Il caso
Accoglienza dei rifugiati in famiglia, il Comune di Roma respinge le critiche: «Nessuna famiglia ci ha mai chiesto soldi»
L'avviso di Roma Capitale per l'accoglienza in famiglia suscita polemiche: nessun rimborso previsto per le famiglie. Funari (assessora Politiche sociali): «Il bando non è nuovo, nasce con la crisi ucraina, da un desiderio delle famiglie di aprire le porte delle proprie case. Un desiderio da valorizzare». Refugees Welcome: «Un modello anche per l'Europa»

La notizia, come a volte accade, è che la notizia non c’è. Il bando del Comune di Roma per l’accoglienza in famiglia di rifugiati non è una novità: esiste da diversi anni, così come esiste da tempo e in diversi territori questo modello di accoglienza. Niente di nuovo anche nella “gratuità”, che ha suscitato polemiche e sarcasmo: mai le famiglie accoglienti (così si chiamano) hanno ricevuto un rimborso spese per l’accoglienza offerta.
La novità, piuttosto, è che quest’anno, per la prima volta, una parte del budget (circa 400 mila euro in tre anni) è destinato alle spese per i beneficiari accolti: queste risorse saranno gestite dall’ente che si aggiudicherà il servizio. Di questi soldi, però, come viene chiarito nelle faq relative all’avviso, niente andrà nelle tasche delle famiglie: «Il Capitolato speciale non contempla la corresponsione di rimborsi economici alle famiglie ospitanti», si legge nelle risposte. «Le spese per l’inclusione sociale riguardano esclusivamente interventi e misure rivolte ai beneficiari del servizio, quali percorsi di formazione e riqualificazione professionale, tirocini, borse lavoro, attività educative e ludiche per minori ed analoghe iniziative finalizzate a promuovere l’integrazione sociale. Ne consegue che i rimborsi alle famiglie non possono essere ricondotti né a tale voce né ad altre tipologie di spesa e non risultano, pertanto, ammissibili». Ed è questo il punto più controverso del bando, quello che ha suscitato critiche e sarcasmo, facendo finire la notizia tra le colonne dei giornali, sulle bacheche dei social e perfino tra le famose frasi di Osho.
L’assessora Funari: «Un modello collaudato, che nasce da desiderio di accogliere»
Per far chiarezza sul senso, le ragioni e anche la storia di questo bando, VITA ha contattato l’assessora alle Politiche Sociali, Barbara Funari, che in questi giorni è stata «raggiunta e sorpresa dalle polemiche». Perché sorpresa? «Perché questo bando non è una novità, ma un progetto che Roma Capitale aveva avviato già dal 2019. Ed è un progetto cresciuto su impulso delle tantissime richieste che arrivano proprio dalle famiglie e che sono aumentate nel 2023, con la crisi ucraina: è in quel momento che abbiamo pensato di formalizzare, valorizzare e sostenere queste famiglie accoglienti, per le quali allora creammo anche un albo. Il bando nasce quindi proprio per rispondere al desiderio delle famiglie di aprire le proprie porte a chi fugge dalla propria terra: un desiderio che, nonostante la crisi economica e sociale, continua ad essere molto vivo».

A gestire la precedente edizione del progetto è stata Refugees Welcome, l’associazione che da anni si occupa di accoglienza in famiglia, curando l’abbinamento di domanda e offerta, a Roma ma anche in tutta Italia.
Il bando nasce per rispondere al desiderio delle famiglie di aprire le proprie porte a chi fugge dalla propria terra: un desiderio che, nonostante la crisi economica e sociale, continua ad essere molto vivo
Barbara Funari, assessora Politiche sociali di Roma Capitale
Rispetto a questo recente avviso, Funari fa due precisazioni. La prima è che «i soldi non andranno alle persone accolte, come qualcuno sostiene, ma all’ente gestore, il quale li utilizzerà per attività che favoriscano l’inclusione sociale dei beneficiari del servizio. Pensiamo, per esempio, alla mamma con bambino che viene accolta in una famiglia: avrà bisogno di acquistare materiale scolastico, pagare le attività sportive, o il centro estivo, insomma dovrà affrontare tutte le spese di un genitore, che non possono essere a carico della famiglia accogliente. L’ente gestore ora potrà contare su quello stanziamento per finanziare attività utili per la piena partecipazione sociale. Penso anche l’adulto che ha bisogno di prendere la patente, o di svolgere un corso di formazione: quei soldi serviranno a questo».
La seconda precisazione riguarda il tema della gratuità: se l’ente gestore può contare su risorse finanziarie, perché lo stesso non è previsto per la famiglia che accoglie? «Ci siamo posti il problema e la risposta è abbastanza semplice: le famiglie non hanno mai chiesto soldi in cambio di accoglienza. La disponibilità che offrono deriva da una disposizione all’accoglienza, a volte anche da un bisogno che incontra un altro bisogno: pensiamo alla persona sola, magari anziana, che nell’accogliere una persona in casa riesce anche a sentirsi meno sola e più utile per qualcuno altro. Naturalmente, tutto questo ha bisogno non solo di un filtro, ma anche di un accompagnamento e di un monitoraggio continuo: è questo il compito dell’ente gestore, sulla cui esperienza e competenza dobbiamo poter contare».
Accogliere chi?
Hanna è una dottoressa fuggita dalla guerra in Ucraina e arrivata nel nostro Paese con il desiderio di ricostruire il suo progetto di vita, bruscamente interrotto dall’invasione russa. Grazie a Refugees Welcome Italia, viene accolta da Gianna – anche lei dottoressa – che vive con suo marito e i loro due figli. Con il tempo, la famiglia si allarga: arrivano anche il compagno e il figlio di Hanna. In pochi mesi, le conversazioni quotidiane in casa e l’impegno nello studio permettono ad Hanna di imparare la lingua italiana e di mettersi alla ricerca di un lavoro. L’occasione, grazie anche all’aiuto e alla determinazione di Gianna, non si fa attendere: dopo alcuni mesi, il sogno di Hanna di tornare ad esercitare la sua professione diventa realtà. insieme a quello di trasferirsi in un piccolo appartamento preso in affitto. Oggi la convivenza si è conclusa, ma il legame profondo che si è creato tra le due famiglie continua a vivere nel tempo, tanto che nel giorno speciale del suo matrimonio, Hanna chiede a Gianna di essere al suo fianco come testimone.

Questa è solo una delle storie di accoglienza in famiglia nate negli ultimi anni a Roma. Ora, i beneficiari del nuovo bando non saranno più le mamme con i bambini scappati dall’Ucraina, che negli scorsi mesi avevano sollevato un’onda di solidarietà e una forte risposta emotiva. Chi potranno essere i nuovi “accolti”? «Qualche famiglia sta accogliendo alcune donne arrivate da Gaza», riferisce Funari. «Poche, in verità, perché come sappiamo è molto difficile fuggire da quella terra. In realtà, noi abbiamo pensato questo nuovo bando anche per i giovani che, arrivati in Italia come minori stranieri non accompagnati, divenuti maggiorenni terminano il loro percorso in casa famiglia, ma hanno chiaramente ancora bisogno di essere accolti e accompagnati. E pensiamo anche alle mamme con bambini che, sempre più spesso purtroppo, troviamo in strada. Il passaggio però non è quasi mai diretto dalla strada all’accoglienza in famiglia: c’è sempre il primo step nel nostro circuito di accoglienza, anche per una ricomposizione psico-sociale. L’accoglienza in famiglia vuole essere un passo successivo e ulteriore di vita e integrazione. Un passo che viene reso possibile da quella voglia di accoglienza che continua ad esserci e che non chiede niente in cambio. Come diceva una signora che ha accolto una donna ucraina con suo figlio e che oggi accoglie una ragazza di Gaza, “dove mangiamo in due, mangiamo anche in tre o in quattro”: una verità semplice e preziosa, che dovremmo valorizzare e non strumentalizzare, come in tanti stanno facendo».
Refugees Welcome, dove l’accoglienza in famiglia ha inizio
Prova vivente di quanto questa disponibilità all’accoglienza sia ancora presente e diffusa tra le famiglie italiana, è l’esperienza decennale di Refugees Welcome Italia. «A Roma, il primo avviso di questo genere risale a tre anni fa, nell’ambito di un progetto Fami di cui Refugees Welcome Italia era capofila e a cui partecipavano, oltre al comune di Roma, anche quelli di Ravenna, Bari, Palermo e Macerata», ricorda Giorgio Baracco, responsabile progettazione di Refugees Welcome Italia. «Con Roma Capitale lavoriamo perciò da quando la crisi ucraina ha creato una grande offerta di accoglienza, insieme naturalmente a una forte domanda. In alcuni comuni, come Bari e Padova, quel modello è andato poi a sistema, diventando da strumento di emergenza strumento di governance dei servizi d’inclusione, integrato e complementare ai servizi tradizionali di welfare. Collocare questo modello all’interno di una cornice istituzionale è molto rassicurante per le famiglie e facilita il lavoro dell’associazione».
L’avviso che tanto fa discutere si inserisce quindi all’interno di questa storia e di questa tendenza, che non è solo italiana ma europea: «L’albo delle famiglie accoglienti è stato oggetto di un seminario di studi nell’ambito del programma europeo Amif (Asylum, Migration and Integration Fundcome), come esperienza di attivazione delle persone e di forme complementari di accoglienza. Un modello, questo, su cui la Commissione investe da diversi anni».
La condivisione degli spazi domestici è solo un momento del percorso d’integrazione e può rispondere, a sua volta, anche a bisogni specifici della persona che accoglie
Giorgio Baracco, Refugees Welcome Italia
Dietro questo modello, c’è naturalmente un processo di studio, preparazione e monitoraggio: «La motivazione dell’accoglienza è uno degli elementi chiave del processo di selezione e matching», spiega Baracco. «Occorre che le motivazioni siano congrue con gli obiettivi dell’esperienza, che vanno ben oltre la risposta abitativa: la condivisione degli spazi domestici è solo un momento del percorso d’integrazione e può rispondere, a sua volta, anche a bisogni specifici della persona che accoglie. Penso a due anziani, che, a Roma, hanno accolto nelle rispettive case due ragazzi dell’Africa subsahariana: immagino che, con questa accoglienza, anche la loro vita si sia arricchita. Non si può certo pensare all’accoglienza in famiglia come un modo per rispondere alla crisi abitativa nelle città: dietro c’è molto di più, un’esperienza di scambio che non è mai a senso unico».
Ora, con la crisi di Gaza che scuote le coscienze, «la disponibilità all’accoglienza da parte delle famiglie sicuramente sarebbe altissima», osserva Baracco. «Il problema è che le persone, da quell’area, non riescono ad arrivare. E quelle che arrivano tramite i corridoi sanitari hanno problematiche tali da richiedere un sostegno professionale. Insomma, l’accoglienza familiare è sì uno strumento molto flessibile, ma non possiamo pensare che vada bene per tutti: piuttosto, è un abito che si disegna in modo sartoriale intorno alla persona, dopo aver verificato che possa essere la risposta più adeguata sia per chi vuole accogliere sia per chi ha bisogno di essere accolto».
Le immagini sono fornite dagli intervistati
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