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Agricoltura, proteste reali o strumentali?

Secondo Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, le manifestazioni che gli agricoltori stanno portando avanti in tutta Europa - principalmente contro il Green deal e la politica comunitaria contro le emissioni - farebbero il gioco dei partiti contrari alla decarbonizzazione, in vista delle elezioni del prossimo giugno

di Veronica Rossi

Trattori che sfilano per la strada, sormontati da bandiere italiane

In tutta Europa, in questi giorni, vediamo sfilare i trattori degli agricoltori in protesta. Nell’occhio del ciclone è la politica comunitaria e la sua burocrazia, che sarebbe colpevole di mettere in difficoltà il settore agricolo, soprattutto con il nuovo Green deal, che ha l’obiettivo di raggiungere le net-zero emissions entro il 2050 e di ridurre le emissioni nette di gas serra almeno del 55% entro il 2050. Secondo Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, queste proteste non avrebbero lo scopo reale di sostenere le rivendicazioni del mondo agricolo, quanto piuttosto di portare consensi a partiti contrari alla transizione energetica in vista delle elezioni europee del prossimo giugno.

Presidente, qual è l’opinione di Legambiente sulle proteste degli agricoltori che stanno attraversando l’Europa in questi giorni?

Non possiamo condividerne le motivazioni, perché sono proteste che parlano del Green deal europeo, promosso dall’uscente Commissione Von der Leyen, come il male assoluto, come se questo programma ambientale sulla decarbonizzazione dell’Europa al 2050 con obiettivi molto sfidanti fosse diretto contro il sistema produttivo in generale e contro il sistema produttivo agricolo in particolare. Questa narrazione ha un po’ la stessa impostazione della contestazione che fanno alcuni gruppi parlamentari europei – quelli che non sostengono la maggioranza che ha eletto Ursula Von der Leyen – e racconta una verità che non esiste. La strategia Farm to Fork e la strategia Biodiversità, che a questa è strettamente connessa, puntano da una parte a migliorare l’ambiente in cui viviamo e dall’altra a innalzare l’asticella delle prestazioni ambientali di tutti i settori produttivi, a partire da quello agricolo. Questo per fare in modo che anche la terra, che è il principale substrato per l’attività degli agricoltori, non si danneggi perennemente. Francamente, quindi, mi sembra che queste proteste di sigle minori abbiano più l’obiettivo di far crescere di qualche punto percentuale i partiti più estremisti in Europa contro il Green deal in vista delle elezioni di giugno, piuttosto che portare avanti delle rivendicazioni – alcune delle quali condivisibili – di chi opera in agricoltura.

E in che modo possono essere portate avanti queste rivendicazioni?

Chiedendo, nei prossimi cinque anni, una versione aggiornata del Green deal, diretta da una parte a salvaguardare l’obiettivo di decarbonizzazione dell’Europa al 2050, dall’altra a mettere in campo una serie di correttivi che nel 2019, anno dell’elezione di Von der Leyen, erano impensabili. Non c’era ancora stata la pandemia, non c’erano ancora state le speculazioni dei produttori di gas che hanno fatto impazzire le bollette in giro per il mondo, non c’era ancora stata l’aggressione militare russa in Ucraina, né tantomeno il nuovo inasprirsi del conflitto tra Israele e Palestina dopo il 7 ottobre. Che il Green deal abbia bisogno di aggiustamenti è assolutamente comprensibile e condivisibile, ma dire che possa provocare il disastro dell’economia europea e degli agricoltori è una falsità.

Stefano Ciafani in giacca e camicia, con le braccia incrociate, davanti a uno sfondo verde con la scritta "Legambiente" e il logo
Stefano Ciafani

Come si può, quindi, venire incontro alle legittime richieste degli agricoltori mantenendo allo stesso tempo l’impegno per la decarbonizzazione entro il 2050?

Faccio alcuni esempi pratici. Ovviamente la meccanizzazione è fondamentale, ma spesso avviene ancora attraverso mezzi che utilizzano il gasolio agricolo, che è inquinante come combustibile fossile: bisogna incentivare la loro rottamazione, a favore dell’acquisto di nuovi mezzi, più innovativi. I produttori agricoli, poi, pagano bollette elettriche importanti, dovute anche al fatto che devono rifornirsi dalla rete. Come venirgli incontro? Facendoli diventare produttori di elettricità, per esempio attraverso l’installazione sulle coperture delle stalle o dei magazzini di pannelli fotovoltaici, o con il modello agrivoltaico, quindi mettendo dei pannelli a terra, che garantiscano la prosecuzione della produzione agricola e si integrino con essa. Si dice che gli agricoltori siano tra i principali attori della crisi climatica, per le emissioni di gas serra degli allevamenti, ma ne sono anche le prime vittime. I periodi di siccità, gli eventi estremi, le ondate di calore li colpiscono particolarmente. L’abbiamo visto in Romagna, dove il disastro economico legato all’alluvione costerà al nostro Paese nove miliardi di euro. Le persone che lavorano in questo settore dovrebbero essere aiutate a diventare protagoniste di una grande rivoluzione, che dobbiamo fare anche nel loro interesse, promuovendo, per esempio, le pratiche agricole che riducono l’uso di acqua che sarà sempre più carente, come dimostrano gli ultimi due inverni siccitosi che ha avuto la pianura Padana. Non vanno sovvenzionati con finanziamenti “a perdere”, perseguendo il vecchio modello, ma vanno incentivati a cambiare il modello produttivo, per garantire loro di potersi produrre l’energia elettrica o il calore da soli, di avere bisogno di meno acqua e magari anche di prodursi fa sé il fertilizzante, invece di importarlo da altri Paesi.

Lei pensa che la maggior parte degli agricoltori, se aiutati, sarebbero d’accordo sulla transizione?

Conosciamo tanti agricoltori che non protestano, ma che si sono rimboccati le maniche. Alcuni hanno realizzato, per esempio, dei digestori aerobici per produrre da sé il fertilizzante, per esempio al digestore di Schiavon, in provincia di Vicenza, che ho inaugurato insieme a Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, lo scorso giugno, che raccoglie i reflui zootecnici di circa 120 allevamenti della Provincia. Ci sono aziende che stanno utilizzando i fondi del Pnrr per mettere pannelli fotovoltaici sui tetti di stalle e magazzini e molti stanno aspettando il nuovo bando per gli impianti agrivoltaici. Ci sono tanti agricoltori che con grande sacrificio stanno investendo per essere protagoniste della transizione ecologica, che si stanno rimboccando le maniche. Vanno aiutati quelli che sono in difficoltà, ma che non sanno come fare, ma ci sono anche quelli che protestano per fare un favore a qualche partito che è contro la transizione ecologica, in modo assolutamente strumentale.

Foto in apertura, Photo Daiano Cristini/Sintesi/Sipa


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