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8. Costituzione europea. Tra 70mila parole manca la sussidiarietà

L’Europa oggi si propone come un Super Stato (di Giorgio Vittadini e Luca Antonini).

di Giorgio Vittadini

Negli ultimi anni una singolare congiuntura storica ha visto il nostro Paese segnato da processi costituzionali di grandi dimensioni: uno interno, relativo all?assetto federale, e uno soprannazionale, relativo all?assetto dell?Unione Europea. Il pathos di questo singolare fervore dell?alchimia costituzionale, tuttavia, si è dimostrato scarsamente coinvolgente e una sostanziale abulia della sovranità popolare sembra aver accompagnato entrambi i processi. Lo dimostra, ad esempio, la risicatissima maggioranza con la quale la riforma del Titolo V è stata approvata e la modestissima partecipazione popolare al referendum confermativo del novembre 2002. Analogamente il processo in atto a livello europeo sembra condurre a quella che con efficace formula è stata definita “una Costituzione senza popolo”. Di fronte all?attuale processo costituente europeo si ripropone l?annosa questione del deficit di democraticità, non solo perché il potere normativo rimane ancora troppo poco allocato nel Parlamento europeo, ma anche perché lo stesso processo di integrazione conduce a un ?regionalismo rovesciato?, nel quale le virtù del regionalismo – la maggiore vicinanza tra governati e governanti – sono paradossalmente capovolte da un processo che allontana governanti e governati e rende più difficile il controllo con il voto . Eppure questo deficit sinora era stato largamente superato da una legittimazione ?per successo?. è utile ricordare che all?inizio dell?integrazione europea esistevano degli ideali di riferimento che attingevano nel background cristiano dei padri fondatori (Adenauer, De Gasperi, Schumann, Monnet): essi potevano essere identificati nella pace, nella prosperità, nel sovranazionalismo. Questi ideali determinarono uno straordinario successo del processo di integrazione europea. In relazione al primo ideale citato (la pace), basta osservare che mentre i primi cinquant?anni del XX secolo furono segnati da due guerre mondiali innescate da conflitti tra i Paesi europei, il successivo cinquantennio dissolse la pensabilità stessa della riproposizione di un tale scenario. In relazione alla prosperità, negli anni 60 e 70 si registrò nei Paesi europei uno straordinario sviluppo economico: il boom economico fu reso possibile anche grazie al mercato comune. Riguardo alla sovrannazionalità, fino alla prima metà degli anni 90 il processo di integrazione europea contribuì al superamento delle coordinate concettuali e istituzionali dello Stato nazione. Ad esempio, la previsione a Maastricht del principio di sussidiarietà determinò un?importante ricaduta culturale negli Stati membri anche in relazione all?accezione orizzontale di questo principio. Alcune sentenze della Corte di giustizia permisero, inoltre, importanti progressi rispetto al monopolio pubblico dei servizi sociali: ad esempio la sentenza Job Center costrinse l?Italia a liberalizzare il mercato del lavoro. Il progetto di Costituzione attualmente in discussione non sembra, tuttavia, confermare questa linea di tendenza virtuosa del processo di integrazione europea. La situazione può essere dimostrata da diversi punti di vista. Ad esempio, il progetto, pur predicando un pluralismo culturale, pratica in realtà un ?imperialismo costituzionale?, censurando l?apertura alla dimensione religiosa presente invece in molte Costituzioni degli Stati membri. La scelta di non inserire il riferimento alla eredità del cristianesimo come radice dell?Europa, anziché dimostrazione di neutralità, è quindi un?opzione esplicita che appare il retaggio di un atteggiamento giacobino rivolto a favorire solo l?impostazione laicista francese e a escludere le scelte diverse fatte da molte altre Costituzioni di Paesi (che sono o che presto saranno parte della Ue). Inoltre, ci si poteva aspettare anche che il processo costituente europeo fosse destinato a valorizzare quella tradizione di Welfare society che, grazie alla capacità creativa dei corpi sociali, ha fatto la ricchezza culturale, economica e sociale del nostro continente. Ci si poteva aspettare la volontà di rivalutare in chiave moderna questa tradizione antica e viva, nata dal basso e spesso indebitamente soffocata da certe legislazioni nazionali. Invece, nelle 70mila parole che compongono il progetto di Costituzione non figura mai l?espressione “sussidiarietà orizzontale”. Vi si legge piuttosto una concezione di libertà che sembra ammalata d?astrazione, con riquadri normativi che potevano essere disegnati più da un legislatore del 1789 che del Terzo millennio. I contenuti del nuovo progetto sembrano quindi delineare una prospettiva lontana dagli ideali iniziali della Comunità, con il rischio di una deriva verso un modello ?statal-dirigistico? dove si destruttura la sovranità popolare in nome di valori oscuri. A questo riguardo è utile richiamare l?attenzione sul titolo del progetto, dedicato alla “vita democratica dell?Unione”. All?art. 51 bis si prevede il rispetto dello status previsto nelle legislazioni nazionali per le Chiese e le comunità religiose degli Stati membri. Questa è una buona norma, perché garantisce, ad esempio, il rispetto del regime concordatario italiano con la Chiesa cattolica. Ma ?in cauda venenum?, perché subito dopo aggiunge: “L?Unione europea rispetta ugualmente lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali”. E quindi conclude: “L?Unione mantiene un dialogo aperto, regolare e trasparente con tali Chiese e organizzazioni, riconoscendone l?identità e il contributo specifico”. Verrebbe naturale chiedersi perché si faccia riferimento a organizzazioni ?filosofiche? e a organizzazioni ?culturali? o ?umanitarie?. In realtà il significato è chiaro: il termine organizzazione filosofica è la traduzione, neanche tanto velata, di massoneria. Così la “vita democratica dell?Unione” si caratterizzerà per il dialogo “aperto, trasparente e regolare” con la massoneria (ma non è anche una società segreta?), posta sullo stesso piano delle Chiese. Un accostamento che suscita davvero perplessità, considerando che la prospettiva europea poteva costituire un laboratorio dove sperimentare risposte alla crisi della rappresentanza e offrire nuove prospettive alla sovranità individuale dopo la crisi e gli anni difficili dello Stato nazione. La conclusione è quindi che il processo di integrazione europea rischia di consumarsi in una pericolosa distanza tra Paese reale e Paese legale, con esiti di infelice impatto sulla democrazia. L?Europa che aveva contribuito a smantellare lo statalismo degli Stati membri sembra infatti passata in secondo piano e la prospettiva appare quella di un Super Stato (inefficiente rispetto ai grandi temi della politica estera ma invadente rispetto ai cittadini), peraltro aggravata da un difetto di legittimazione democratica. Lo stesso modello sociale europeo rischia di configurarsi come un nuovo modello ?statal-dirigistico?. Eppure solo dall?affermazione della sussidiarietà orizzontale può derivare una visione moralmente valida della libertà e della responsabilità della persona.

Giorgio Vittadini e Luca Antonini


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