Lavoro

Bystronic: come lasciare sul lastrico 140 famiglie, avendo un utile di 1,4 milioni di euro

I licenziamenti nei siti produttivi di San Giuliano Milanese e Pieve Emanuele sono considerati irrevocabili. Senza ricorrere ad ammortizzatori sociali, senza la disponibilità a negoziare una tutela dell’insediamento produttivo, rifiutando di considerare una cessione di ramo d’azienda, l’intervento di un investitore terzo, o piani di ristrutturazione. Una vicenda che dimostra il fallimento sociale di un modello capitalistico fondato su acquisizioni e gigantismo

di Simone Cerlini

I fatti. Il 22 ottobre 2024, presso la IV commissione del Consiglio Regionale della Lombardia, l’amministratore delegato di Bystronic, Domenico Iacovelli, ha dichiarato che l’azienda non è disposta a negoziare sulla decisione di chiudere i siti produttivi di San Giuliano Milanese e di Pieve Emanuele, con 140 esuberi su 179 lavoratori. Il consiglio di amministrazione ha deciso di interrompere le attività in Italia legate alla produzione “customizzata”, preferendo concentrarsi solo sui pezzi standard che generano minori costi di esercizio. I licenziamenti sono considerati irrevocabili. Senza ricorrere ad ammortizzatori sociali, senza la disponibilità a negoziare una tutela dell’insediamento produttivo, rifiutando di considerare una cessione di ramo d’azienda, l’intervento di un investitore terzo, o piani di ristrutturazione.

La Cgil ha ricordato i recenti investimenti sui siti produttivi ora in chiusura: interventi infrastrutturali, nuovi software, nuove assunzioni di personale. Niente da fare: le lettere di licenziamento arriveranno alla vigilia di Natale. Eppure, il bilancio 2023 della Bystronic Automation Spa parla di una realtà solida, con un attivo patrimoniale di oltre 26 milioni di euro, immobilizzazioni immateriali (ovvero brevetti e software) per circa mezzo milione di euro, ricavi per oltre 55 milioni, più 10% rispetto al 2022, un calo altrettanto significativo dei costi di produzione, un utile di esercizio di oltre 1,4 milioni di euro.

Come può uno sparuto gruppo di amministratori azzerare due stabilimenti che generano valore, mettendo in ginocchio 140 persone e le loro famiglie, senza considerazione per chi ha contribuito all’azienda con competenza e impegno? Quale ipocrisia porta questa azienda a vantarsi dell’attenzione al bene comune e all’interesse generale nel loro Bilancio di Sostenibilità 2023? Resta il dubbio: gli investimenti citati dalla Cgil sono stati finanziati dallo Stato italiano con il Programma Industria 4.0? Gli incentivi sarebbero soggetti a restituzione solo in caso di delocalizzazione entro l’anno successivo all’entrata in funzione.  La ghigliottina sui lavoratori cala il 24 dicembre: tempo di fermare le macchine e si scavalla l’anno. La farebbero franca.

Come si è arrivati a tutto questo?

Bystronic, multinazionale svizzera nel taglio laser e piegatura della lamiera, ha acquisito Antil spa nel 2018, finalizzando il controllo nel 2022. Eccoli i nostri stabilimenti: Antil è stata fondata nel 1989 con sede a San Giuliano Milanese. I fondatori erano ingegneri con una visione: l’automazione nella metalmeccanica e nella lavorazione della lamiera avrebbe rivoluzionato i sistemi produttivi, rinnovato le metodologie di lavoro e aumentato la produttività. I due imprenditori si ingegnano per concepire e realizzare sistemi per ottimizzare il lavoro, per operare con maggiore precisione e ridurre l’intervento umano nei processi ripetitivi. Si parla di robotica e automazione: robot di carico e scarico per le macchine di taglio e piegatura della lamiera, magazzini automatici e gestione del flusso di materiali. La seconda intuizione è stata costruire soluzioni su misura per i clienti. Ogni fabbrica è diversa, diverse sono le culture organizzative e le filiere di fornitura. Il digitale ha dato la tecnologia per rendere le soluzioni modulari e adattabili: Antil era il sarto su misura per automatizzare le fabbriche metalmeccaniche, ridurre i costi e aumentare l’efficienza.

Dunque Bystronic non compra uno stabilimento per il taglio laser delle lamiere, ma un’azienda che operava per aumentare la produttività attraverso sistemi di automazione. Si può considerare una integrazione verticale. Attenzione qui sta il punto. Antil aveva il know-how e la tecnologia per rendere più produttivi i siti di Bystronic, ma anche dei suoi concorrenti. Acquisita la tecnologia per l’efficientamento degli 8 siti produttivi della multinazionale (di cui tre in Cina), generare valore era possibile solo aumentando la produttività dei competitori.

Integrazione verticale, processi di acquisizione, consolidamento di grandi gruppi. Non è questa la strada che dobbiamo intraprendere per promuovere investimenti, agganciarci al treno dell’innovazione, aumentare la produttività e generare ricchezza? Questa strategia sembra incontestabile nella nostra agenda economica.

Il rapporto Draghi sulla competitività giudica necessario favorire processi di integrazione aziendale e l’aumento delle dimensioni delle imprese europee per rendere la Ue capace di competere con i colossi asiatici e americani. Propone di aggiornare le regole sulla concorrenza per facilitare fusioni e acquisizioni: l’obiettivo è ridurre la frammentazione, creare campioni industriali capaci di investire, creare innovazione e aumentare l’efficienza. Il 29 ottobre, sul Corriere della Sera, Alessandro Profumo sostiene che il nanismo delle nostre imprese è la ragione della fuga dei talenti migliori.

Non sfugge però la constatazione che è proprio nella frammentazione che nasce la possibilità di nuovi entranti nel mercato con nuove idee e strategie imprenditoriali, che è nell’imprenditorialità diffusa che possono nascere intuizioni e innovazioni, risposte nuove ai bisogni, visioni di un futuro fino ad ora impensabile. Soprattutto che è nel legame tra impresa e territorio, nella prossimità, che si consolida la ricchezza, intesa non semplicemente in termini monetari, ma anche come relazioni, costruzione di reti, di cultura comune, di rapporti di solidarietà. Ma la solidarietà è valore di donne e uomini, non di anonimi fondi di investimento o vuoti algoritmi che calcolano la redditività delle azioni nelle asettiche transizioni dei mercati finanziari. Quando immaginiamo un mondo dominato da colossi dell’industria, da agglomerati, quasi-monopolisti, pensiamoci bene. I fatti dimostrano che il gigantismo fondato sul principio del massimo profitto non necessariamente genera innovazione, anzi la può castrare, e la produzione di ricchezza non necessariamente “sgocciola” sui lavoratori, anzi produce nuova concentrazione e allarga le disuguaglianze. La forbice di potere negoziale tra chi decide e i destini e chi subisce le scelte di pochi rischia di sottrarsi al controllo democratico, se non l’ha già fatto.

Com’è finita la nostra storia? Non è finita. Il 29 ottobre, nella stessa data in cui il banchiere e dirigente di Unicredit e Leonardo celebrava i colossi industriali, le lavoratrici e i lavoratori di Bystronic manifestavano a San Giuliano, trovando sostegno dal sindaco Segala e dal Consiglio Comunale, unanime nel loro appoggio. Hanno chiesto solo rispetto per la loro dignità. La parte politica, per una volta unita, è sembrata impotente. Adesso tocca a tutti noi fare la nostra parte.

Credit foto: sito Bystronic

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