Stefania Giannini
Stefania Giannini: «La pace entri nei programmi scolastici»
Intervista all'ex ministra all'Istruzione e attuale vicedirettrice generale Unesco: «Introdurre nei programmi scolastici l'educazione alla pace, non solo è possibile, ma è fortemente auspicabile»

Introdurre formalmente nei programmi scolastici italiani l’educazione della pace è «non solo possibile, ma fortemente auspicabile, e credo che sia un punto centrale del ricco mosaico di contenuti e di strumenti che la scuola italiana possiede».
A dirlo in questa intervista a VITA è la vicedirettrice generale dell’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, le Scienze e la Cultura), Stefania Giannini, già ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del governo Renzi, dal 2014 al 2016, che ha coordinato la revisione della Raccomandazione sull’educazione alla pace, i diritti umani e lo sviluppo sostenibile adottata dai 194 Stati membri dell’Unesco nel 2023.
«L’attualità deve guidarci nella revisione delle leggi» spiega Giannini. «Nel 2022 gli Stati membri dell’Unesco hanno deciso di rimettere mano a un documento del 1974, già molto visionario all’epoca, ma inevitabilmente non aggiornato ai temi che stanno diventando drammaticamente urgenti e con cui la scuola non può non confrontarsi: il cambiamento climatico, la trasformazione digitale, la battaglia per l’eguaglianza di genere, la discriminazione, per citarne solo alcuni. Negli ultimi due anni, la “guerra mondiale a pezzi”, come l’ha definita papa Francesco, non è più rappresentata soltanto da un insieme di frammenti sparsi, ma ci appare piuttosto in tutta la sua inquietante interezza. Si tratta, pertanto, di riaffermare un’idea forte di pace positiva e di difenderla e promuoverla nella formazione della persona, attraverso un modello educativo basato sulla convivenza. Il bambino può trovare solo sui banchi di scuola gli strumenti per sviluppare la propria capacità di gestione del conflitto, per costruire domani, da cittadino adulto, nella sua partecipazione attiva e consapevole alla vita sociale, le condizioni che impediscono la guerra».
L’idea di fondo della Raccomandazione è che per plasmare futuri di pace giusti e sostenibili occorre trasformare l’educazione stessa. Si fa appello a una revisione profonda dei modelli educativi dei Paesi prima che proporre metodi specifici di educazione alla pace. Perché questa scelta, che sembra invertire l’ordine dei fattori?
In molti Paesi i sistemi educativi sono ispirati più a principi di competizione che di cooperazione. Occorre recuperare un modello olistico, multidisciplinare, che aiuti i ragazzi a sviluppare il loro pensiero critico, la loro capacità di vivere la complessità, che negli ultimi decenni si è sviluppata a ritmi vertiginosi, basti pensare all’intelligenza artificiale e al suo impatto nella vita sociale e individuale. La pace non è solo assenza di guerra. La pace positiva inizia dalla scuola, una scuola che insegna e pratica la collaborazione e la solidarietà. Questa idea fu già apertamente sostenuta da Maria Montessori, che a partire dagli anni Trenta, in un periodo in cui l’Italia si preparava alla guerra, considerava il percorso educativo stesso come uno strumento di pace. Un’educazione che ha come scopo la formazione di una mentalità autenticamente solidale e collaborativa, dovrebbe favorire dei “comportamenti di pace” in tutti gli attori della comunità educativa, ovvero dei comportamenti di condivisione e di rispetto. Questo è, in sintesi, il messaggio rivoluzionario del suo libro Educazione e Pace.
Nell’ordinamento italiano l’educazione alla pace non è inserita formalmente nei programmi scolastici. Nelle recentissime Linee guida per l’educazione civica del ministro Giuseppe Valditara nemmeno compare la parola pace. Come si spiega questa lacuna?
Queste Linee guida parlano di una scuola costituzionale, in cui l’idea dell’educazione civica è interpretata e presentata in un’accezione ampia, che richiama alcuni principi di grande valore e ben radicati nella tradizione della scuola italiana. Dal mio osservatorio globale e comparativo, posso dire che l’Italia possiede un sistema educativo molto avanzato e di qualità. Credo, tuttavia, che l’assenza della parola pace nelle recenti Linee guida sia una lacuna, semantica e programmatica e che possa derivare dalla volontà di concentrarsi soprattutto sul contesto nazionale. Questo è il senso della scuola ispirata alla Costituzione, di cui espressamente parlano le Linee guida per l’”educazione civica”, idea nobile di per sé, se non limita l’orizzonte internazionale, dove il tema della pace ha riconquistato una drammatica attualità. Coerentemente, i riferimenti alle istituzioni e agli organismi internazionali sono limitati (solo una citazione della Dichiarazione dei Diritti Universali, e un riferimento in una nota all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile). Mi auguro che questa dimensione possa essere recuperata e potenziata nel futuro.
Che percorso è necessario fare per introdurre l’educazione alla pace nelle scuole?
Non può essere solo l’azione di un governo. Deve essere piuttosto l’acquisizione di una consapevolezza diffusa nella società e nella comunità educativa, che il tema della pace non è un tema astratto, così come la mia generazione l’ha vissuto per molti anni in Europa. L’evoluzione del quadro geopolitico degli ultimi anni vede non solo guerre combattute, ma anche società e democrazie minacciate da attacchi di diversa natura: disinformazione, discorso d’odio, che si diffonde e che manipola l’opinione pubblica nei più diversi contesti. Le linee guida del ministero contengono alcuni spunti interessanti su questi ultimi aspetti, laddove si parla della cittadinanza digitale, che è una componente essenziale del più ampio concetto di cittadinanza globale.
Che cosa significa “cittadinanza globale”?
La cittadinanza globale si riferisce al senso di appartenenza a una comunità più ampia e a un’umanità comune, valorizzando al contempo la propria identità, fatta di lingua, cultura e tradizioni. E l’educazione alla cittadinanza globale contribuisce a un approccio multidimensionale ai problemi di un pianeta interconnesso e interdipendente, in cui le dinamiche locali e globali sono inevitabilmente collegate. Educare alla cittadinanza globale significa preparare i ragazzi ad analizzare le situazioni di conflitto e di disuguaglianza locali, attraverso una lente globale. Si tratta, pertanto, di un modello educativo che sviluppa il pensiero critico, che privilegia il dialogo, la cooperazione e l’auto-riflessione, per consentire agli studenti di prendere decisioni informate, etiche, di partecipare al cambiamento sociale. Ciò significa, in definitiva, promuovere l’idea di una scuola aperta, alla comunità, alla società e al mondo.
Nell’immagine Stefania Giannini, già ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del governo Renzi e attuale vicedirettrice generale dell’Unesco – Foto Unesco
Questa intervista è apparsa sul numero di VITA magazine di febbraio “La pace siamo noi”. Per approfondire gli altri contenuti è possibile abbonarsi. Gli abbonati hanno a disposizione l’archivio degli ultimi cinque anni del magazine
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