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La sentenza della Corte costituzionale/1

Adozione aperta: la legge resta, vince il “caso per caso”

La sentenza della Corte costituzionale poteva cancellare le adozioni come le abbiamo conosciute finora. Invece la Corte ha detto che l'adozione aperta si può fare anche con la legge attuale e anzi in più punti ha ribadito che resta corretta la presunzione che sia nell'interesse del minore interrompere tutti i legami (anche quelli affettivi). Mantenere delle relazioni sarà possibile, ma lo valuterà caso per caso il giudice. Intervista a Joëlle Long, esperta di diritto minorile e della famiglia

di Sara De Carli

Joelle Long, associata di Diritto privato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino

Sulla rivista specializzata Familia, nei mesi scorsi Joëlle Long scrisse un articolo molto duro, fin dal titolo: In morte dell’adozione?. In vista della sentenza della Corte costituzionale la professoressa metteva in guardia contro i «rigurgiti adultocentrici» e la rivalutazione del legame di sangue che sta tornando prepotentemente ad affacciarsi nella società. Il suo timore era che si andasse a «sovvertire il rapporto tra regola ed eccezione, configurando l’adozione in casi particolari ex art 44 lettera d) della legge 184/1983 come scelta preferenziale rispetto alla cesura dei rapporti giuridici e di fatto conseguenti all’adozione piena». Ora che la sentenza sulla costituzionalità di quell’articolo della legge sulle adozioni – che prevede per legge l’interruzione dei rapporti tra il minore adottato e la sua famiglia d’origine – è arrivata, la professoressa Long è soddisfatta. «È la pronuncia che auspicavo, la trovo assolutamente condivisibile».

Joëlle Long è associata di Diritto privato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino ed è un’esperta di diritto minorile e di famiglia: di adozioni, nello specifico. È condirettrice della rivista Minorigiustizia, promossa dall’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia. Quando si parla di diritto minorile la regola d’oro è sempre quella del “caso per caso”, ma in un ipotetico “schieramento” pro o contro l’adozione aperta, la professoressa era sicuramente fra quelli che ne evidenziavano i rischi. 

Professoressa, come commenta oggi la sentenza della Corte costituzionale?

In linea generale la trovo pienamente condivisibile ed era la pronuncia che auspicavo. Tecnicamente si tratta di una sentenza interpretativa di rigetto, significa che la Corte costituzionale ha riconosciuto che è possibile, secondo il diritto vigente, pronunciare una adozione aperta, cioè un’adozione piena che realizza l’accoglienza del minore a tutti gli effetti come figlio nella famiglia di accoglienza, ma che – nell’interesse del minore stesso – prevede la possibilità di mantenimento di rapporti di fatto (non necessariamente visite ma anche contatti epistolari con scambio di notizie ed eventualmente foto) con alcuni componenti della famiglia di origine. Di questo stiamo parlando, non di adozione mite ed è bene non confondere le due cose: l’adozione mite, infatti, mantiene anche i legami giuridici con la famiglia d’origine.

La Corte costituzionale ha riconosciuto che è possibile pronunciare una adozione aperta, cioè un’adozione che realizza l’accoglienza del minore come figlio nella famiglia di accoglienza, ma che – nell’interesse del minore – prevede la possibilità di mantenimento di rapporti di fatto con alcuni componenti della famiglia di origine.

Joëlle Long, professoressa di Diritto privato – Università di Torino

Il tema sollevato dinanzi alla Corte in qualche modo contestava che si potesse affermare a priori che sia nell’interesse del minore, sempre e a priori, al momento dell’adozione interrompere tutti i suoi rapporti con la famiglia di origine. 

In più punti la Corte ribadisce proprio che resta la presunzione che con l’adozione piena vengano meno tutti i rapporti, anche di fatto, e che questa interruzione sia nell’interesse del minore. Se il minore è adottabile significa che era privo della famiglia di origine o che, nel suo superiore interesse, ne è stato privato poiché la stessa è stata valutata inidonea a crescerlo: questo avviene sempre nell’ambito di un procedimento garantista in cui, per esempio, se i genitori non nominano un avvocato di fiducia ne viene nominato uno d’ufficio, nomina d’ufficio che rappresenta un unicum nel diritto civile. Sono queste le ragioni per cui è stato necessario interrompere i legami e questo va sempre ricordato. Qualora venga pronunciata una dichiarazione di stato di adottabilità pertanto è ragionevole presumere che sia nell’interesse del minore interrompere non solo i rapporti giuridici ma anche quelli socio-affettivi, di fatto. Nella sentenza c’è quindi una conferma della bontà dell’impostazione culturale della legge 184/1983 che ci ha “visto giusto” nel prevedere che per un’adeguata protezione dei bambini e della bambine che non possano crescere nella loro famiglia la soluzione preferibile è l’accoglienza come figli in una nuova famiglia che diventa a tutti gli effetti la famiglia del minore e che assume un ruolo pieno di educazione mantenimento ed istruzione che la famiglia di origine non è stata in grado di svolgere in modo adeguato.

In più punti la Corte ribadisce che resta la presunzione che con l’adozione piena vengano meno tutti i rapporti, anche quelli di fatto, e che questa interruzione sia nell’interesse del minore. C’è una conferma della bontà dell’impostazione della legge 184

Joëlle Long, professoressa di Diritto privato – Università di Torino

Ribadito questo, la sentenza chiarisce che tuttavia – sebbene in via presuntiva occorra riconoscere che in generale è nell’interesse del minore rompere tutti i rapporti con la famiglia di origine – non si può escludere che vi siano situazioni circoscritte in cui invece l’interesse del minore fa ritenere opportuno il mantenimento del rapporto fattuale. Ciò è perfettamente conforme ai principi che da decenni informano il diritto minorile e che ribadiscono la necessità di una valutazione specifica, caso per caso. Come sottolinea correttamente la Corte costituzionale nella sua sentenza, il giudice valuta le peculiarità della situazione in fatto, avvalendosi non soltanto del supporto dei servizi sociali ma anche sentendo il minore. Caso per caso.

Quello che la sentenza scrive, rispetto alle forme e le modalità del mantenimento delle relazioni socio-affettive, è sufficientemente chiaro?

Se posso formulare una piccola critica alla sentenza, ecco, diciamo che avrei visto bene una sottolineatura sulle diverse modalità di “apertura” di un’adozione. Nel testo si tende a identificare l’adozione aperta con l’adozione in cui ci siano degli incontri tra il minore e alcuni componenti della sua famiglia di origine: si usa proprio la parola “incontri”. Ma identificare l’adozione aperta con i soli incontri non è rispondente a quella che è la realtà delle adozioni aperte: ci sono anche gli incontri, ma spesso le modalità sono altre, per esempio rapporti epistolari o telefonici: gli incontri sono solo una modalità. Cosa diversa inoltre sono incontri ogni tre mesi o un incontro una volta all’anno. Ancora diverso è il caso in cui il rapporto sia mantenuto con i genitori, che è il caso più delicato, o con i nonni o ancora con dei fratelli, quando ci sono più minori adottati da famiglie diverse o quando un fratello è dichiarato adottabile e l’altro no: tutte le situazioni pongono bisogni diversi. 

Nel testo si tende a identificare l’adozione aperta con l’adozione in cui ci siano degli incontri. Ma gli incontri sono solo una modalità, per esempio rapporti epistolari o telefonici

Joëlle Long, professoressa di Diritto privato – Università di Torino

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C’è chi ha commentato dicendo che sarà una piccola rivoluzione e altri che hanno detto che non cambierà nulla, in sostanza, perché nell’interesse del minore di fatto già oggi era possibile fare adozioni aperte… tant’è che la sentenza fa riferimento al come si possa già, in presenza di «gravi e comprovati motivi», «infrangere il velo della segretezza che separa, di norma, la famiglia adottiva da quella d’origine». Analogamente si può quindi «autorizzare un superamento della netta linea di demarcazione con la famiglia biologica».

La sentenza è interessante per il fatto di aver avallato una prassi giudiziaria ormai maggioritaria sul piano nazionale, ma che la Corte di Cassazione aveva detto – in linea con una giurisprudenza minoritaria – non essere possibile con la normativa attuale. Quella lettura “negazionista” della Cassazione mi aveva in effetti sconcertato. Mi trova d’accordo invece questa pronuncia che in linea con le fonti internazionali e nazionali che hanno progressivamente riconosciuto l’importanza del passato del minore per la costruzione della sua identità personale, opportunamente interpreta l’articolo 27 della legge 184 come non escludente la possibilità di mantenere dei rapporti di fatto, a seguito di una valutazione che deve essere fatta caso per caso, mentre la presunzione resta che sia nell’interesse del minore adottato rompere anche i rapporti di fatto. 

La sentenza ha avallato una prassi giudiziaria che la Corte di Cassazione aveva detto – in linea con una giurisprudenza minoritaria – non essere possibile con la normativa attuale. Quella lettura “negazionista” della Cassazione mi aveva in effetti sconcertato.

Joëlle Long, professoressa di Diritto privato – Università di Torino

Questa sentenza si riverbererà anche sulle adozioni internazionali? 

Direi che anche per le adozioni internazionali non cambia nulla. La sentenza di adozione è nella maggioranza dei casi pronunciata dal giudice del Paese di origine che applica ovviamente il suo diritto nazionale: dal punto di vista dell’Italia ciò che importa perché quella pronuncia straniera possa essere riconosciuta in Italia è che l’adozione produca una rottura dei rapporti giuridici con la famiglia di origine (così richiede l’art. 36 comma 2 della legge n. 184). Nulla si dice sui rapporti di fatto che possono dunque eventualmente essere mantenuti ove necessaria alla tutela dell’interesse del minore, secondo quanto avviene per le adozioni nazionali. 

Quando un giudice ravviserà che è interesse del minore il mantenimento di una relazione affettiva con un qualche membro della sua famiglia di origine, che cosa accadrà d’ora in avanti? Nella sentenza di adozione questa cosa dovrà essere scritta nero su bianco? 

No, non necessariamente. Probabilmente sarà opportuno scriverlo, in particolare se parliamo di contatti con i genitori. Penso per esempio al bambino che venga adottato dalla famiglia in cui è stato già in affido per molti anni: famiglia che già conosce la famiglia di origine e che già mantiene rapporti con essa ed è assolutamente disponibile a continuare a farlo… scriverlo nella sentenza sarebbe – a mio modo di vedere – una indebita limitazione della responsabilità genitoriale. In altre situazioni, il giudice ben potrà (ma a mio avviso non dovrà) affidare ai servizi sociali l’organizzazione degli incontri. 

Che cosa è importante sottolineare, oggi, per gestire bene questa possibilità nuova?

Io non direi che è una possibilità nuova. Sono moltissimi i tribunali per i minorenni che da decenni ricorrono – quando serve – all’adozione aperta: esiste oggi un bagaglio di esperienze sulle adozioni aperte che è importante conoscere e valorizzare. I professionisti – giudici, assistenti sociali, avvocati – devono possedere e acquisire conoscenze e competenze specifiche sull’ adozione aperta. E tali conoscenze sono multidisciplinari. Un giudice o un avvocato dovrà avere contezza di che cosa possa significare dal punto di vista psicologico per il bambino, per la famiglia adottiva e per la famiglia di origine mantenere una relazione e delle differenze tra le diverse modalità di apertura. Uno psicologo o un assistente sociale dovranno comprende che l’adozione aperta mantiene i soli rapporti di fatto e non quelli giuridici. Non nascondo che mi capita qualche volta, quando parlo con persone che pure lavorano nei servizi, di cogliere una certa confusione tra adozione mite (che mantiene anche i rapporti giuridici) e adozione aperta. 


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