Idee Medio Oriente

I popoli oppressi chiedono giustizia, non vendetta

Sentire un carnefice appropriarsi del motto delle donne curde "Donna, vita, libertà" è un'offesa alle vittime che contro il regime iraniano si sono opposte fino alla morte con la sola forza delle proprie voci e a tutte e tutti coloro che soffocano nelle carceri governative e sono stati costretti all’esilio, senza aver mai sfiorato un’arma. La narrazione paternalista e colonialista per cui il liberatore deve arrivare da fuori sembra funzionare anche di fronte alle stragi di innocenti

di Asmae Dachan

Le “bombe liberatrici”, anno 2025. Una serie di flashback di guerre, proclami, propaganda e vittime che ha segnato anni delle nostre vite. Bisogna ripetere tutto da capo, ripetere concetti davvero basilari di civiltà e impegno politico, culturale, sociale.  No, i regimi non sono lo specchio dei popoli che opprimono, tutt’altro. Un governo che reprime, stupra e condanna a morte i suoi oppositori, ricorrendo anche al sostegno militare di alleati stranieri, è un governo criminale, illegittimo, anche quando gli interessi delle cancellerie internazionali ne garantiscono la stabilità, salvo poi farlo saltare quando cambiano gli equilibri.

Lo sanno bene i Siriani, massacrati da bombe “nazionali”, pagate con le loro stesse tasse, ma anche russe e iraniane. I post-regime non sono mai felici, sono un alternarsi di luci e ombre, strade in salita che non sempre portano a esiti felici, non in breve tempo. I popoli, però, non parlano la stessa lingua di chi li vorrebbe mettere a tacere. Gli oppressi non si disperano di certo se i loro carnefici vengono resi inoffensivi, ma spesso sono loro stessi per primi a chiedere giustizia e non vendetta, mostrando una dignità che rimarca la distanza tra civiltà e barbarie. Oppositori siriani e iraniani in diaspora, durante gli anni della guerra, si sono spesso ritrovati, esprimendo lo stesso desiderio di libertà e autodeterminazione e lo stesso senso di rabbia e impotenza di fronte ai rispettivi governi sanguinari e alla connivenza della comunità internazionale. Una comunità che continua a macchiarsi di ipocrisia e perde ogni credibilità. Nessuno ha infatti creduto all’improvviso risveglio delle coscienze di certi politici di fronte ai crimini di guerra perpetrati a Gaza da oltre venti mesi. Prese di posizione che in certi casi sembravano tracciare una nuova rotta, anche a livello mediatico. Proprio mentre Gaza sprofondava nel buio e nel silenzio, con l’interruzione forzata di tutte le comunicazioni, gli sguardi sono stati prontamente dirottati altrove, ed è salita la bava alla bocca dei guerrafondai, tornati ai loro discorsi pieni di retorica e propaganda. Poco importa che sono più di tre mesi che la popolazione gazawi è condannata anche alla fame, umiliata e uccisa per un pugno di farina. Almeno nei loro incubi, vorrei che una volta, una sola volta, i responsabili e complici del genocidio ascoltassero per una notte intera il pianto dei bambini ridotti pelle e ossa e che incrociassero i loro sguardi. Poi vorrei incontrarli al risveglio. Un esercizio innocuo di empatia. Potrebbe funzionare?

Anche la parola, in tutto questo orrore, viene stuprata. “Diritto di difendersi” e “democrazia” sono diventati solo significanti, svuotati del loro significato. Sentire poi un carnefice appropriarsi del motto delle donne curde “Jin, Jîyan, Azadî” è un’offesa alle vittime che contro il regime iraniano si sono opposte fino alla morte con la sola forza delle proprie voci e a tutte e tutti coloro che soffocano nelle carceri governative e sono stati costretti all’esilio, senza aver mai sfiorato un’arma.

La Storia (Iraq e Afghanistan ad esempio) dovrebbe averci insegnato qualcosa, ma il condizionale è d’obbligo. La narrazione paternalista e colonialista per cui il liberatore deve arrivare da fuori ahimè sembra funzionare anche di fronte alle stragi di innocenti. Così come certe frasi di livello imbarazzante, indegne di una politica che vorrebbe chiamarsi tale, come “fanno il lavoro sporco per noi”. È proprio di fronte alla contrapposizione sporco/pulito che bisognerebbe porsi domande. Premesso che nessuna aggressione militare contro civili inermi è mai legittima e che le guerre vanno “ripudiate”, così ci insegna la nostra Costituzione, perché non si praticano le vie “pulite”, se davvero ci stanno a cuore i popoli, le donne? Perché la Giustizia internazionale non viene praticata, perché non si ricorre a vie di contrasto civile agli oppressori? Perché gli oppositori pacifici piacciono solo quando non ci sono più? A quanto ammontano gli interessi economici (e non solo) verso certi regimi? Valgono più delle vite dei popoli inermi? Oggi, chi legittima lo sterminio dei civili palestinesi, quindi anche delle donne, si riempie la bocca di un’improvvisa attenzione rispetto ai diritti delle oppositrici e degli oppositori iraniani, senza nessuna credibilità. Sarebbe molto lungo il discorso, ma per mettere momentaneamente un punto mi viene in mente solo una citazione di Sant’Agostino: “Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?”.

Foto di apertura: Un uomo attraversa la sede danneggiata della Islamic Republic of Iran Broadcasting, la televisione di Stato iraniana, a Teheran, in Iran, giovedì 19 giugno 2025. (Foto AP/Vahid Salemi)

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