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Diritti dei minori

Nessuno incarceri il bambino

Il consiglio dei Ministri ha approvato tre disegni di legge che costituiscono il nuovo pacchetto sicurezza. Tra le misure annunciate, la detenzione per le donne incinte e per le madri con figli piccoli. «Il governo si attacca a dei fatti di cronaca, che riguarda poche centinaia di donne rom, aboliscono una norma che era presente perfino nel Codice Rocco. Qui si mettono in gioco i diritti dei minori e si fa un provvedimento contro un'etnia», dice Rita Bernardini, ex deputata, presidente dell’associazione Nessuno Tocchi Caino

di Ilaria Dioguardi

Nel nuovo pacchetto sicurezza, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 16 novembre, si prevede l’introduzione di «un regime più articolato per l’esecuzione della pena», con l’eliminazione del rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le donne incinte e le madri di bambini di meno di un anno di età, prevedendo la loro detenzione negli Istituti a custodia attenuata per detenute madri, Icam. Che, però, in Italia sono solo quattro: a Lauro, Venezia, Milano e Torino. «Il mio giudizio generale sul pacchetto sicurezza è estremamente negativo», afferma Rita Bernardini, già parlamentare, presidente dell’associazione Nessuno Tocchi Caino.

Bernardini, perché considera il pacchetto sicurezza estremamente negativo?

Si continuano a prevedere nuove fattispecie di reato, in Italia ne abbiamo migliaia, continuano a sfornarne a ritmo impressionante, quando ci si può avvalere di tutte le altre già esistenti. Si inventano nuovi reati, la tecnica è quella di aumentare le pene agganciandosi quasi sempre a fatti di cronaca, dove l’emozione della gente è più forte perché si immedesima nelle vittime. Per esempio, questo provvedimento che riguarda le donne incinte, è partito da una trasmissione televisiva (Striscia la Notizia, ndr) che ha fatto vedere le borseggiatrici rom di Milano, questi filmati sono stati trasmessi in tutti i telegiornali. Il provvedimento del governo è stato fatto contro un’etnia, i rom. Il fatto è gravissimo anche sotto questo aspetto.

Rita Bernardini, foto di Remo Casilli/Agenzia Sintesi

Può spiegarci meglio?

Anche se non è stato scritto nel provvedimento, è stato fatto riferimento a quei casi. Anziché affrontare i problemi cercando di risolverli, il governo si accanisce addirittura contro un’etnia. Non dimentichiamoci che l’Italia non ha mai voluto approvare la legge che riconosca la minoranza etnico-linguistica rom, per valorizzare anche tutti gli aspetti culturali dell’etnia romani, che comprende i rom, i sinti e i camminanti. Noi abbiamo fatto dei tentativi, anche con Marco Pannella, ma non l’hanno mai voluta riconoscere. Sarebbe importante anche per gli aspetti linguistici, la lingua via via si sta perdendo. Il governo si attacca a dei fatti di cronaca, che riguarda poche centinaia di donne rom, aboliscono una norma che era presente perfino nel codice Rocco (1930, ndr), dove era previsto il rinvio obbligatorio in caso di donna incinta perché si tutelava il più debole, soprattutto il bambino in modo che potesse nascere nell’ambiente familiare, con tutte le assistenze. Qui si mettono in gioco i diritti dei minori. Per quanto si dica, nel provvedimento, che si delega la responsabilità al magistrato (così è quest’ultimo che prende la decisione di mandare i bambini in istituto penitenziario), non si tengono in considerazione i diritti dei minori che, anche secondo la Corte costituzionale che si è espressa anche recentemente, devono essere messi davanti a tutto.

La stretta del governo è in nome di una presunta esigenza di sicurezza pubblica

Sì, che è alimentata dal governo stesso. Mentre non vengono prese decisioni importanti in merito a questioni che, eppure, sono state approvate.

Ad esempio?

Si dovrebbero aumentare le case famiglia protette, dove una donna potrebbe stare in un ambiente più familiare e dove si potrebbe veramente aiutarle ad uscire da una situazione di degrado, di povertà. Invece si fa un provvedimento contro un’etnia, in uno Stato di diritto non si può leggere una notizia del genere. Possibile che in Italia non riusciamo a risolvere il problema di poche decine di persone? Evidentemente non lo si vuole fare.

Nel pacchetto sicurezza, sempre in tema di carceri, ci sono altri provvedimenti che l’hanno colpita?

Sì, il fatto che si prevede il reato di rivolta in carcere. Durante la fase acuta del Covid ci sono state quelle quattro-cinque rivolte importanti nelle carceri, in cui si è fatto uso di violenza, si sono anche distrutte suppellettili. Ciò è successo anche per come è stato comunicato il fatto che i detenuti non avrebbero più potuto vedere i propri familiari. Lì c’è stato un errore da parte dell’amministrazione penitenziaria che, da un giorno all’altro, gliel’ha comunicato. Con la paura della pandemia, i detenuti si sono sentiti come dei topi in trappola. Chi ha partecipato alla rivolta, ha subito un processo, è stato punito. Le leggi già ci sono. Prevedere il reato di rivolta in carcere è voler far vedere che si usa il pugno forte. Quello che è più grave è che si parla di rivolta in carcere” per chi «usi atti di violenza o minaccia», con una pena equiparata (si prevede una sanzione di 8 anni, ndr) a quella di chi pratichi la «resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti». Per quanto riguarda la resistenza passiva, a me è venuto in mente quando, nel 2016, abbiamo organizzato quella grande iniziativa non violenta alla quale parteciparono 20mila detenuti in tutte le carceri italiane. Facemmo il satyaagraha (fermezza, agraha, nella verità, satya, ndr), lo sciopero della fame, nelle carceri, in vista della marcia dell’amnistia che dedicammo a Marco Pannella e a papa Francesco: il papa aveva indetto il Giubileo dei carcerati.  Sputare su iniziative non violente mette veramente paura. Purtroppo non è stato varato nessun provvedimento utile, dimostrando disinteresse nell’uso del metodo non violento: si preferisce l’uso della violenza piuttosto che la partecipazione non violenta. È molto grave, secondo me. Dobbiamo renderci conto tutti, anche chi è al governo (e se non ne sono consapevoli, dovrebbero rendersene conto), che molte carceri non sono legali, non rispettano la legge.

In cosa le carceri non sono legali, non rispettano la legge?

In quasi nessun carcere esiste un regolamento, che è obbligatorio. Non viene nemmeno consegnato, come c’è scritto nell’ordinamento penitenziario, ai detenuti. Questi ordini che vengono dati, bisogna vedere che consistenza legale hanno, visto che una persona non può interpellarsi a un regolamento che regola la vita interna dell’istituto e che comprende i suoi doveri di detenuto, ma anche i suoi diritti. Che vengono costantemente violati. L’atmosfera è veramente preoccupante. Anche sul tema delle telefonate ai detenuti, il ministro della Giustizia Carlo Nordio era intervenuto ad agosto con un messaggio alla comunità giudiziaria in cui, a seguito dei suicidi di due donne in carcere, aveva promesso che avrebbe aumentato il numero di telefonate che i detenuti possono fare. Attualmente, i detenuti possono effettuare una telefonata a settimana (quindi, quattro o cinque al mese). La proposta fatta è di aumentare le telefonate a sei al mese, questo vuol dire un incremento di una-due ogni mese, è ridicolo se pensiamo all’era che stiamo vivendo. Noi stiamo attaccati allo smartphone 24 ore su 24, viviamo sempre collegati e i detenuti riescono a parlare pochissimo con i familiari, penso soprattutto a chi ha i figli piccoli. È una proposta veramente minima, che non risolve quello che ci impone l’ordinamento giudiziario, che afferma che l’amministrazione deve fare tutto per alimentare i rapporti con la famiglia, soprattutto in presenza di figli minori. Poi c’è il problema dei reparti dell’Alta sicurezza. Mentre aumentano, seppure al minimo, le telefonate per chi sta in media sicurezza, per chi è nell’Alta sicurezza resta il diritto a due telefonate al mese.

I detenuti non possono usare il servizio di posta elettronica?

Dove c’è il servizio di email, i detenuti pagano a foglio. Ma non è previsto in tutta Italia, in tutte le carceri del sud non esiste, nel centro c’è nel Lazio. È facilmente controllabile, non si capisce perché non possano usare questo servizio. Le lettere possono scriverle, ma ci mettono un bel po’ prima di arrivare. L’unica cosa che è stata introdotta (e dobbiamo ringraziare il Covid per questo) sono le videochiamate, ma non dimentichiamoci che sono in sostituzione dei colloqui, non sono contatti in più che vengono offerti.

Tra le misure annunciate, ce n’è qualcuna che considera positivamente?

L’implementazione del lavoro in carcere. Non è spiegato bene come verrà realizzata, ma è positivo che ci sia. Viene specificato che si intende allargare il rapporto con le imprese dando la possibilità del lavoro esterno al carcere. Le imprese potranno assumere anche attraverso contratti di apprendistato, per coloro che non hanno competenze specifiche. Queste misure sono rivolte a chi è dentro il carcere e a chi ha finito la pena.

Il primo intervento da fare è quello di battere il sovraffollamento perché è illegale. Siamo già stati condannati, il 35% delle celle dei detenuti ha meno di tre metri quadrati per uno

Rita Bernardini

Com’è la situazione attuale del lavoro in carcere?

Attualmente, su 60mila detenuti poco più di 2mila svolgono lavori qualificanti. Altri fanno lavori interni casalinghi. È una minima percentuale, è questa percentuale che dobbiamo significativamente incrementare. Questa dà la possibilità di imparare un lavoro e di farlo quando si finisce la pena e si esce. Se fai lo scopino in carcere non sei professionalizzato, lo sanno fare tutti. I corsi professionali ai detenuti dovrebbero essere fatti dalle regioni, che in genere, nei confronti del carcere, fanno pochissimo. Potrebbero fare molto di più.

Voi di Nessuno tocchi Caino pensate a iniziative di mobilitazione, affinché il disegno di legge non prenda copro in Parlamento?

Faremo la nostra campagna che si baserà soprattutto sulla non violenza. Noi terremo il congresso di Nessuno tocchi Caino dentro il carcere di Opera di Milano il 14, 15 e 16 dicembre. Non siamo in Parlamento, ma cerchiamo di far valere la nostra voce. Un’iniziativa di Nessuno tocchi Caino è quella di impegnarci per far approvare una proposta di legge sulla liberazione anticipata. Il primo intervento da fare è quello di battere il sovraffollamento perché è illegale. Siamo già stati condannati, il 35% delle celle dei detenuti ha meno di tre metri quadrati per uno (come scritto nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Cedu, ndr). È intollerabile. Gli esponenti del governo fanno tanto i legalisti, poi sono i primi a violare la legge. Ci batteremo, sempre utilizzando il metodo della non violenza.

La foto di apertura è di 3005398 per Pixabay.


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