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A tutto sport (therapy) per combattere la malattia

L’esercizio di precisione e l'attività fisica sono sicuri anche per i piccoli pazienti più fragili. Si cerca ora di scoprire se aiutano anche a sopportare la patologia e le cure, così come avviene per gli adulti. Se ne occupa il progetto europeo Fortee, che punta alle prime linee guida sul tema

di Nicla Panciera

Sport Therapy per pazienti oncologici
Sport Therapy per pazienti oncologici

Le evidenze scientifiche dei benefici dello sport per i malati, numerose e robuste per i pazienti adulti, mancano nel caso di bambini e adolescenti. Eppure, poter trascorrere un po’ di tempo insieme fuori dalle proprie camerette (all’aspetto sociale dello sport è dedicato VITA di luglio, scaricabile qui) e non veder negata la possibilità di svolgere attività motoria, esercizio e sport, fondamentali in età evolutiva, aiuta a migliorare la qualità della vita dei giovani pazienti e ridurre il più possibile le eventuali sequele negative del cancro e dei suoi trattamenti.

La concreta possibilità che, come avviene per gli adulti, anche nei più piccoli lo sport aiuti a sopportare le terapie oncologiche e abbia un effetto sulla prognosi è oggetto di ricerca: «Abbiamo visto che l’esercizio di precisione e lo sport sono sicuri, anche per i più fragili» spiega Francesca Lanfranconi, medico dello sport e ricercatrice in fisiologia umana del Centro Maria Letizia Verga per la cura delle leucemie e dei linfomi infantili di Monza. «Ora, il nostro obiettivo è di verificare se l’allenamento di precisione, adeguato al singolo bambino, oltre a essere sicuro e a contrastare la forzata immobilità, è anche di aiuto». A dare un’occhiata all’account instagram del progetto, sembrerebbe proprio di sì: @centromlv_sporttherapy

FORTEe è un progetto ambizioso, che punta anche alla stesura delle prime linee guida per l’effettuazione di esercizio e sport come terapia negli ospedali pediatrici

— Francesca Lanfranconi, medico dello sport e ricercatrice in fisiologia umana

Attivo ormai da sette anni, il progetto di sport therapy è per bambini, adolescenti e giovani adulti da 1,5 a 21 anni, è condotto da due medici dello sport, sei scienziati motori e una neuropsicomotricista, in costante consultazione con i pediatri del Centro e anche in  collaborazione al bisogno con i fisiatri dell’istituto: «Tutto è iniziato con un progetto pilota, messo in piedi da un giovane tesista di scienze motorie, Tommaso Moriggi, che molti anni prima era stato un piccolo paziente trapiantato di midollo osseo del Centro. Il progetto, per bambini e ragazzi in cura per tumori del sangue o post trapianto di midollo, sarebbe dovuto terminare dopo quattro mesi. Invece, continua ancora oggi». Il team, forte della sua esperienza, è responsabile della parte di sperimentazione clinica di un progetto di ricerca internazionale e multicentrico, finanziato dall’Unione europea (programma di ricerca e innovazione Horizon 2020, grant agreement 945153), FORTEe (Diventa forte per combattere il tumore infantile. Un intervento di esercizio per bambini e adolescenti in trattamento antitumorale). Gli altri centri coinvolti sono, in Italia, l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, il cui responsabile è Filippo Spreafico, poi Copenhagen, Heidelberg, Ljubljana, Lyon, Madrid e l’università di medicina J. Gutemberg a Mainz che coordina il progetto. «Un progetto ambizioso, che punta a colmare una lacuna conoscitiva e alla stesura delle prime linee guida per la valutazione funzionale e l’effettuazione di esercizio e sport come terapia negli ospedali pediatrici d’Europa e nel mondo» spiega Lanfranconi, appena rientrata da Parigi dove ha presentato FORTEe al 28esimo congresso annuale dell’European College of Sport Science.

Gli «atleti», come li chiamano, vanno incontro alla valutazione delle caratteristiche di capacità aerobica, forza, equilibrio e flessibilità. Svolgono poi delle attività personalizzate, stabilite da un team multidisciplinare composto da pediatra, medico dello sport, scienziato motorio e osteopata. «L’allenamento riguarda la forza, la capacità aerobica, la flessibilità e anche il gesto tecnico» spiega Lanfranconi «Le attività adattate proposte includono arrampicata sportiva, calcio, bicicletta senza pedali, danza e animal flow, disciplina ispirata al movimento degli animali per cui abbiamo il sostegno del suo fondatore Mike Fitch». Si inizia la mattina con gli esterni in palestra e nel giardino sul terrazzo, suddivisi in piccoli gruppi per fasce d’età, si prosegue il pomeriggio per gli interni nelle camere in reparto di ematologia e in centro trapianti. Al termine delle undici settimane di «trattamento sportivo» gli atleti vengono rivalutati. «In questi cinque anni, è emerso che tre mesi di allenamento mantengono o migliorano l’efficienza dei sistemi respiratorio, cardiovascolare e muscolo-scheletrico» racconta la responsabile. Questo è molto importante perché si sono indizi che una migliore efficienza di tali sistemi possa sostenere il sistema immunitario nella lotta contro il tumore, sempre in sinergia con i farmaci e trattamenti oncologi. Oltre ai protocolli di valutazione detti, nel progetto FORTEe sono stati inseriti dei questionari sulla qualità della vita ed esami ematici su biomarkers.

«I risultati ottenuti fin qui hanno avuto la meglio sulla naturale titubanza dei familiari, che inizialmente ritengono lo sport pericoloso e non prioritario, e degli specialisti, che ora ci chiamano non appena arriva un paziente, anche se particolarmente fragile». Dal 2017, a Monza sono stati svolti circa 18.000 allenamenti e hanno potuto allenarsi più di 600 atleti, un terzo dei quali estremamente fragile, come gli atleti che vengono presi in carico sin dal primo giorno post trapianto di midollo osseo. Il team è a disposizione per aiutare a proseguire con il programma anche chi risiede lontano e non è ancora pronto a reinserirsi nelle comunità sportive del proprio territorio. Racconta Lanfranconi che la formazione degli operatori dura un anno e l’ambizione è quella di arrivare a un’Italia in cui ogni oncologia pediatrica abbia la propria sport therapy.

I risultati ottenuti fin qui hanno avuto la meglio sulla naturale titubanza dei familiari e degli specialisti

– Francesca Lanfranconi, medico dello sport e ricercatrice in fisiologia umana

Non da ultimo, «quello dell’attività fisica è l’unico momento in cui i bambini e le bambine, gli adolescenti possono confrontarsi tra loro, sulla perdita dei capelli e altre esperienze cui andranno incontro, normalizzandole» sottolinea la ricercatrice, che pure ammette una certa difficoltà nel motivare in particolare i più grandicelli. Ma va fatto perché un terzo di loro dovrà affrontare delle conseguenze di lungo periodo dovute alla malattia e ai trattamenti; quindi, bisogna fare di tutto per favorirne il recupero, cercando di scongiurare la comparsa di patologie croniche legate alla sedentarietà. A complicare le cose c’è, infine, la ritrosia culturale tutta italiana verso l’attività fisica all’aperto, ammette Lanfranconi, che ha fatto sopralluoghi in tutti e 16 i centri coinvolti nel progetto FORTEe: in Italia sembra faccia sempre troppo caldo, troppo freddo o troppo umido per uscire ma le cose stanno molto lentamente cambiando. Anche grazie alla ricerca.


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