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Adozioni, quell’accordo con la Repubblica Democratica del Congo fermo per via della privacy

Da quattro anni la Repubblica Democratica del Congo è pronta a riaprire le adozioni internazionali. Anche l'Italia vuole ripartire con le adozioni. L'accordi bilaterale però da due anni è bloccato dalle richieste del nostro Paese sul trattamento dei dati personali. Ma la Rdc non ha una legge sulla privacy e gli standard europei non riesce a garantirli. Davvero non si può trovare una soluzione?

di Sara De Carli

Da quattro anni la Repubblica Democratica del Congo è pronta a riaprire le adozioni internazionali: ha una nuova legge, dopo il blocco deciso nel settembre 2013 ed è disponibile a stringere un accordo bilaterale con l’Italia in questo senso. Anche l’Italia vuole riprendere le adozioni internazionali con la Rdc e da quattro anni lavora con il Paese su questo accordo. L’accordo però, che tutti vogliono, ancora non vede la luce: dopo quattro anni. «Ci aveva lavorato l’ambasciatore Luca Attanasio, che ne era molto soddisfatto», ricorda Marco Griffini, presidente di AiBi, uno dei cinque enti autorizzati che sul sito dell Commissione Adozioni Internazionali risultano come “operativi” in Rdc, benché ovviamente dal 2013 non sia più stato adottato alcun minore. «Avevo parlato con l’ambasciatore pochi giorni prima che venisse assassinato, contava di portare a termine l’accordo in breve tempo». Era il febbraio 2021. 

A fine 2023, la deputata del Movimento 5 Stelle Stefania Ascari ha presentato un’interpellanza  parlamentare al ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e al ministro per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità per avere chiarimenti in merito: che fine ha fatto l’accordo bilaterale con la Repubblica Democratica del Congo in materia di adozione internazionale? E da cosa dipende la sua mancata conclusione?

La risposta del sottosegretario Silli

Nei giorni scorsi – racconta Griffini – è arrivata la risposta del del sottosegretario di  Stato, Giorgio Silli, che ha riassunto la vicenda. In sostanza, gli incontri fra  la Cai e diverse delegazioni congolesi sono partiti nel giugno 2019, volti «a esaminare  le prospettive di ripresa della cooperazione bilaterale sul tema». L’Italia ha presentato una prima proposta  di accordo, ricevendo nel febbraio del 2020 una versione rivista da parte della Repubblica Democratica del  Congo e poi nel novembre del 2021 una nuova proposta di accordo, insieme all’annuncio dell’invio a Roma di una delegazione per discuterla. L’Italia a quel punto chiese di rimandare l’incontro, per aver il tempo di analizzare meglio il nuovo testo e nel gennaio 2022 ha fatto a sua volta pervenire una nuova bozza di accordo «approvata in sede di consultazione  interministeriali e comprendente un allegato sulla protezione dei dati personali, in linea con gli obblighi  derivanti dalla legislazione italiana ed europea, come ricordati dallo stesso Garante della Privacy». Da allora – dice Griffini riprendendo la risposta del sottosegretario Silli – «il Governo congolese continua a rappresentare particolari difficoltà ad accettare il nuovo testo, per la circostanza che la Rdc non è a oggi dotata di una legislazione in materia di protezione dei dati personali». 

Due anni senza passi in avanti

«L’accordo bilaterale per la ripresa delle adozioni quindi è bloccato all’ufficio del contenzioso perché l’Italia chiede alla Rdc di garantire gli stessi livelli di tutela e protezione della privacy che abbiamo qui da noi. Non vorrei apparire semplificatorio, la tutela dei dati personali è importante, ma direi che è possibile – anzi doveroso – trovare una soluzione. Non stiamo assolutamente parlando di abbassare gli standard sulla dichiarazione abbandono o sul fatto che l’adozione internazionale deve essere l’estrema ratio da attivare, facendo prima tutto il possibile per garantire ai bambini una famiglia e una vita dignitosa nella loro terra: stiamo parlando di protezione dei dati personali, secondo gli standard che discendono da norme italiane ed europee. In altre parti del mondo la legge sulla privacy non c’è, per quanto se no io ce l’ha solo il Paraguay. E fa anche sorridere, diciamo la verità, questa nostra rigidità dinanzi alle notizie che la cronaca ci restituisce in questi giorni… Comunque, il punto è che è inconcepibile che la burocrazia sia di ostacolo di fronte alla grandezza dell’obiettivo e alla possibilità di ridare a dei bambini la possibilità di tornare a essere figli! Sappiamo tutti che l’adozione internazionale è uno strumento sussidiario, che non è la soluzione per gli tutti gli abbandoni, ma l’adozione internazionale comunque è una risposta, una delle risposte possibili. Poi AiBi continuerà a portare avanti con impegno la tutela dei diritti delle bambine e dei bambini abbandonati anche in altre modalità: per esempio dalla prima riunione della cabina di regia del Piano Mattei speriamo in una apertura del discorso anche sull’infanzia abbandonata, se guardiamo ai bandi della cooperazione sembra che in Africa si debba lavorare solo sulla formazione».  

La Direttrice del Servizio Giuridico del ministero degli Affari Esteri congolese, in un colloquio con l’Ambasciatore d’Italia a Kinshasa, ha recentemente proposto di «organizzare  in tempi brevi una missione a Roma per affrontare la questione», conclude Griffini. «Un’affermazione che apre uno spiraglio di speranza, confidando nella ribadita “ferma volontà” della Commissione Adozioni Internazionali e del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale a concludere l’accordo bilaterale con la Rdc per la ripresa delle adozioni».

Foto di Git Stephen Gitau, Pexels


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