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Carceri affollate, è sempre più emergenza

La popolazione detenuta continua a crescere. A fronte di 51.272 posti ufficialmente disponibili, le persone sono oltre 60mila, con un tasso di affollamento medio del 117,2% e una situazione gravissima in alcuni istituti. Un report di Antigone fotografa la situazione delle carceri italiane a fine 2023. «Fra un anno si supereranno le 67mila presenze come ai tempi della condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo», avverte Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell'associazione

di Ilaria Dioguardi

Da settembre a novembre 2023, i detenuti sono aumentati di 1.688 unità. Nel trimestre precedente di 1.198, in quello ancora prima di 911. Nel corso del 2022 raramente si è registrata una crescita superiore alle 400 unità a trimestre. A fronte di 51.272 posti ufficialmente disponibili (in realtà sono circa 3mila in meno), erano 60.116 le persone detenute il 30 novembre scorso. Insomma, non solo la popolazione detenuta cresce, ma cresce sempre di più. «L’aumento della popolazione detenuta è una costante del nostro sistema. I detenuti nelle carceri italiane aumentano sempre, tranne quando si adottano misure straordinarie per invertire la tendenza. Poi quando finiscono le misure straordinarie, riparte la crescita», afferma Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio sulle condizioni di detenzione per l’associazione Antigone.

«Il punto è che questa crescita, nell’ultimo anno ha subito un’accelerazione notevole. D’altronde il governo non solo non ha messo in campo delle misure per limitarla o contenerla, ma anzi ha introdotto nuovi reati, ha adottato delle misure tali per cui è normale che i numeri crescano. Si sono superate le 60mila presenze a fine novembre (il dato di fine dicembre non è ancora disponibile), con un andamento in continua crescita, soprattutto negli ultimi mesi», continua Scandurra. «Fra un anno, quando andremo a fare i bilanci del 2024, se la popolazione detenuta dovesse continuare a crescere con il ritmo attuale, le presenze in carcere saranno oltre 67mila, come nel 2013, ai tempi della condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani, Cedu. Il che vuol dire una condizione invivibile per la popolazione detenuta e per chi in carcere ci lavora. Inoltre, probabilmente tutti quelli che sono gli indicatori classici, quali suicidi, autolesionismi, conflitti, rivolte, rischiano di aumentare e di accentuarsi. È una situazione di grande allarme di cui un po’ di sintomi si cominciano a vedere, come le recenti rivolte dei detenuti in carcere. È una situazione abbastanza alla luce del sole».

Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio sulle condizioni
di detenzione – Antigone

«A fronte di un’emergenza, il fatto che appesantisce il clima è che non c’è la percezione di una messa in cantiere di risposte a quest’emergenza. Probabilmente il governo sta facendo l’errore di pensare che siamo in una situazione di gestibilità, me lo auguro ma temo che non sia così. Per cui qualche misura straordinaria andrà pensata. Alcune misure che sono state pensate servono ad irrigidire il clima interno, come l’introduzione del nuovo reato in caso di protesta, di rivolta in carcere da parte dei detenuti».
Il consiglio dei Ministri ha approvato tre disegni di legge che costituiscono il nuovo pacchetto sicurezza. Si prevede il reato di “rivolta in carcere” per chi «usi atti di violenza o minaccia», con una pena equiparata (si prevede una sanzione di 8 anni) a quella di chi pratichi la «resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti». «C’è sempre quest’idea che, con le punizioni, si cambia la realtà. Non è così. Tra l’altro, una fetta importante della popolazione detenuta non ha molto da perdere, non sono attori razionali che fanno calcoli costi-benefici, altrimenti non starebbero in galera», prosegue Scandurra. «Una risposta puramente punitiva su una piccola parte della popolazione detenuta può avere una presa, ma temo che sulla larga maggioranza questa presa non ci sia».

Fra un anno si supereranno le 67mila presenze come nel 2013, ai tempi della condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani

Degli oltre 60mila detenuti, 2.549 sono donne, il 4,2% dei presenti, mentre sono 18.868 gli stranieri, il 31,4% dei presenti. Il tasso di affollamento ufficiale medio è oggi del 117,2%, ma a fronte di questo valore in Puglia si è ormai al 153,7% (4.475 detenuti in 2.912 posti), in Lombardia al 142% (8.733 detenuti in 6.152 posti) e in Veneto al 133,6% (2.602 detenuti in 1.947 posti). La situazione in molti istituti è gravissima. A Brescia Canton Monbello l’affollamento è ormai al 200%, a Foggia al 190%, a Como al 186% e a Taranto al 180%.
Gli spazi detentivi ufficialmente disponibili sono passati dai 50.228 della fine del 2016 ai 51.272 attuali: 1.000 posti detentivi in più a fronte di una crescita della popolazione detenuta nello stesso periodo di 5.463 unità, nonostante ogni governo nel frattempo abbia annunciato la costruzione di nuove carceri.
Ma lo spazio a disposizione dei detenuti diminuisce. Nelle 76 carceri visitate dall’Osservatorio di Antigone negli ultimi 12 mesi in 25 istituti (il 33%), c’erano celle in cui erano garantiti tre metri quadrati calpestabili per ogni persona detenuta. Non a caso il numero di ricorsi da parte di persone che lamentavano di essere state detenute in condizioni che violano l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e che vengono accolti dai tribunali di sorveglianza italiani, è in costante aumento dalla fine della pandemia: sono stati 3.382 nel 2020, 4.212 nel2021 e 4.514 nel 2022. Ma lo spazio diminuisce anche in termini assoluti dato che, a seguito di una circolare del 2022, sono sempre di più i reparti detentivi in cui si applica un regime a celle chiuse e, dunque, durante il giorno i detenuti restano chiusi nelle proprie celle.

Il tasso di affollamento ufficiale medio è oggi del 117,2%, ma a fronte di questo valore in Puglia si è ormai al 153,7%, in Lombardia al 142% e in Veneto al 133,6%

«Il disagio psichico, la tossicodipendenza sono tutti indicatori di un contesto in cui, una volta che le condizioni materiali e di vivibilità basilari degenerano, è ovvio che anche il clima e la situazione degenerino. Mi sembra un quadro molto preoccupante di cui mi sembra che la politica preferisca non prendere atto, sperando che si possa continuare a non prenderne atto il più a lungo possibile. Quando arrivò, nel 2013, la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, “cascarono dal pero” ma in realtà era tutto davanti agli occhi di tutti. Dopo la condanna, misero mano a misure che avrebbero potuto prendere un anno prima, senza arrivare alla condanna. L’evidenza non è di per sé sufficiente a mettere in moto le cose», continua Scandurra.


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«Stiamo andando verso uno scenario allarmante che gli istituti e gli operatori penitenziari cercheranno di gestire come possono, ma chiaramente le risorse sono limitate, sia in termini di opportunità e di risposte che si possono fornire ai bisogni delle persone, sia in termini di spazi. Con il Pnrr sono stati stanziati interventi che sono talmente a lungo termine, che erano già stati finanziati prima, stavano su voci del bilancio del Ministero della Giustizia, poi sono stati stornati da lì al Pnrr: sono interventi di un’ordinaria gestione del sistema, non hanno molto di straordinario. Mettendoli tutti assieme», dice, «non cambierebbero molto la situazione, anche se arrivassero a compimento domani. Premesso che la storia ci ha insegnato che le risposte sono solo un modo un po’ vigliacco per buttare la palla in tribuna, anche una risposta concreta e immediata non riuscirebbe mai a essere tempestiva per far fronte all’emergenza attuale». Con un piano di ristrutturazione, grazie ai fondi del Pnrr, sono stati sbloccati 21 interventi per un totale di 166 milioni di euro.

Nel 10,5% degli istituti visitati non tutte le celle erano riscaldate e nel 60,5% c’erano celle dove non era garantita l’acqua calda per tutto il giorno e in ogni periodo dell’anno. Nel 53,9% c’erano celle senza doccia e nel 34,2% non ci sono spazi per lavorazioni


Nelle 76 carceri visitate da Antigone negli ultimi 12 mesi, il 31,4 % è stato costruito prima del 1940, la maggior parte di queste addirittura prima del 1900. Nel 10,5% degli istituti visitati non tutte le celle erano riscaldate e nel 60,5% c’erano celle dove non era garantita l’acqua calda per tutto il giorno e in ogni periodo dell’anno. Nel 53,9% degli istituti visitati c’erano celle senza doccia e nel 34,2% degli istituti visitati non ci sono spazi per lavorazioni. Nel 25% degli istituti non c’è una palestra o non è funzionante e nel 22,4% non c’è un campo sportivo o non è funzionante.


Per quanto riguarda il personale, i funzionari giuridico pedagogici (educatori) sono diminuiti, erano in media uno ogni 87 detenuti nel 2022, sono diventati uno ogni 76 detenuti nel 2023. Ma restano numeri del tutto inadeguati in rapporto alle presenze. Invece, per quanto riguarda il personale di polizia penitenziaria si registra un calo: c’era in media un agente ogni 1,7 detenuti nel 2022, l’anno scorso era uno ogni 1,9 detenuti. «Se le presenze diminuiscono tutte le risorse, che già sono poche, risultano ancora di più inadeguate, compreso il personale sanitario. Tra l’altro, questo ha anche un effetto moltiplicatore», spiega Scandurra. «La maggior parte delle persone detenute in carcere ci torna, ciò vuol dire che i problemi di fondo che li hanno portati all’arresto non sono stati risolti: è chiaro che più i percorsi di reinserimento sono fallimentari, più il tasso di recidiva aumenta e questo crea affollamento. Avere meno risorse in rapporto alla popolazione vuol dire offrire meno percorsi di reinserimento e un tasso di recidiva che cresce ancora».

L’anno scorso si sono tolte la vita in carcere 68 persone. L’età media era 40 anni, 15 di loro non avevano più di 30 anni

«Lo sforzo deve essere in questa direzione. Da una parte abbiamo un sistema delle misure alternative che funziona bene, bisogna iniziare a potenziarlo. Dall’altra, dobbiamo avere presente che avremo comunque in carcere decine di migliaia di persone a cui vanno offerti percorsi che evitino che in carcere ci tornino. Questo deve essere lo sforzo del sistema penitenziario, e non solo: la scuola in carcere la garantisce il Ministero dell’Istruzione e del Merito, la sanità la garantisce il Ministero della Salute, la formazione professionale la fanno gli enti locali con le agenzie formative. Il carcere è un contenitore, il contenuto ce lo mettiamo tutti noi, in fondo: deve essere un impegno di tutti quello di garantire e di mettere a disposizione della comunità quello che serve e che la legge chieda che in carcere si faccia», continua Scandurra. «Finché il carcere non riesce a garantire i bisogni elementari della popolazione detenuta, ovvero le condizioni materiali di detenzione, il diritto alla cura e alla salute, diventa difficile discutere di tutto il resto. Il lavoro quotidiano di chi lavora in carcere spesso è inseguire emergenze di basso profilo, per garantire che un istituto penitenziario stia in piedi, che non si allaghi. È chiaro che in un contesto di questo tipo, tutta una serie di altre attività, previste dalla legge, non sono presenti in una misura tale da garantire il contrasto alla recidiva».

Ogni 100 detenuti: 16,3 atti di autolesionismo, 2,3 tentati suicidi, 2,3 aggressioni ai danni del personale e 4,6 aggressioni ai danni di altre persone detenute

Foto LaPresse – Massimo Paolone 


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