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Economia & Impresa sociale 

Bilancio di sostenibilità, questo sconosciuto

Una ricerca di Deloitte mette in evidenza che la rendicontazione sui temi Esg è una merce ancora piuttosto rara per le aziende italiane. Inoltre, solo il 7% delle imprese ha già una figura dedicata al proprio interno. Eppure i dati dicono che la presenza di un responsabile in questo campo accelera anche il business

di Nicola Varcasia

In Italia solo sette aziende su cento prevedono una figura che si occupa esclusivamente di sostenibilità. Percentuale che sale al 37% se si considerano le imprese con più di cinquanta dipendenti. La sostenibilità è integrata nella strategia di business tramite un apposito piano solo dal 3% delle aziende. Tra quelle che lo adottano, solo quattro su dieci utilizzano degli indicatori (Kpi – Key performance indicators) per misurarne l’impatto. Anche il bilancio di sostenibilità è ancora poco diffuso: solo un’azienda su dieci lo produce. Messi in fila uno dietro l’altro, i principali dati della ricerca sul Ruolo del Sustainability manager, realizzata da Deloitte sembrano impietosi. Se, però, si vuole guardare il bicchiere mezzo pieno, c’è un dato molto interessante: la presenza del Responsabile della sostenibilità (Rso) – una figura a cui è dedicata la rubrica di VITA del venerdì – in azienda aumenta le iniziative di corporate social responsibility (Csr), aiuta a ridurre le scelte sbagliate in questo campo (le cosiddette “socially irresponsible activities”) e produce migliori risultati di business.

«Le aziende sono oggi chiamate a mettere a fuoco un nuovo approccio alla sostenibilità. Non si tratta solo di individuare e realizzare azioni che riflettano una maggiore attenzione all’ambiente o ambiscano a una superiore ricaduta sociale. Si tratta di sviluppare una concreta integrazione strategica delle tematiche Esg nel modello di business, ripensando i rapporti con tutti gli stakeholder e aggiornando i prodotti e i servizi venduti sul mercato, nell’ottica di una crescente generazione di valore», osserva Franco Amelio, Deloitte sustainability leader.

Nonostante la rilevanza dei temi legati alla sostenibilità dichiarata dalle aziende in Italia, la maggior parte delle imprese del nostro Paese non sta ancora gestendo tale aspetto in modo sistematico. Tornando al Piano di sostenibilità, come detto, solo il 3% delle organizzazioni lo ha già implementato, ma c’è un altro 3% che ha in programma di introdurlo, mentre un 11% sta valutando tale possibilità. In prospettiva, altro piccolo elemento positivo, l’adozione di un Piano di Sostenibilità sembra destinata a diventare sempre più diffusa e integrata nel business. Tuttavia, per valutare in modo oggettivo i benefici derivanti da un Piano di Sostenibilità, è necessario elaborare un set di indicatori in grado di coglierne l’impatto effettivo dentro e fuori il perimetro aziendale. Al momento, tuttavia, l’adozione di Kpi per il monitoraggio è ancora poco diffusa: tra le realtà che in Italia hanno un Piano di Sostenibilità già operativo, solo quatto su dieci ne fanno già uso, quasi tre su dieci hanno in programma di implementarli e due su dieci stanno valutando la possibilità di elaborarli.

«La sostenibilità è un tema centrale nella definizione della strategia aziendale. È una delle leve fondamentali per operare sul mercato, per attrarre i migliori talenti, per consolidare la reputazione, per consentire l’accesso al mercato dei capitali, per accelerare gli investimenti. Nelle scelte di allocazione del capitale, è la principale discriminante nella maggior parte dei settori industriali: per questo serve una visione integrata di lungo periodo, in cui la sostenibilità concorra effettivamente a definire il profilo aziendale», aggiunge Stefano Pareglio, presidente di Deloitte climate & sustainability.

Per comprovare il percorso di sostenibilità intrapreso dall’azienda è dunque decisivo divulgare regolarmente informazioni circa l’impatto ambientale e socio-economico. Un mezzo utile a certificare le azioni intraprese dall’impresa è il bilancio di sostenibilità, uno strumento che in Italia oggi è adottato solamente da una azienda su dieci circa. Oltre al bilancio di sostenibilità, anche le attività di comunicazione sulla sostenibilità sono ancora appannaggio di una minoranza, pari a un decimo delle imprese. È interessante notare come, tra le realtà che veicolano il proprio impegno in questo ambito, il focus sia interno quanto esterno: i clienti e i dipendenti sono quasi in egual misura destinatari della comunicazione incentrata sui temi di sostenibilità.

La ricerca prosegue analizzando gli investimenti e, anche in questo caso, se non son dolori, poco ci manca. Oggi tra le imprese italiane è poco meno di un quinto a effettuare investimenti in ambito sostenibilità, un dato che raggiunge invece un terzo del totale tra le realtà che hanno registrato una crescita di fatturato nell’ultimo anno. Inoltre, la maggior parte delle aziende che non hanno in programma di realizzare un Piano di Sostenibilità è tendenzialmente meno incline della media a prevedere investimenti in tale area: è il 92% di queste ad affermarlo, contro la media dell’82%. Esplorando gli ambiti di destinazione degli investimenti, la ricerca mostra che in cima alla lista compare l’integrazione di tecnologie sostenibili, seguita da progetti di sostenibilità interni all’azienda e dall’intenzione di innovare i prodotti e servizi. Dallo studio emerge anche l’importanza dello sviluppo di partnership strategiche con aziende dello stesso o di altri settori: la condivisione rappresenta un fattore determinante per le realtà di minori dimensioni, che spesso non hanno le risorse e le competenze per sviluppare in autonomia soluzioni per migliorare la propria sostenibilità. L’approccio sistemico di filiera, dunque, risulta critico per le piccole e medie imprese. Se confrontate con la media, le realtà che prevedono un Responsabile della sostenibilità dimostrano un approccio più integrato alla sostenibilità. Un esempio è il maggiore tasso di adozione del Piano di Sostenibilità rispetto alla media delle aziende italiane: passa dal 3% al 73% la quota di chi lo ha già formalizzato e dall’1% al 19% quella di chi lo ha in programma nei prossimi dodici mesi. Parallelamente, raggiunge il 60% l’utilizzo di Kpi tra le organizzazioni che hanno un piano operativo, segnando un aumento di 20 punti percentuali dalla media.

Anche per le attività di rendicontazione il quadro è molto diverso nelle imprese che hanno un Responsabile della sostenibilità: l’85% degli intervistati riferisce di redigere un bilancio di sostenibilità e quasi metà, il 44%, lo effettua da oltre due anni. Anche rispetto alla comunicazione delle iniziative di sostenibilità, circa 8 Responsabili della Sostenibilità su 10 dichiarano di diffondere obiettivi, progetti e risultati, contro una media italiana del 12%. Nel nostro Paese una figura che si occupa esclusivamente di sostenibilità – un Responsabile della sostenibilità (Rso) – è presente solo nel 7% delle aziende. Una percentuale che sale al 37% se si considerano solo le imprese con più di 50 dipendenti. Si tratta, del resto, di una figura che, nella maggioranza dei casi (71%), è stata istituita da meno di 5 anni. Per quanto riguarda la gerarchia aziendale, nel 31% dei casi i Rso riportano direttamente all’amministratore delegato, nel 25% riportano al Direttore operativo e nel 14% dei casi al Responsabile di Produzione. Limitato, per ora, il numero di persone dedicate ai team degli Rso: il 43% dei Rso ha disposizione al massimo due persone, il 26% ne ha al massimo 5, il 10% ha 10 persone e solo il 7% ne ha più di 10.

Per le aziende intervistate, queste figure professionali devono disporre anzitutto di competenze tecniche specifiche (dall’ambito energetico alle scienze dei materiali): è di questo avviso circa un’azienda su due. Alle competenze tecniche si affiancano però anche competenze soft, come la capacità di ascolto e comunicazione, la cui rilevanza viene indicata dal 45% delle aziende. I Rso intervistati, a loro volta, mettono in luce soprattutto l’importanza di applicare le competenze tecniche nello specifico contesto settoriale. A ciò si aggiunge, in un intervistato su due, la rilevanza di una visione di lungo periodo, elemento fondamentale specie nell’interlocuzione con il top management. Sia le aziende, sia i responsabili intervistati pensano che la loro figura nei prossimi cinque anni sarà più importante di oggi. Per le aziende, la spinta principale verrà dalle aspettative degli stakeholder: dai clienti (per il 37%) e dai fornitori (per il 20%) più che dall’azionariato (per il 13%). Inoltre, circa una azienda su 3 ritiene che la necessità di gestire situazioni critiche, anche in termini reputazionali, avrà un grande impatto sull’evoluzione del ruolo dei Rso. Minore attenzione è invece riservata – abbastanza sorprendentemente – all’evoluzione normativa, che solo una azienda su quattro identifica come rilevante. Quest’ultimo dato discorda con il punto di vista dei Rso intervistati: la stragrande maggioranza di questi, infatti, riconosce un ruolo rilevante alla compliance normativa, seguita dalla gestione del rischio e dallo sviluppo di una cultura aziendale della sostenibilità. D’altro canto, la rilevanza del contesto normativo risulta coerente con le motivazioni che hanno portato all‘introduzione della figura del Rso in azienda: tra le imprese che dispongono già di tale figura nell’assetto organizzativo, quasi uno su due dichiara di avere introdotto il ruolo proprio per assicurare l’adempimento di requisiti normativi.

Deloitte ha realizzato una ricerca per esplorare come viene gestita la sostenibilità all’interno delle aziende in Italia e mettere in luce come le organizzazioni si stanno strutturando internamente per farlo, con particolare riferimento alla figura del responsabile della sostenibilità o sustainability manager. Nell’inverno 2022-2023 sono stati intervistati 500 C-level di un campione rappresentativo di aziende italiane per dimensione, distribuzione geografica e settore produttivo, oltre a 41 responsabili della sostenibilità identificati in aziende attive in Italia e con almeno cinquanta dipendenti.

Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay


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