Dentro la riforma della disabilità

Alessandra Locatelli: «Il Progetto di vita tra sogni e realtà»

Che ne è delle ambizioni della riforma della disabilità, alla prova dei fatti della sperimentazione? Che spazio trova lo spirito della legge dentro un'organizzazione dei servizi che spetta al welfare regionale, con le sue procedure e le sue regole? La ministra Alessandra Locatelli fa un primo punto sulla sperimentazione avviata a gennaio, rilanciando una parola-chiave: innovazione

di Sara De Carli

Alessandra Locatelli

Un percorso graduale, a step, per formare e sperimentare, in modo da «consentire a tutte le province di arrivare formate e preparate quando la legge sarà applicata su tutto il territorio, il 1° gennaio 2027». Se da gennaio la sperimentazione della riforma della disabilità e in particolare del Progetto di vita è operativa in nove province (Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste), ecco che da settembre altre undici si aggiungeranno (Aosta, Alessandria, Lecce, Genova, Isernia, Macerata, Matera, Palermo, Teramo, Vicenza e provincia autonoma di Trento) e altre 40 arriveranno a febbraio 2026. Sul campo dell’operatività, l’entusiasmo del cambio di prospettiva che potrebbe davvero rivoluzionare l’approccio alla disabilità e il mondo dei servizi è chiamato a fare i conti con le difficoltà concrete e le resistenze che ogni novità comporta. Tanto che molti segnano il gap tra le ambizioni dei sogni, delle dichiarazioni e degli intenti e la realtà delle cose.

La ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli però è tranquilla: con il giusto accompagnamento, il cambiamento ci sarà. Perché tra sogni e realtà, c’è lo spazio della responsabilità e dell’innovazione. VITA intende seguire da vicino questa fase di passaggio, raccontando la sperimentazione in atto, le attese delle persone con disabilità, lo slancio e i timori degli operatori, le opportunità che si aprono e le criticità che si incontrano. Un viaggio per accompagnare e sostenere quel cambiamento tanto atteso, che metta le persone al centro.

Dalla persona che si adatta all’offerta dei servizi esistenti e ai “posti liberi” ai servizi che si adattano alle persone: la rivoluzione copernicana disegnata dalla riforma della disabilità è questa. Qual è la strada che avete tracciato e quali sono gli strumenti messi in campo per realizzare concretamente un cambiamento tanto rilevante, che oggettivamente va a stravolgere l’attuale organizzazione del welfare e che pertanto presumibilmente incontrerà fatiche e resistenze?

La strada è quella dell’innovazione. È chiaro che ci aspettiamo che grazie alla riforma sulla disabilità e allo strumento del Progetto di vita sia possibile spingere nella direzione dell’innovazione anche i servizi, che devono essere in grado di modellarsi sulle esigenze e sui nuovi bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Oggi alcuni servizi, soprattutto quelli pubblici, molto spesso sono ancora gestiti come lo erano trenta o quarant’anni fa, quando sono nati. Sono convinta che attraverso il grande impulso messo in campo dal Progetto di vita e dal nuovo sguardo che stiamo promuovendo – quello di vedere negli altri le potenzialità e non i limiti – possano nascere progettualità anche innovative rispetto ai sollievi, agli orari più elastici, e anche rispetto all’apertura degli stessi servizi al territorio, che possano andare davvero incontro alle necessità crescenti e accompagnare il Progetto di vita delle persone.

Che cosa state vedendo nei territori in cui la sperimentazione è già partita? Quali criticità, quali disponibilità? Come state affrontando i primi nodi critici?

Noto grande entusiasmo e questo anche nei territori in cui la sperimentazione non è ancora partita. Sono contenta che ci sia questo interesse crescente, soprattutto da parte degli operatori nei servizi sociali, e del territorio. C’è stato qualche nodo critico dal punto di vista tecnico – per esempio nell’allegare i documenti – ma lo stiamo risolvendo con l’Inps e con il supporto dell’Ordine dei medici. Si tratta di aspetti che non riguardano il nuovo sistema di valutazione o il metodo di presa in carico della persona, ma unicamente le procedure da attivare. In ogni caso, la sperimentazione è utile proprio per evidenziare eventuali problematiche e risolverle. 

Oggi alcuni servizi, soprattutto quelli pubblici, sono gestiti come lo erano trent’anni fa, quando sono nati. Attraverso il grande impulso messo in campo dal Progetto di vita e dal nuovo sguardo che stiamo promuovendo – quello di vedere negli altri le potenzialità e non i limiti – possano nascere progettualità innovative

Alessandra Locatelli, ministra per le Disabilità

Le persone con disabilità nutrono oggi tante aspettative rispetto al Progetto di vita. Come risponde alle preoccupazioni dei cittadini a fronte dell’allungarsi dei tempi della sperimentazione, al fatto che “i diritti delle persone con disabilità troppo spesso devono aspettare” e al rischio di un intenzionale rallentamento del processo? 

Il percorso per un cambiamento così epocale deve essere di buon senso e serio: va affrontato passo dopo passo, altrimenti si rischia il fallimento. Chi pensa che ci sia stato un rallentamento sbaglia perché è un’entrata in vigore progressiva, così come previsto dalla riforma e dalla stessa legge delega. Fin dall’inizio del mio mandato ho voluto la sperimentazione, che inizialmente non era prevista. L’Europa (la riforma è legata al Pnrr) ha accettato questo percorso e lo scorso anno abbiamo chiesto di poter avere un periodo più lungo di sperimentazione, proprio per poter consentire a tutte le province di arrivare formate e preparate quando la legge sarà applicata su tutto il territorio a partire dal 1° gennaio 2027. Se fosse avvenuto il contrario, cioè se non ci fosse stata la sperimentazione o questa si fosse fermata, saremmo purtroppo in una situazione di rischio perché i servizi non sarebbero preparati. Noi abbiamo bisogno, invece, di fare la formazione e di accompagnare al cambiamento chi opera nei settori dei servizi sociali e del territorio. È una cosa impegnativa e complessa, ma questa è la strada giusta. 

Concretamente, come si inserisce il progetto di vita nel sistema di welfare esistente? Che ricadute avrà la riforma sul sistema di accreditamento dei singoli sistemi regionali? Il Dlgs 62/2024 non va a modificare in modo sostanziale la struttura dei servizi regionali (lei stessa ha detto in una precedente intervista che «la riforma non entra nel merito dell’organizzazione dei servizi e può solo aiutarci a migliorare la presa in carico della persona sul territorio»). Banalmente ma non troppo nei servizi oggi ci si interroga su “che modulo compilare” per stendere il Progetto di vita, ci si chiede come individuare una “quota media statistica” che non sia un tetto massimo di spesa ma comunque risponda all’esigenza di fare un calcolo delle implicazioni economiche di un Progetto di vita che sembra andare nella direzione di configurarsi come Leps. Ci si chiede quali sono i meccanismi individuati per la riconversione delle risorse attualmente destinate ad altri servizi. C’è un’istanza di “armonizzazione” ma – se non erro – solo una regione ha legiferato per armonizzare il proprio sistema di servizi e le sperimentazioni già attuate sulla progettazione individualizzata (per es sul dopo di noi, sul Pnrr, sulla vita indipendente) con la riforma. Come dialogano quindi i due livelli, anche in termini di procedure amministrative? 

Da una parte ci sono i servizi, la loro strutturazione e la gestione, che ovviamente è in carico alle Regioni, dall’altra il Progetto di vita e la presa in carico sul territorio della persona con disabilità, che quando necessita anche di seguire dei percorsi all’interno dei servizi, vedrà nell’équipe multidimensionale rappresentate anche le figure di riferimento di quei servizi. Sono due cose che sicuramente devono avere una strada parallela nel percorso di innovazione e di ristrutturazione del sistema di welfare, ma che non sono sovrapponibili. Con la legge delega infatti noi non possiamo modificare l’organizzazione dei servizi, che come sappiamo bene è una competenza prettamente regionale. Ci sono però delle linee guida che le Regioni devono seguire per organizzare la formazione anche territoriale in modo più capillare e che sia rivolta anche agli enti del Terzo settore, e tutte si stanno organizzando per emanare le direttive operative e riorganizzare le équipe multidimensionali. Per quanto riguarda i servizi, come dicevo, non si può ovviamente entrare nel merito dell’organizzazione che è a carattere territoriale, ma mi auguro che l’impulso dell’innovazione che mettiamo in campo col Progetto di vita possa dettare anche lo stimolo per rivedere alcuni percorsi organizzativi dei Centri diurni, delle strutture residenziali, delle coabitazioni e di tutti quei progetti che anche gli enti del Terzo settore portano avanti insieme alle istituzioni locali per garantire risposte alle persone e alle famiglie.

Potrà chiedere il progetto di vita solo chi accede per la prima volta ad una nuova valutazione o potrà farlo chiunque? 

Tutti. 

C’è un piccolo fondo che dovrebbe finanziare gli interventi previsti dal progetto di vita ma che non rientrano nell’offerta standard dei servizi esistenti. Un’idea bellissima ma ad oggi pare nessuno sappia esattamente come accedere a quel fondo e cosa potrà essere finanziato. Può darci dei chiarimenti?

L’articolo 31 del d.lgs n. 62/2024 prevede un fondo di 25 milioni di euro annui da distribuire alle Regioni per sostenere in parte interventi, prestazioni e sostegni non rientranti nelle unità di offerta del territorio di riferimento eventualmente inserite nel Progetto di vita. Tali risorse saranno ripartite anno per anno con decreto ministeriale sulla base della rilevazione effettuata ogni anno e in base ai fabbisogni inerenti i progetti di vita del territorio. Nel corso della sperimentazione (e quindi per il 2025) i 25 milioni di euro saranno ripartiti tra le Regioni in ragione della popolazione residente. I miei Uffici, nelle prime settimane dell’anno, hanno già fatto pervenire alle Regioni di riferimento le risorse per le nove province che stavano iniziando la sperimentazione, affinché avessero da subito la possibilità di utilizzarle. Stiamo per emanare il riparto anche per le undici province che si sono aggiunte alla sperimentazione per il 2025. 

Ovviamente ci saranno aree che sono più pronte di altre o che hanno più voglia di mettersi in gioco in questa partita e altre più “attendisti”, ma il coinvolgimento dei territori e di tutti i soggetti che vi operano quotidianamente è fondamentale per l’attuazione del cambiamento. Visto che la sperimentazione è stata estesa e coinvolgerà più province in più step, è pensabile che d’ora in poi i territori “si candidino” alla sperimentazione anche per mettere alla prova delle partnership tra enti pubblici e privato sociale? 

Ci sono diversi territori che si sono proposti. Sicuramente terremo conto delle autocandidature. La scelta è condivisa tra ministero per le disabilità, ministero della Salute, ministero del Lavoro.

Due temi su cui l’interpretazione concreta che verrà data della riforma farà la differenza: posto che il titolare del progetto di vita è la persona con disabilità, quali strumenti saranno previsti per garantire il suo protagonismo? E quali profili potranno invece avere il facilitatore e il referente del progetto di vita? 

Abbiamo voluto fortemente garantire la centralità della persona con disabilità nel percorso di valutazione multidimensionale ed elaborazione del “suo” Progetto di vita, prevedendo che l’unità di valutazione multidimensionale debba adottare tutte le strategie e i supporti utili e coerenti con le specifiche condizioni della persona per far percepire alla persona stessa tutte le fasi del procedimento e farle quindi manifestare le proprie scelte sui vari aspetti. Sulle strategie per tale coinvolgimento abbiamo investito molto già nella prima parte della formazione con gli operatori e continueremo su tale fronte. È prevista la possibilità per la persona con disabilità di essere supportata in questo percorso da un soggetto non rientrante nell’equipe, ma di sua fiducia, senza prestabilire dei requisiti professionali o di altro tipo. 

Altra figura importante sarà quella del referente del Progetto di vita, ossia quella figura che sovraintenderà alla concreta attuazione del progetto, curando un continuo dialogo con la persona con disabilità e la sua famiglia per intervenire per eventuali modifiche del Progetto di vita e per essere punto di riferimento rispetto alla rendicontazione in caso di eventuale autogestione del budget di progetto. Non abbiamo individuato profili professionali della figura, lasciando alle regioni tale possibilità, anche sulla scorta di precedenti simili esperienze. Ritengo comunque che tra le figure che possano essere interessate a questo ruolo possano e debbano rientrare anche gli educatori professionali che sono in grado di seguire e supportare la persona in ogni area della vita quotidiana. 

Quale ruolo ha il Terzo settore, in questa partita epocale? Quali pensa siano gli elementi più sfidanti per il Terzo settore e quali invece quelli su cui si aspetta possa dare un contributo rilevante?

Il mondo dell’associazionismo è quello che ha spinto e voluto di più questa riforma che nasce proprio da una necessità di tutto il mondo che si occupa di disabilità. Il Terzo settore partecipa alle équipe multidimensionali a seconda naturalmente delle necessità, dei bisogni e dei sostegni che devono essere garantiti alle persone, quindi con un tavolo che è a geometrie variabili a seconda dei desideri e delle scelte della persona con disabilità. Il ruolo fondamentale del Terzo settore è quello di formarsi adeguatamente e di trasmettere questo cambio culturale anche sui territori all’interno di servizi e progetti che vengono svolti dagli enti del terzo settore, direttamente o in collaborazione anche con gli stessi enti locali. È un percorso impegnativo ma la strada è quella giusta e indietro non si torna. 

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