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Adozioni internazionali

Azzerare l’albo degli enti autorizzati, la proposta choc per salvare le adozioni

Sempre meno bambini e troppi enti autorizzati: così le adozioni internazionali non possono sopravvivere. Il presidente del più grande degli enti autorizzati lancia una proposta radicale: un bando pubblico per un nuovo albo, con numeri contingentati, per offrire un servizio a 360 gradi

di Sara De Carli

Bambini che giocano, in Vietnam. Foto di Mi Pham per Unsplash

«Inutile girarci attorno, la sostenibilità è la cosa che in questo momento interpella tutti gli enti “sopravvissuti”. Abbiamo appena chiuso i bilanci e fra le tante cose lì si fanno anche ragionamenti sulla sopravvivenza dell’ente nei prossimi anni… Ma come fai a scrivere nero su bianco una cosa del genere? Ci sono fattori che non dipendono da come tu lavori. Se si fanno 500 adozioni l’anno e siamo 49/50 enti… Molti direttivi, soprattutto degli enti che fanno solo adozioni, si chiedono che senso abbia continuare a metterci soldi».

Gianfranco Arnoletti è il presidente di Cifa, l’ente autorizzato che storicamente realizza più adozioni in Italia: circa il 10%-12% del totale. Nel primo semestre del 2023 ne ha concluse 21 e prevede di arrivare a cinquanta a fine anno. «Dobbiamo avere il coraggio di dire che l’adozione come la conoscevamo non c’è più, è morta. E soprattutto dobbiamo avere il coraggio di fare qualcosa di radicale. Se non si fa niente, moriremo per consunzione. Sarebbe un peccato, perché il sistema sarà pure malato ma dentro ci sono 2mila famiglie disponibili all’adozione e di bambini che hanno bisogno di una famiglia, in giro per il mondo, ce ne sono tantissimi», dice.

Dobbiamo avere il coraggio di dire che l’adozione come la conoscevamo è morta. E soprattutto dobbiamo avere il coraggio di fare qualcosa di radicale. Se non si fa niente, moriremo per consunzione

— Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa

Prendiamo ad esempio la Federazione Russa, con cui nel primo semestre del 2023 sono state concluse 3 adozioni, dopo essere stato per lungo tempo uno dei paesi di origine più importanti per l’Italia. «Oggi come è noto la Russia ci considera un Paese ostile. Mantenere una rappresentanza nel Paese costa 30-40mila euro l’anno, ma tutti noi enti abbiamo mantenuto questa presenza, pensando alle coppie che sono in attesa su questo Paese: però c’è chi ormai non ce la fa più. D’altra parte però come può essere considerata “spesa inattiva” quella che vede più di 130 coppie in attesa?», racconta Arnoletti. 

La diversificazione delle attività in questi anni c’è stata: ci sono enti che hanno case famiglia, altri che erogano servizi di assistenza psicologica in regime privatistico, molti fanno cooperazione internazionale. «La stessa Cai ha accennato alla possibilità di remunerare gli enti non solo per la parte strettamente connessa alla procedura adottiva, ma anche per quella azione informativa e di sensibilizzazione più larga, sulla cultura dell’adozione che dovrebbero fare le autorità pubbliche, sia verso le coppie già in carico, per formarle alla realtà vera dell’adozione internazionale, sia verso coppie che vogliono avvicinarsi all’adozione», spiega Arnoletti. «Anche questo però «non è risolutivo della salute del sistema. Il punto è che il sistema, così com’è, non è più in salute».

Dobbiamo avere il coraggio di dire che l’adozione come la conoscevamo è morta. E soprattutto dobbiamo avere il coraggio di fare qualcosa di radicale. Se non si fa niente, moriremo per consunzione

— Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa

Uno dei temi più evidenti è quello del numero degli enti. Sono 49, sostanzialmente come negli anni d’oro, quando le adozioni internazionali erano più di 4mila l’anno: oggi sono attorno a 500 l’anno. «Siamo in tanti, ce lo diciamo da tempo. Ma chiunque potrebbe dire all’altro “comincia tu”. Bisognerebbe rifare l’albo degli enti autorizzati con criteri diversi. In altri ambiti quando si affidano pubblici servizi al privato, anche al privato sociale, si fa con dei bandi. I bandi prevedono un dettaglio dell’attività richiesta (perché la legge invece è spannometrica, cosa vuol dire “supportare la famiglia”? Garantire l’incontro con la psicologa una volta a settimana, una volta all’anno, una disponibilità H24?). Con un nuovo albo, lo Stato avrebbe anche la possibilità di “contingentare” il numero di enti: non è una cosa strana, in molti ambiti si partecipa a bandi dove saranno autorizzati solo i primi x della graduatoria. Se questa cosa fosse pensata bene, farebbe bene al sistema. Poi c’è sempre la possibilità di aggregarsi, ma non possiamo aspettarci che questo avvenga dal basso: ci vuole una spinta».

Una soluzione “drastica” quella che propone Arnoletti: «Una revisione totale dell’albo a fronte di un bando di servizio pubblico, che tiene dentro tutte le attività. D’altronde abbiamo visto che quando lasciamo al pubblico certi percorsi, penso in particolare al post adozione, vuoi per la mancanza di organico vuoi per le differenze regionali… non funziona».

Foto di MI PHAM su Unsplash


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