«Per capire Milano bisogna tuffarvisi dentro», ha scritto Guido Piovene. Un giro in scooter durante una delle tante week, in uno dei nuovi quartieri di punta della città, vale allora come un tuffo carpiato. A Nolo, acronimo di North of Loreto (a nord di piazzale Loreto), nei tunnel che passano sotto i binari dei treni, nel corso della design week (quello che prima si chiamava Fuori Salone), a pochi metri di distanza si vedono i senzatetto sdraiati sui materassi sudici e le code di designer arrivati da mezzo mondo, pagando migliaia di euro in affitti su Airbnb, per partecipare agli eventi allestiti negli spazi che furono di ferrovieri e operai, trasformati in showroom e location da sfilate.
Eccoli i due estremi di Milano. Capitale economica, che attrae investimenti e talenti nazionali e internazionali. E insieme città creatrice di nuove e crescenti diseguaglianze. Metropoli esclusiva ed escludente. Con un piede in Europa e l’altro in Italia alle prese con un divario sempre più marcato tra ricchi e poveri. O meglio, tra nuovi ricchi e nuovi poveri. Perché la realtà è ancora più complessa di quello che appare ai due opposti. E il problema, ora, è che a non avere le chiavi d’accesso alla città che aspira a essere globale non sono più “solo” gli indigenti o gli immigrati appena arrivati da altri Paesi, ma una fascia sempre più ampia di lavoratori, studenti e giovani coppie che non riescono a reggere il peso della capitale economica italiana. Nuovi soggetti tagliati fuori dal “sogno” milanese dell’ascensore sociale.
In realtà, se si guardano i numeri e le statistiche, Milano sta bene e meglio del resto d’Italia. Il reddito pro capite medio, in crescita a 35.282 euro, è al primo posto nel Paese. I prezzi delle case continuano a salire e la città resta la capitale italiana delle startup innovative e degli investimenti stranieri. Nel 2023 sotto la Madonnina sono arrivati un milione di turisti in più rispetto al periodo pre-Covid. Negli ultimi dieci anni si contano oltre 20mila nuovi residenti under 35 e quest’anno i nuovi arrivati in città saranno in totale oltre 61mila, mentre tante altre parti del Paese combattono tra inverno demografico e spopolamento. Eppure, mentre in molti beneficiano del dinamismo economico della città, tanti altri ormai fanno sempre più fatica a starvi al passo.
La forbice dei salari
Secondo le dichiarazioni dei redditi del 2023, ad aumentare a Milano sono soprattutto super ricchi e ricchi. Mentre continuano a scendere i redditi di quelli che hanno stipendi sotto i 10mila euro. Perché se è vero che il salario lordo in città è in media di 13,21 euro l’ora, ovvero il 9% in più rispetto al resto d’Italia, è anche vero che il 10% più povero guadagna meno del resto della Lombardia. Mentre la classe più ricca ha buste paga che sono ben il 43% in più rispetto al resto del Paese.
«Milano ha stipendi più alti, ma non è per tutti così», spiega Francesco Armillei, economista del think tank Tortuga che, insieme al movimento di advocacy Adesso!, si è fatto promotore della proposta di un salario minimo cittadino. «I poveri di Milano sono più poveri dei poveri del resto d’Italia. E il costo della vita in aumento peggiora ancora di più le cose, allargando la fascia di disagio».
Milano è in testa alla classifica delle città più care del 2023, con un’inflazione media del + 6,1%, pari a una spesa aggiuntiva annua di 1.656 euro in più rispetto al 2022 per famiglia. Secondo i calcoli di Tortuga, per un single under 30, il costo del paniere minimo di beni a Milano è superiore del 23% rispetto alla media delle altre aree metropolitane italiane. E una famiglia con due genitori tra i 30 e i 59 anni, con un figlio tra 11 e 17 anni, spende il 20% in più. Quelli più in difficoltà sono i giovani con bassi titoli di studio, gli operai e i lavoratori delle imprese piccole che hanno retribuzioni anche più basse del resto del Paese.
«Gli stipendi medi a Milano sono più alti, ma non abbastanza più alti da tenere il passo con il costo della vita crescente», dice Tomaso Greco, fondatore di Adesso!. «La nostra proposta è di creare un salario minimo milanese, da inserire nella contrattazione territoriale, stabilito da una commissione scientifica di esperti e parti sociali, da aggiornare annualmente. In base ai dati sul costo della vita nella città metropolitana, viene fuori che i 9 euro l’ora proposti dal centrosinistra a livello nazionale qui a Milano sono abbondantemente sotto la soglia di povertà».

La casa mette in crisi la classe media
Lo scoglio principale su cui si scontrano i redditi dei milanesi o di chi a Milano vorrebbe vivere è la casa. Nei primi tre mesi del 2024, il prezzo medio al metro quadrato per le vendite è cresciuto ancora dello 0,3% rispetto a fine 2023. Con gli affitti che sono saliti dell’1,4% in tre mesi.
Il problema è che, negli ultimi anni, mentre i valori delle case crescevano, i redditi pro capite non hanno fatto altrettanto. Tra l’Expo del 2015 e il 2021, i prezzi di acquisto degli immobili sono aumentati del 41% e i canoni affitto del 22%, redditi e retribuzioni solo del 12%.
Le due curve hanno viaggiato più o meno in parallelo fino 2019, ma dal 2020 sono si sono separate. Dopo lo shock della pandemia, Milano è riuscita a ripartire ma, complice anche la fiammata dell’inflazione, sembra non essere più in grado di tenere il passo con chi la città la vive. Il “modello Milano” che ha fatto la fortuna del capoluogo lombardo si è inceppato. E quel percorso di città governata da quasi quindici anni dal centrosinistra che, con i sindaci Giuliano Pisapia e Beppe Sala, ha comunicato sempre l’idea di metropoli virtuosa attenta all’inclusione, sembra ormai aver perso la bussola.
Il cuore del problema — come spiegano Massimo Bricocoli e Marco Peverini nel libro Milano per chi? (LetteraVentidue) — è la housing affordability, l’abbordabilità della casa. La regola generale è che, per essere abbordabile, la spesa per la casa non deve superare il 30% del reddito. Oggi a Milano l’incidenza del canone di affitto sugli stipendi, secondo i dati del ministero dell’Economia, ha ormai oltrepassato il 37%. Il che pesa soprattutto sul tenore di vita di chi, in particolare tra i giovani, muove i primi passi nel mondo del lavoro e non possiede una casa di proprietà. Non è un caso che sono soprattutto gli under 36 residenti in città quelli che nell’ultimo anno hanno attinto ai risparmi per stare al passo con l’aumento del costo della vita. Tanto che quasi uno su due non sarebbe in grado di fronteggiare in autonomia una spesa imprevista da 1.500 euro.
Dall’indagine della Cisl milanese Milano quanto mi costi?, viene fuori che a essere in difficoltà non sono solo i poverissimi o i precari, ma anche la classe media che arriva a redditi di 50mila euro lordi l’anno. Se infatti nel 2019 solo il 19,7% risparmiava meno del 5% del salario, nel 2023 questo dato sale al 44,3 per cento. Si fa attenzione ai prezzi dei beni alimentari, si taglia sui consumi energetici, si ricorre ai prestiti, si sacrificano le spese legate alla socialità e al tempo libero, ma c’è anche chi è costretto a ritardare il pagamento di mutui e bollette o, addirittura, rinuncia a curarsi.
E così da un lato nel 2022, nel comune di Milano, sono stati emessi provvedimenti di sfratto per 1.256 nuclei familiari, il 79% dei quali per morosità. Ma dall’altro, con i tassi di interesse dei mutui in aumento, nel 2023 sono calate le case comprate a scopo residenziale, mentre continuano a crescere (+3% nel 2023) quelle acquistate per investimento, destinate al mercato degli affitti o per scommettere sulla rivalutazione ed essere rivendute.
«Milano sta diventando sempre più un mercato in cui fare investimenti, anziché una città in cui vivere», commenta Massimo Bricocoli, che insegna Tecnica e pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano. «Si sta così via via allontanando dall’essere una città per lavoratori. Il che è un paradosso per la capitale economica del Paese, che ha costruito la sua identità proprio come luogo di crescita ed emancipazione per molti. Le case popolari, all’inizio, si chiamavano case per lavoratori, perché funzionali al numero di lavoratori crescente che arrivava in città soprattutto dal Sud. Quello che invece oggi noi abbiamo osservato con i dati è una situazione invertita, in cui il reddito da lavoro non è più sufficiente a garantire una buona condizione abitativa. E quindi chi non dispone già di un’abitazione o ha il supporto familiare spesso si trova a rinunciare a un posto di lavoro a Milano perché non può permetterselo».

A maggio 2023 sono esplose le proteste degli studenti fuorisede accampati con le tende davanti al Politecnico, contagiando via via gli altri atenei italiani. A Milano ci sono 211mila studenti universitari, di cui uno su tre arriva da fuori Lombardia. Ma il capoluogo lombardo resta la città più cara per chi arriva a studiare da fuori città, con una media di 626 euro al mese per una stanza singola. E meno del 7% di coloro che hanno i requisiti economici riesce ad accedere agli alloggi universitari gratuiti.
Così si cercano altre soluzioni. Come le convivenze tra anziani che vivono soli e giovani alla ricerca di affitti calmierati. Il progetto “Prendi in casa”, ad esempio, realizzato dall’associazione MeglioMilano, prevede che giovani tra i 18 e i 35 anni, in difficoltà nella ricerca di un alloggio a prezzi accessibili, possono chiedere “ospitalità” a una persona anziana che vive in una casa troppo grande per le proprie necessità. Vent’anni fa, quando il progetto è nato in via sperimentale nel quartiere Bovisa, dove era appena stato aperto il nuovo polo universitario del Politecnico, era già evidente che l’offerta abitativa a Milano rispondesse a malapena all’alta domanda di studenti provenienti da tutta Italia e dall’estero. Nel tempo, gli studenti sono aumentati e la situazione è peggiorata. E oggi l’associazione riceve anche più di mille richieste all’anno.
È quello che ha fatto Gianmaria, 25enne ingegnere al primo impiego in una grande società di consulenza, che per qualche mese è stato coinquilino del signor Michelangelo, 58 anni più di lui, prima di decidere di tornare a vivere a Bologna. «Dopo due contratti d’affitto a più di 600 euro, uno regolare e uno in nero, ho preso atto della difficoltà di trovare una nuova soluzione accettabile per uno stipendio di 1.500 euro netti», racconta Gianmaria. «Mi hanno parlato di questa iniziativa e ho deciso di fare richiesta. Ho fatto il colloquio, ho conosciuto Michelangelo e mi sono trasferito a vivere da lui, a San Giuliano Milanese. Il costo era di 310 euro al mese per una stanza singola versati come rimborso spese». E al di là dell’aspetto economico, ammette, «è stata un’esperienza umana di grande valore e scambio reciproco. Alla fine si era creata una relazione nipote-nonno molto bella».
Se vuoi leggere il numero dedicato alla “Milano double-face“. Per chi sottoscrive un abbonamento annuale a VITA gli ultimi cinque anni dell’archivio online sono aperti.
La convivenza con altri inquilini, che in passato era limitata al periodo degli studi universitari, si allarga ora anche alla fascia dei lavoratori. A essere in difficoltà sono non solo i giovani al primo impiego come Gianmaria, ma anche un lungo elenco di lavoratori essenziali, soprattutto quelli con retribuzioni stabilite dai contratti nazionali, per i quali uno stipendio “normale” non basta più per vivere a Milano: infermieri, tranvieri, insegnanti, ma anche medici e funzionari della pubblica amministrazione.
Concorsi pubblici, fino a qualche anno fa molto ambiti, a Milano spesso vengono disertati. All’ultimo bando per medici di base in Lombardia, a fine 2023, più della metà dei candidati non si è neanche presentato. Stesso discorso per la scuola. Per l’anno scolastico 2024/2025, 796 docenti hanno chiesto il trasferimento da Milano, andando a peggiorare la carenza già esistente di oltre 5mila insegnanti in città. Ed è emblematico il caso di Atm, l’Azienda dei trasporti milanesi, costretta a tagliare le corse dei mezzi pubblici di superficie perché fatica a trovare autisti che possano permettersi di vivere a Milano con lo stipendio iniziale di 1.500 euro.
«Tutto ciò compromette la capacità della città di attrarre e trattenere non solo i cosiddetti “talenti”, ma anche lavoratori indispensabili per il welfare urbano, con ricadute sulla qualità dei servizi», dice Bricocoli. Le ragioni dietro questi fenomeni sono diverse. «In primis, le politiche per la casa sono diventate sempre più deboli e ormai non si costruiscono più abitazioni pubbliche», prosegue il professore. A Milano, nell’ultimo decennio, solo l’1,1% dei nuovi permessi per alloggi residenziali riguarda il settore pubblico. «Inoltre, la regolazione dell’affitto non esiste più e quindi i canoni possono crescere senza limiti. Soprattutto dopo l’Expo del 2015, Milano è diventata sempre più attrattiva ed è cresciuta la quota di persone che si sono trasferite in città, facendo aumentare la domanda di case a fronte di un’offerta scarsa», spiega il professore. «È da lì in poi che gli investimenti immobiliari sono cresciuti in maniera esponenziale. Si è scommesso al rialzo sull’immobiliare, sono arrivati capitali stranieri e i fondi sovrani, ma anche i singoli proprietari hanno visto nel possesso di un’abitazione un capitale che garantiva, senza fatica e con basso prelievo fiscale, la possibilità di avere un reddito aggiuntivo».
Il marketing della riqualificazione urbana
I progetti di riqualificazione urbana e l’utilizzo delle tecniche del marketing hanno portato alla trasformazione di quartieri un tempo popolari, diventati mete delle nuove élite cittadine che non potevano più permettersi i prezzi inaccessibili del centro e che hanno via via sostituito i residenti originari spinti più lontano dall’aumento dei costi delle case. Da Isola a Nolo, da Porta Nuova ai Navigli, la cosiddetta gentrificazione è ormai evidente non solo nelle cifre degli annunci immobiliari o nella concentrazione di affitti brevi su Airbnb, ma anche nella composizione delle attività commerciali. I negozi storici e i mini market gestiti dagli immigrati lasciano spazio a gallerie d’arte e caffè dalle atmosfere scandinave. Le edicole riaprono, ma diventano temporary shop gestiti dai brand. E gli ex spazi industriali vengono recuperati diventando mete della movida, spesso con scarse ricadute sugli abitanti dei quartieri. Mentre gli annunci delle case in affitto affisse ai portoni vengono attaccate e staccate di continuo, crescendo di prezzo mese dopo mese.
Le famose rigenerazioni urbane
di Milano sono solo greenwashingGianni Biondillo, architetto e scrittore
«Le famose rigenerazioni urbane di Milano sono solo greenwashing», commenta Gianni Biondillo, scrittore e architetto milanese, che sotto la Madonnina ha ambientato gran parte dei suoi libri. «È un termine per chiamare la speculazione edilizia in un altro modo. Quello che è accaduto è che il capitalismo internazionale ha puntato il suo denaro su Milano». E a Milano, così come in altre città, le amministrazioni comunali sempre più a corto di fondi pubblici, «hanno accettato lo stato di minorità davanti al potere economico pur di riuscire a ottenere i soldi per garantire i servizi e far muovere la grande macchina urbana». La città, continua lo scrittore, «in questo modo ha subito più che governato il cambiamento. Si è trasformata in una metropoli che vuole sedurre i nuovi ricchi e rendere sempre più agevole la vita di chi sta economicamente bene. Il problema, però, è che manca l’attenzione su tutto il resto».
Da mesi, la città è al centro delle cronache per le inchieste della procura sui processi di autorizzazione di grossi progetti edilizi, trattati come ristrutturazioni di edifici o interventi minori, per i quali il comune avrebbe incassato «oneri di urbanizzazione» troppo bassi. Tanto che le pratiche per le nuove costruzioni sarebbero crollate del 50%, in assenza di una modifica normativa che aspetta dal governo di Roma. Nel frattempo, l’assessore alla Casa Pierfrancesco Maran, che aveva creato anche il “Festival dell’Abitare” alla ricerca di un confronto per nuove soluzioni, è stato eletto al Parlamento europeo. Ed è stato sostituito da Guido Bardelli, ex presidente della Compagnia delle opere, esperto di urbanistica, edilizia e appalti pubblici. Che alla sua prima uscita pubblica ha detto: «Questo mercato abitativo è impazzito. Il rischio è di perdere in tempi brevissimi un’intera fascia della popolazione indispensabile. Così creiamo una città esclusiva, una città che impazzisce, dove i giovani crescono senza vedere persone di diverse estrazioni».
I cittadini chiedono risposte a Palazzo Marino. Il sindaco Beppe Sala accusa il governo nazionale, reo di non curarsi dei problemi del capoluogo lombardo. Ma le soluzioni messe in campo finora, dall’housing sociale ai contratti a canone calmierato, non bastano. «Nel Novecento la città è stata disegnata dall’urbanistica e dal Comune, oggi è disegnata dagli interessi privati», dice Biondillo. «Alcuni lo fanno bene, altri benino, altri lo fanno male. Il nuovo skyline è anche seduttivo e i milanesi hanno subito adottato la nuova piazza Gae Aulenti perché Milano resta l’unica città d’Italia che si fa sedurre dalle novità. Poi però la pandemia ha fatto emergere la realtà di quei grattacieli disperatamente vuoti, di quei quartieri che non appartengono a Milano, ma ai ricchissimi che hanno un pezzo di residenza a Milano, un pezzo a Londra e un pezzo a New York».

Negli ultimi vent’anni, Milano ha registrato un tasso di incremento di valore degli immobili del +132%. Quasi il doppio della media delle altre città italiane. Sul totale delle 809.990 case presenti in città, il 63,9% vale come prima casa, il 22,6% (circa 183.227) è in affitto, il 13,5% (circa 109.404) è composto da appartamenti vuoti, mentre quelle messe a reddito per affitti brevi sono solo il 2,4%, pari a 19.271. Con l’aumento dei flussi turistici, sono cresciuti gli annunci sulle piattaforme digitali come Airbnb. Ma è stata la riduzione della durata media dei contratti di affitto ad aver inciso di più sull’accelerazione dei prezzi. «Negli ultimi anni, proprio perché la casa è diventata una fonte di reddito, sono cambiate le tipologie di contratti offerti a lavoratori e studenti», spiega Bricocoli. I contratti “quattro anni più quattro”, che garantiscono all’inquilino una prospettiva di stabilità e il contenimento del canone, si sono ridotti passando dal 79,5% del 2015 al 67,6% del 2022. Mentre sono cresciuti i contratti “transitori” di uno o due anni, dal 17,5% del 2015 al 27,21% del 2022.
«Sono contratti più remunerativi», dice Bricocoli. «Ogni uno-due anni il proprietario può decidere di rinnovare o meno, ma anche di fare un nuovo contratto con un canone più alto, producendo un’accelerazione dell’andamento dei canoni».
Risultato: stando ai salari medi calcolati dall’Inps su Milano, oggi un operaio che vuole vivere in città (considerando abbordabile una spesa massima del 30% della retribuzione netta) potrebbe comprare o affittare una casa di 23 metri quadri, un infermiere potrebbe ambire al massimo a 25 metri quadri, un medico specializzando a 28 metri quadri, un impiegato a 31 metri quadri, un professore associato arriverebbe a 44 metri quadri.
In fuga da Milano
E l’effetto prodotto è lo spostamento progressivo di tanti al di fuori del perimetro comunale, alla ricerca di soluzioni più convenienti. «Chi ha bisogno di più metri quadrati e ha intenzione di stabilirsi per un periodo più lungo e costituire un nucleo familiare fa grande fatica a trovare una soluzione accettabile in città», spiega Bricocoli. «Così ci si trasforma in pendolari e il rischio è che ci si sposti fuori città solo per una questione di prezzo, senza considerare i costi della mobilità, che comportano non solo il costo del mezzo di trasporto, ma anche il tempo che viene impiegato per spostarsi e quindi la perdita di una risorsa importante per la gestione di un nucleo familiare, con ricadute spesso sul lavoro delle donne».
Non è un caso, allora, che il 56,7% dei residenti a Milano è composto da single. E mentre la popolazione giovanile è aumentata del 14% dal 2012 al 2022, a diminuire sono state le famiglie di under 35, con o senza figli, passate da quasi 20mila nel 2012 a 13mila nel 2021. La regola è: quando ti serve una stanza in più, Milano diventa un problema.
Thea e Giuseppe, 32 anni, entrambi dipendenti di una grande società di consulenza, nel 2021 hanno comprato un appartamento in edilizia convenzionata a Bisceglie, ultima fermata della metro rossa a sud ovest della città. «Prima vivevamo in affitto in zona Solari, ma lì i prezzi erano troppo alti per comprare. Abbiamo preso al volo l’ultimo trilocale in edilizia convenzionata del progetto SeiMilano, pagando circa 3.200 euro al metro quadrato, che è la metà di quanto avevamo visto a Milano», dicono. «Certo, siamo in periferia, ma abbiamo la fermata della metro sotto casa e soprattutto abbiamo un terrazzo, un box e dei servizi che in centro avremmo pagato a caro prezzo».
Il nuovo quartiere di venti palazzi, realizzato dalla società Borio Mangiarotti, è dotato di un parco, spazi e servizi in comune, tra cui una palestra, un coworking, una cucina sociale e anche una biblioteca degli oggetti a cui i condomini accedono tramite un’app. E c’è anche una community manager che organizza attività comuni «con l’obiettivo di creare relazioni sociali tra nuovi vicini di casa», raccontano. La gran parte dei condomini è composta da trentenni come Thea e Giuseppe, che hanno acquistato la prima casa. «È la fascia media dei giovani che hanno buoni lavori a Milano, con stipendi medi per il panorama cittadino, che però non bastano per comprare un trilocale più in centro», dicono.
Giacomo e Marilena, entrambi 39enni, sei mesi fa si sono invece trasferiti da Firenze a Milano con la piccola Ginevra, di un anno e mezzo. «Il mio compagno ha ricevuto un’ottima offerta di lavoro qui, e io mi sono licenziata, fiduciosa del fatto che avrei trovato facilmente un altro lavoro», racconta Marilena. «Abbiamo cercato invano un trilocale in città, ma i prezzi erano inaffrontabili, considerato che l’asilo nido ci costa quasi mille euro al mese. Alla fine abbiamo trovato casa a Cassina de’ Pecchi». Ma ora per Marilena è diventato un problema trovare un nuovo impiego. «Ho appena rinunciato a un’offerta che non mi dava flessibilità di orari perché tra andare e tornare da Milano Sud non avremmo fatto in tempo a prendere la bimba all’asilo. Avrei dovuto pagare anche una baby sitter e a quel punto il gioco non valeva più la candela».
I prezzi li determinano i ricchi e le multinazionali
Sono le conseguenze di quella che il giornalista Dario Di Vico ha definito come “città premium”, che espelle al di fuori dei suoi confini chi non regge più i costi crescenti. «Con l’uscita dal Covid e l’impennata dell’inflazione, i prezzi delle case sono schizzati in alto rapidamente, producendo delle storture evidenti», spiega Di Vico. «Fino ad allora, lo sviluppo della città aveva sempre prodotto effetti positivi anche sui ceti medi, uno sgocciolamento della ricchezza dall’alto che arrivava fin nelle periferie. Oggi la piccola globalizzazione milanese sta modellando invece una metropoli per soli ricchi che possono permettersi di spendere senza farsi troppi problemi, mentre i ceti medi sono respinti verso l’esterno». In questo contesto, dice il giornalista, a vincere oggi sono due figure «il proprietario delle mura e il turista americano». Mentre rischiano di sparire «gli startupper o gli imprenditori privati che hanno fatto la fortuna della città del merito, quella che però oggi non riesce più a onorare la promessa fatta ai giovani che si stabiliscono qui per studiare e costruirsi un futuro professionale. Mentre stanno verificando i processi di espulsione che abbiamo visto già nelle città globali, come Londra e Parigi», dice Di Vico.
E le ricadute del caro mattone sono evidenti pure nel turnover dei negozi e dei ristoranti lungo i marciapiedi della città, con insegne che cambiano di continuo. Nel primo trimestre del 2024, secondo i dati della Camera di Commercio, nel comune di Milano si contano in totale 1.268 attività commerciali in meno rispetto a un anno prima, nonostante le attività di ristorazione restino in crescita. Con l’aumento dei prezzi degli affitti, molti negozianti non reggono i costi di affitto, costretti a “delocalizzare” in periferia quando va bene, se non a chiudere del tutto. «I proprietari degli immobili commerciali non hanno nessun problema ad alzare i prezzi e a sfrattare gli inquilini, perché ci sarà sempre una multinazionale o una grande catena disposta a pagare il prezzo più alto», dice Di Vico. «E questo ovviamente ha un riflesso sui costi che affrontano i consumatori. Quando ci si lamenta per l’alto costo di uno spritz, si deve pensare che viene ricaricato anche dell’alto costo dell’affitto».
Fino a ora lo sviluppo della città aveva
sempre prodotto effetti positivi sui ceti medi.
Oggi non è più cosìDario Di Vico, giornalista
E gli investimenti sembrano andare proprio nella direzione della “città premium”, privilegiando la fascia alta di consumatori il cui potere d’acquisto non viene intaccato al crescere dell’inflazione. Sotto la Madonnina, dopo la Brexit, molte delle società della finanza hanno trasferito da Londra parte dei propri dipendenti. Il cosiddetto “svuota Londra” voluto dal governo Renzi nel 2016, che prevede una flat tax di 100mila euro l’anno su qualsiasi reddito estero per 15 anni per chi trasferisce la residenza fiscale in Italia, ha portato a Milano calciatori, finanzieri e imprenditori. E con la stretta del Regno Unito dal 2025 sulle agevolazioni per i residenti non domiciliati, altri sarebbero pronti a fare le valigie verso il Duomo. A questo va aggiunto anche il cosiddetto «rientro dei cervelli», che offre un regime fiscale di favore con una riduzione del 70% sul reddito da lavoro annuale per cinque anni, poi ridotto al 50% dal governo Meloni, per chi non è stato residente in Italia per almeno due anni. Una norma che ha favorito il rientro in Italia di quasi 90mila expat italiani, tra manager e professionisti, molti dei quali si sono trasferiti a Milano. Come ha spiegato il Financial Times, si tratta di persone con alto potere d’acquisto che vanno ad aumentare la domanda di appartamenti medio-alti, incrementando l’accelerazione dei prezzi. Nelle scuole internazionali del gruppo Inspired Education gli studenti sono aumentati da 1.200 a 2mila negli ultimi tre anni. E la città si sta popolando di club esclusivi in stile londinese a cui si accede solo su invito, i bar destinati agli stranieri espatriati e i centri sportivi per fare networking, con abbonamenti da migliaia di euro e chiusi al grande pubblico.
Ai margini della città
Mentre arrivano in città nuovi milanesi attratti da investimenti e benefici fiscali e crescono quelli che guadagnano oltre 120mila euro l’anno (cinquemila in più nel 2022 rispetto al 2021), a esser spinti sempre più ai margini sono invece quegli immigrati più poveri arrivati da altri Paesi in cerca di fortuna. Molti dei quali sono impiegati proprio in quei lavori poco qualificati che costituiscono l’ossatura urbana: dai servizi nelle case alla ristorazione, dall’edilizia alle pulizie dei grandi uffici.
Alle prime luci del mattino, in metropolitana, sui treni o nei vagoni del passante ferroviario, la popolazione di pendolari è fatta quasi tutta da stranieri. Ci sono i rider con le bici che arrivano in centro per consegnare i pasti ordinati sulle piattaforme online. I muratori diretti verso i cantieri cittadini. E le donne che si affrettano per assistere gli anziani o per portare fuori i cani delle famiglie del centro.
«Milano, al contrario di altre città, nella sua storia non ha mai avuto i quartieri ghetto degli immigrati dal Sud», spiega il milanese e milanista Stefano Granata, presidente di Confcooperative Federsolidarietà. «La grandezza di Milano è che ha sempre saputo tirarsi dietro tutti. Il modello parigino delle banlieue qui non c’è mai stato. Oggi, invece, l’identità di città dell’inclusione e dell’accoglienza rischia di essere tradita. E anche gli immigrati sono spinti sempre più fuori: cominciamo a vedere quartieri o rioni divisi per etnie e scuole con alte concentrazioni di soli alunni stranieri». Secondo i dati del ministero dell’Istruzione, la dispersione scolastica a Milano cresce proprio in maniera inversamente proporzionale rispetto al costo delle case. Nelle zone periferiche, dove il valore al metro quadrato è più basso, aumentano i ragazzi che abbandonano la scuola.
L’identità di città dell’inclusione rischia
di essere tradita: ormai ci sono quartieri
divisi per etnieStefano Granata, cooperatore sociale
Tra le zone più problematiche, c’è il quartiere popolare di Gratosoglio, capolinea della linea 3 del tram a pochi minuti dalla circonvallazione nella zona Sud della città, dove oltre il 28% dei residenti non ha un titolo studio o possiede solo la licenza elementare e solo il 34% ha un lavoro.
Accanto alle torri bianche dove è cresciuto il cantante Mahmood, nella «Gratosolliwood» creata negli anni Sessanta dall’Istituto autonomo case popolari, sorge la zona residenziale delle Terrazze con palazzi costruiti negli anni 80 da Ligresti e parchi verdi. Due aree adiacenti, ma distanti anni luce per composizione sociale e condizione abitativa, dove è arrivato da poco più di un anno don Paolo Steffano, dopo 18 anni a Baranzate (la cittadina alle porte di Milano con la più alta densità di immigrati d’Italia). «La Gratosoglio delle case popolari è un quartiere molto affaticato da situazioni economiche difficili, di marginalità sociale, di spaccio, di gente che dorme in strada, con famiglie disgregate e nuclei di stranieri che si sono radicati e altri no. E il rischio è che i ragazzi del quartiere facciano fatica a uscire, implementando la piccola logica locale delle bande, con violenza quotidiana continua», spiega don Paolo.
Nel quartiere ci sono due licei, una scuola media, tre elementari e una scuola dell’infanzia. «Però assistiamo ormai alla fuga dalle scuole del quartiere. Chi può iscrive i figli nelle scuole verso Milano e qui finiscono per concentrarsi, soprattutto in alcuni istituti, le situazioni più difficili», dice il parroco. «Il numero di richieste di insegnanti di sostegno è altissimo in ogni classe e non viene quasi mai soddisfatto».
Molte case popolari nelle torri sono occupate abusivamente e negli angoli delle strade si accumulano cataste di spazzatura di ogni tipo. «Questo degrado fa nascere il disagio», spiega il parroco, reduce da una nottata alla ricerca di una ragazza tossicodipendente che si era allontanata da casa. «Ho trovato un quartiere ricco di associazioni e cooperative che provano a evitare che i giovani o stiano chiusi in casa o vadano in giro a infoltire lo spaccio di droga e la microcriminalità. Alla Caritas abbiamo più di 250 assistiti, ci sono tanti che si arrabattano tra indennità di disoccupazione e sussidi di ogni tipo, giovani che fanno pesante uso di droghe e tanti anziani soli che hanno pensioncine che non bastano a vivere dignitosamente».
Nel 2023, i milanesi che hanno chiesto un sostegno alimentare sono cresciuti. All’Opera San Francesco, che fornisce un servizio mensa, gli accessi sono aumentati del 40%. E anche la Caritas ha visto un incremento di richieste, soprattutto da parte di pensionati che vivono soli.
«A Milano sono più le persone che entrano in povertà che quelle che escono», dice Alberto Sinigallia, presidente della Fondazione Progetto Arca. «Gli italiani che vediamo in strada con le nostre unità sono in aumento. Una volta erano un 60% stranieri e un 40% italiani, adesso abbiamo raggiunto il 50 e 50. Molti sono stati messi in difficoltà dopo il Covid, con l’aumento del carovita, mentre gli stipendi non sono aumentati».
È aumentato il numero degli italiani
che vivono in strada. Prima sei su dieci
erano stranieri. Ora sono 50 e 50Alberto Sinigallia, presidente Fond. Progetto Arca
Ogni giovedì sera, alle 21, alle spalle di piazza San Babila arriva puntuale una delle Cucine mobili di Progetto Arca per la distribuzione dei pasti caldi. Per capire dove si fermerà il camioncino bianco, basta seguire la coda che si forma già mezzora prima, mentre intorno si chiudono gli uffici, c’è chi si ferma con i colleghi a fare aperitivo e chi corre verso casa in monopattino. Luca e gli altri due volontari si fermano sotto l’insegna di uno dei coworking più in voga in città, aprono lo sportello e nel giro di pochi minuti ci sono già venti persone in coda con carrelli della spesa e borse gialle dell’Esselunga da riempire. C’è chi vive in strada e chi una casa ce l’ha, ma i soldi di poche ore di lavoro a settimana non bastano più a fare la spesa.
«Distribuiamo 720 pasti a settimana», spiega Luca, un operatore. «Nel pacchetto ci sono sempre acqua, proteine, carboidrati e verdure». Qualche volta c’è anche il dolce, quando arrivano le donazioni dei supermercati. Luca chiama per nome chi si avvicina al camioncino. «Ormai conosco i gusti di ciascuno», dice. «Ci sono persone che vengono da tempo, ma nell’ultimo anno l’utenza è aumentata almeno del 20%, tra immigrati e italiani piegati dall’aumento dei prezzi». I diciotto foodtruck delle otto organizzazioni milanesi che assistono le persone in strada ogni settimana hanno giorni e zone definite, in modo da coprire tutte le aree della città. E tutti conoscono il calendario, muovendosi – chi in bici chi con i mezzi – per fare scorta di cibo. Una volta preso il sacchetto di plastica pieno, si salutano e si danno appuntamento.

A Milano, secondo l’ultima rilevazione, le persone senza dimora, che vivono in strada o vengono accolte dalle strutture del Comune, sono 2.343. «Le associazioni hanno una regia comune, con un portale in cui ognuno scrive di cosa ha bisogno quella persona, di modo che il giorno dopo l’associazione che andrà in quella zona sa che che ad esempio c’è bisogno di un paio di scarpe numero 42», spiega Sinigallia. «Ogni persona viene monitorata, così conosciamo le storie e i bisogni di ciascuno». Ma l’obiettivo di Progetto Arca è di evitare che le persone finiscano in strada o che almeno ci stiano il meno possibile. «Bisogna rafforzare l’accoglienza perché le persone non passino anni o mesi in strada, quando poi è molto più difficile recuperare casa e lavoro», dice Sinigallia. Una figura centrale che mette a disposizione Progetto Arca è quella dell’educatore finanziario «per coloro che non riescono ad arrivare alla terza settimana del mese, però hanno ancora casa, relazioni familiari e amicizie e si possono recuperare».
Il servizio viene offerto anche chi si rivolge ai quattro market solidali aperti dall’organizzazione a Milano. Nello spazio di viale Luigi Bodio, in un pomeriggio d’estate si incrociano le storie e i volti di chi fa fatica a tirare avanti, ma ce la sta mettendo tutta. Ci sono immigrati che fanno le pulizie o lavorano come badanti nelle case dei milanesi, giovani stagisti delle catene della grande distribuzione, ma anche pensionati e chi il lavoro l’ha perso da poco. In pochi metri quadrati si parlano almeno quattro lingue diverse. E lo spazio dedicato ai giochi per bambini si riempie subito. «I beneficiari sono in totale 150 nuclei familiari in difficoltà», spiega Angelo, volontario dopo una carriera come direttore vendite in una multinazionale. «La richiesta è tanta. Molti hanno lavori più o meno regolari, ma che non garantiscono le spese minime per condurre una vita accettabile». Per accedere al market occorre avere un Isee sotto i 9mila euro e a ogni nucleo viene assegnata una tessera con un numero di punti proporzionale alla composizione della famiglia. Trecento punti per il primo componente, più altri cinquanta per ogni componente aggiuntivo. Se c’è un minore si aggiungono duecento punti, che vanno usati per prodotti per l’infanzia. Nel negozio, ogni prodotto vale un tot di punti e non c’è scambio di denaro: per mezzo chilo di pasta ci vogliono dieci punti, lo stesso per il tonno in scatola, la marmellata vale venti punti, così come gli assorbenti femminili, mentre il pane è in omaggio. I prodotti arrivano dalle eccedenze e dalla merce vicina alla scadenza delle grandi catene di supermercati, oltre che dalle donazioni private e dal Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead). «La logica è che le persone vengano qui per non più di sei mesi, durante i quali oltre a fornire la spesa con due appuntamenti al mese, li avviamo in percorsi di inserimento lavorativo e miglioramento delle condizioni di vita», aggiunge Angelo. E accanto al market solidale, a metà luglio è stato inaugurato anche un condominio di dieci appartamenti per persone in situazione di povertà ed emergenza abitativa. Perché, spiegano dalla fondazione, «la casa assume un ruolo ancora più importante del suo essere abitazione. È lo strumento per rimettere in gioco le competenze e proseguire la strada verso l’autonomia».
La città spezzettata
Il rischio è che «quando viene meno l’idea che una città ha di se stessa, di colpo cominciano le dimenticanze. Sembra che ormai Milano sia solo al servizio di una determinata cerchia di persone, mentre altre non esistono più», dice Luca Doninelli, scrittore e giornalista milanese.
Con “Cantiere Odissea” al Teatro Oscar-deSidera, Doninelli ha coordinato il lavoro sette giovani autori che hanno percorso e raccontato le diverse realtà del Municipio 4, da Forlanini a Corvetto, da Porta Romana a Calvairate. «Il nostro teatro si situa in una zona delicata dove si incrociano tre dinamiche: c’è una parte problematica che sfocia nelle case Aler di piazzale Cuoco, c’è una parte più borghese e c’è anche una zona che si va gentrificando. Tre situazioni diverse nella stessa zona», ragiona. «Una realtà spezzettata, che arriva fino al bosco di Rogoredo», luogo di perdizione dei tossicodipendenti della città. «Questi pezzi di città si conoscono poco, non si parlano e anzi si evitano», dice lo scrittore. Basta uno sguardo su questo «spicchio di città per osservare il cambiamento non pensato della metropoli, questo suo andare veloce, senza prendersi cura di chi la abita. Se oltre a fare il bosco verticale non pensi anche a come mantenere case con un range di prezzi accessibili ai più giovani, la città si spezzetta sempre di più. Il teatro è uno strumento di conoscenza e così nel nostro piccolo tentiamo di ricucire una cerniera nel Municipio 4, di mettere insieme dei lembi».
Sembra che Milano sia solo al servizio
di una determinata schiera di persone.
Gli altri non esistono più
Luca Doninelli, scrittore
Gianni Biondillo, che è anche docente di “Psicogeografia e narrazione del territorio”, ha creato il progetto “Sentieri metropolitani”, da cui è nata una rete europea di camminatori cittadini. «Abbiamo ripreso le tecniche usate nelle escursioni in natura per applicarle alla città e dire “questo è il paesaggio che conosciamo meno”», racconta. «Tornare a guardarlo significa tornare ad averne interesse e prendersene cura. Così si scopre ad esempio che anche i famosi quartieri vituperati sono posti molto interessanti da visitare, popolati da gente meravigliosa».
Anche se, dice, parlare di «periferie» contrapposte al «centro» ormai non ha più senso. «Sono concetti che avevano senso cinquant’anni fa», spiega. «Prendiamo la San Siro dei trapper, che si trova a tre minuti a piedi dalle case degli ultramiliardari calciatori dell’Inter o del Milan. Allora anche i ricchi calciatori vivono in periferia? Quando noi parliamo di periferia si attiva nel nostro cervello il retropensiero che parla dei nuovi quartieri ai margini della città costruiti per gli operai. Ma ormai non sono più nuovi perché hanno anche 70-80 anni, non si può parlare più di margini della città, visto che ormai la grande metropoli arriva fino a Como. E gli operai dove sono se a Milano non ci sono più le fabbriche?».
Meglio allora parlare di «marginalità, di quartieri problematici, ma con una loro identità, e non generiche periferie», spiega. «In fondo quei trapper di San Siro non fanno altro che fare un discorso identitario di cui dovremmo avere rispetto. Sono quartieri che la città di Milano ha costruito per dare una casa a tutti. Prima si viveva in tuguri terribili senza luce elettrica e acqua corrente. Milano nel corso del Novecento ha dato una casa a tutti e questo è uno sforzo collettivo di cui dovremmo avere rispetto e ammirazione, non trattare le aree delle case popolari come se fossero infette». O al massimo luoghi da «riqualificare» in un «desiderio disperato di gentrificare la città». Quello che serve, forse, è tornare a camminare, senza più correre. Come fanno gli escursionisti cittadini dei “Sentieri metropolitani”. E come hanno fatto gli autori del Cantiere Odissea sui marciapiedi del Municipio 4.
«Milano è la città del cambiamento», dice Biondillo. «Il simbolo di Milano non è il Duomo, ma il cantiere del Duomo, il cantiere incessante che non si ferma mai. Quindici anni fa ho girato a piedi in posti di Milano che oggi non esistono più. Milano è fatta così, è in continua e ossessiva trasformazione. Quello che dovrebbe riuscire a fare oggi non è fermarsi, ma rallentare, perché stiamo correndo come dei matti e non ci accorgiamo di quello che stiamo lasciando dietro».
Quali soluzioni?
Il dibattito sull’accessibilità di Milano è in corso ormai da tempo, dentro e fuori la città. E qualcosa nel sottobosco cittadino si muove, seppur senza incidere ancora in modo efficace.
La soluzione, dice Bricocoli, «deve essere integrata, coinvolgendo diverse parti con l’obiettivo di aumentare l’offerta di abitazioni a prezzi calmierati per studenti o per chi ha bisogni diversi». In città come Vienna, Parigi o Zurigo, si è visto come l’aumento dell’offerta di edilizia pubblica e sociale è servito a rallentare la crescita dei prezzi di mercato. Anche se finora anche l’housing sociale a Milano «è rimasto solo un fronte limitato che ha prodotto esiti contenuti, con un riorientamento delle cooperative da obiettivi sociali verso meccanismi più vicini al mercato».
A fine 2023, Franco Guidi, amministratore delegato dello studio di progettazione e design Lombardini22, ha lanciato l’idea di costruire case che costino dieci euro al giorno. «Aumentare l’offerta di case con un prezzo abbordabile per chi vuole venire a vivere a Milano deve diventare l’obiettivo per sbloccare questa situazione», spiega Guidi, seduto nel giardino dello studio in zona Navigli. «La popolazione dei lavoratori del nostro studio è fatta da giovani con un’età media di 35 anni che vengono da tutta Italia e che vivono il problema dell’abbordabilità della casa».
Contenere i prezzi è anche interesse
delle aziende che altrimenti faticano
a trovare lavoratoriFranco Guidi, designer urbano
Partendo dagli stipendi dei primi anni di lavoro per i giovani e di quelli offerti dal settore pubblico, Guidi ha ipotizzato di fissare il costo di un affitto in dieci euro al giorno per ciascun inquilino, che equivalgono a 300 euro a persona, circa 600 euro mensili per una coppia. Abitazioni, spiega, per quella «fascia di persone che non sono abbastanza povere per accedere all’housing sociale, ma che nello stesso tempo non hanno abbastanza reddito per accedere al mercato. È una fascia nuova molto grande di chi vuole vivere in città ma che non ce la fa».
Cosa serve? «Si tratta di creare una intera filiera, dalla finanza alla pubblica amministrazione, dagli architetti ai costruttori, in grado di dare alle persone ciò che possono effettivamente permettersi», risponde.
Guidi ha bussato alle porte di Assolombarda, dei sindacati, dell’associazione dei costruttori e dei fondi di investimento. E ne ha discusso anche con chi fornisce i materiali da costruzione. «Non è un’utopia. Basta ottimizzare costi e tempi», ripete. «Si può fare, ma dobbiamo metterci insieme per affrontare la questione». Perché, è il suo ragionamento, «è anche nell’interesse delle imprese, che altrimenti non trovano lavoratori disposti a venire qui se devono spendere tutto lo stipendio nell’affitto». La sua idea, sulla quale si è anche confrontato con i sindacati, è puntare anche su un’evoluzione del welfare di secondo livello. «Se finora le imprese hanno offerto buoni benzina, buoni palestra o le macchine aziendali, oggi i giovani hanno bisogno invece di sostegni per la casa», spiega. «C’è un asset class di comunità che va considerato. E se noi aiutiamo le persone a lavorare, a rendersi indipendenti e a crescere, anche l’Inps potrebbe avere interesse a investire. Il nostro invito è ai cosiddetti capitali pazienti, agli investitori di lungo termine, come i fondi pensione».
Al momento ci sono due progetti pilota che potrebbero partire a breve lungo la linea verde della metropolitana. Certo, dice Guidi, «un intervento da solo non risolve la questione, ma far vedere che si può fare aiuterebbe a ingranare la marcia. Perché se Milano diventa città della rendita, è destinata al declino. È attraverso gli incontri e gli scambi tra persone diverse che si crea quell’humus che produce innovazione e che ha fatto la fortuna della città. Se non attiriamo più persone di diverse estrazioni sociali e facciamo crescere tutti, la città si impoverisce».
Anche la sgr Redo, leader della rigenerazione urbana a impatto sociale, punta a introdurre una offerta abitativa differente sul mercato. Lo scorso giugno ha sottoscritto una partnership con EuroMilano, società specializzata nella realizzazione di progetti di rigenerazione urbana. Gli interventi, con un capitale di 3 miliardi di euro, si concentreranno nella zona dell’ex Macello e nelle ex aree Falck di Sesto San Giovanni per fornire abitazioni a prezzi più bassi, avendo alle spalle investitori di lungo termine e capitali pazienti.
Ma non sarà certo il social housing o la buona volontà di qualche imprenditore a salvare Milano dall’emergenza-casa, ammettono gli stessi protagonisti. «Serve una combinazione di più livelli di policy», dice Bricocoli. «Solo le policy locali non riescono a fermare questa freccia che cammina velocemente. Se si decide di puntare su Milano come capitale economica del Paese, servono politiche nazionali ad hoc. Potrebbe avere senso agevolare l’offerta favorendo le iniziative che vanno nella direzione di costruire degli immobili per studenti o per chi ha bisogni diversi, prevedere agevolazioni pubbliche per costruttori o aziende che propongono progetti mirati in questa direzione». Ma anche le imprese che lamentano la mancanza di manodopera sono chiamate a partecipare a questo progetto collettivo, offrendo un nuovo tipo di welfare per i lavoratori. Forse, dice Bricocoli, «ci sarà un ritorno a quello che in origine è stato il motivo per cui si sono fatte politiche per la casa a Milano, ovvero politiche per la casa per i lavoratori». Così potrà tornare a essere la città di tutti.
In apertura, immagine di viale Monza che fa parte della zona chiamata NoLo, acronimo di “North of Loreto”, a nord di piazzale Loreto. (LaPresse, dal numero di Vita di settembre 2024)
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