana e implementa quella rete di democraticità, data dal protagonismo della società civile, che costituisce una risorsa indispensabile in un sistema bipolare. Il modello costituzionale del 1947 sacrificava la capacità decisionale rispetto all?esigenza di garantire la massima democraticità a un Paese che usciva da un?esperienza di totalitarismo. Oggi le esigenze sono diverse: ci troviamo a fronteggiare un?evoluzione che richiede rapidità dei processi decisionali, difficile da garantire con circa mille parlamentari a deliberare una legge. Il rafforzamento dei poteri dell?esecutivo deve però essere bilanciato con istituti che consentano realmente ai cittadini l?esercizio della loro ?sovranità? personale, recuperando democrazia sostanziale. L?emendamento sulla sussidiarietà è quindi un passo in avanti in questa direzione. A conclusione di questo breve excursus, quindi, è possibile registrare l?esistenza, in Italia, di una singolare congiuntura storica che così come ha legato l?alba del centralismo all?avvio di una politica sfavorevole per la ricca e vivace esperienza di Welfare society, vede ora implicato nel processo di decentramento un rinnovato favore per la sussidiarietà orizzontale. Non è un caso, ad esempio, che la legge nazionale che valorizza le associazioni di promozione sociale sia stata preceduta da diverse legislazioni regionali. Oppure, in termini più generali, che le prime realizzazioni di innovativi modelli di Welfare society siano state attuate proprio a livello regionale: si pensi a tutto il sistema dei buoni (dal buono scuola al buono anziano), ai sistemi integrati pubblico-privato nella sanità, alla valorizzazione delle iniziative familiari.

Giorgio Vittadini e Luca Antonini


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