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Odio nello sport

Caro Maignan, scusaci ma Udine non è razzista

A seguito dei dileggiamenti di alcuni ultras ai danni del portiere del Milan, la città friulana ha acquistato la fama di essere un luogo in cui avvengono episodi di discriminazione e di intolleranza. Eppure ci sono molte realtà impegnate per l'inclusione sul territorio, che prendono le distanze da questi atteggiamenti e chiedono di valorizzare le buone pratiche anche se aggiungono che non si deve abbassare la guardia

di Veronica Rossi

Primo piano di Maignan, con una camicia bianca. Lo sfondo è rosso e nero

Quello che è successo durante la partita Udinese-Milan di sabato scorso non ha portato lustro alla città di Udine. Cori razzisti diretti contro Mike Maignan, portiere della squadra meneghina, originario della Guyana francese ma cresciuto a Parigi, hanno costretto l’arbitro a interrompere la partita, dopo che il giocatore – seguito da tutta la squadra – ha lasciato il campo. Tuttavia, la città friulana non è solo questo: diverse sono le realtà che, sul territorio, si impegnano ogni giorno per l’inclusione e per l’accoglienza, contrastando ogni forma di razzismo. Che hanno subito preso una netta posizione riguardo alle gesta e alle parole di poche persone incivili.

«Ovviamente è stato un fulmine a ciel sereno per noi», racconta Umberto Marin, presidente di Time for Africa, associazione che si occupa di cooperazione internazionale, ma anche di combattere stereotipi e pregiudizi con attività all’interno dei quartieri cittadini, con l’aiuto di molti volontari. «Tutto sommato l’Udinese è sempre stata una squadra molto sensibile a questi temi. Si è trattato di un episodio vergognoso, fuori luogo, che ci ha fatto fare un bagno di realtà. È vero che Udine occupa i primi posti nelle classifiche per qualità della vita, ma questo non deve nascondere quello che ancora va fatto sul versante del welfare e della lotta alla povertà. Bisogna stare sempre vigili: si sta poco a passare dalle stelle alle stalle e il dibattito politico attuale non brilla per innovazione. Pensiamo per esempio a tutta la retorica legata alla sicurezza». La società civile, infatti, non può essere lasciata a sé stessa, ma va incoraggiata e sostenuta. «Dobbiamo valorizzare la Udine che non è così», continua Marin, «accompagnarla e aprire un dialogo che porti soluzioni ai problemi esistenti, come quello di coloro che arrivano in cerca di protezione internazionale, non entrano nel sistema di accoglienza e sono costretti a vivere per strada. Siamo una città civile, in cui il razzismo non è endemico, ma non ci si può nascondere dietro a questo».

Dello stesso avviso anche Paolo Zenarolla, vice-direttore della Caritas di Udine. «Nella nostra terra abbiamo goduto e stiamo ancora godendo di un capitale morale, etico, civile e civico che ha fatto si che ci fossero comunità attente e aperte all’accoglienza», dice. «La mia sensazione e quella delle altre Caritas del Nord-Est, con cui ci siamo confrontati da poco, è però che questo capitale si stia riducendo. Se non viene valorizzato in termini esperienziali, rischia di essere coperto da rumori forti di campagne di odio, di rifiuto e di intolleranza, che spesso partono dalla frase “Non siamo razzisti ma”. Quello che è successo allo stadio non è sicuramente espressione di un popolo, ma è un campanello d’allarme: certi contenuti possono farsi spazi nell’opinione pubblica e chi se ne fa portavoce non ha paura di essere giudicato in maniera negativa, anzi, pensa di trovare consensi».

La Caritas udinese è impegnata da molti anni in progetti di accoglienza diffusa, sostenuta e gestita da volontari e realtà associative, perché «è sempre l’incontro reale tra le persone a far superare i pregiudizi». Molti sono coloro, nella cittadinanza, che si sono impegnati e ancora si impegnano nelle attività di inclusione e di conoscenza dell’altro organizzati da questa realtà. Secondo Zenarolla i friulani, come accade nel resto della Penisola, subiscono l’influenza di leadership che tendono a instillare sentimenti di diffidenza e di paura verso l’altro. «Adesso l’accoglienza diffusa deve subire attacchi frontali di chi sostiene che sia meglio attuare una specie di “apartheid”, di chi pensa che sia meglio segregare che includere».

Un’altra realtà udinese in prima linea quando si parla di accoglienza è Oikos Ets, impresa sociale che gestisce diverse strutture e che si impegna in eventi, campagne e attività contro il razzismo e a favore dell’inclusione. «È triste ma non è una novità vedere che ci sono ancora persone che hanno sentimenti di derisione o di disprezzo legati all’etnia, all’orientamento sessuale, al genere o alla religione, alimentati ancora di più dalle dinamiche di branco», afferma Ruben Cadau, responsabile del settore accoglienza dell’organizzazione. «È ancora più triste vedere che le occasioni di condivisione che può offrire lo sport siano messe in secondo piano rispetto alle manifestazioni d’odio di pochi». Serve, per la società civile, una presa di posizione netta da parte dell’amministrazione – il sindaco ha già invitato Maignan a Udine e ha proposto di conferirgli la cittadinanza onoraria – e delle società sportive, che devono prendere le distanze da posizioni razziste. «Dobbiamo dire in modo chiaro che Udine non è e non sarò mai rappresentata solo da questi gruppi, perché è una città che si impegna – anche a livello del cittadino medio – nell’incontro con l’altro. Più volte gli abitanti delle zone in cui abbiamo le strutture hanno dimostrato solidarietà e apertura verso i nostri beneficiari, adulti e minori, per esempio donando biciclette, libri, strumenti musicali e attrezzi per la palestra. Lasciamo che queste buone pratiche diventino contagiose e riducano ogni forma di violenza e di divisione fino a farla scomparire».

In apertura, Maignan. Foto di Claudio Furlan da La Presse


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