Giubileo

«Chiediamo riconoscimento, non accoglienza»: a San Pietro arrivano i fedeli Lgbtq+

Saranno più di 1.200 i pellegrini Lgbtq+ che parteciperanno al "pellegrinaggio giubilare" promosso a Roma nel prossimo fine settimana dall'associazione "La Tenda di Giona". Padre Giuseppe Piva, impegnato nella pastorale con persone Lgbtq+, ripercorre la storia di questa pastorale nata dal basso: «Noi parliamo di riconoscimento, non di accoglienza. Quella non serve, sono già "dei nostri"»

di Gilda Sciortino

C’è chi lo ha chiamato Giubileo, ma l’evento che animerà la Capitale tra il 5 e il 7 settembre è più correttamente un “pellegrinaggio giubilare” promosso dell’associazione “La Tenda di Gionata”, insieme ad altre associazioni di cristiani Lgbtq+, con le loro famiglie e gli operatori pastorali che li accompagneranno. È prevista la partecipazione di circa 1.200 persone, con una Messa nella chiesa del Gesù che verrà celebrata dal vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana. Papa Leone XIV, intanto, ha incontrato padre James Martin, gesuita statunitense, uno dei più noti sostenitori di una maggiore inclusione delle persone Lgbtq+ nella Chiesa cattolica.

Resta il fatto che si tratta di un momento importante nella storia della Chiesa cattolica e della prima volta in cui la presenza esplicitamente dichiarata di fedeli Lgbtq+ figura nel calendario ufficiale degli eventi giubilari. Un momento atteso da molti, ma anche portatore di domande sull’effettiva apertura della Chiesa cattolica alle persone Lgbtq+ e su come papa Leone proseguirà o meno sulla via avviata da Francesco. Ne parliamo con padre Giuseppe Piva, gesuita, attivamente impegnato nella pastorale con persone Lgbtq+ nella Chiesa italiana.

«Forse è un po’ troppo dire o parlare di pastorale con le persone Lgbtq+ “della” Chiesa italiana. Diciamo che siamo un gruppo piuttosto nutrito di operatori pastorali, anche di persone Lgbtq+, che cercano di vivere la loro fede all’interno della Chiesa», spiega padre Piva. «Una Chiesa più che consapevole che interagisce con noi – e quando parlo di Chiesa mi riferisco ai vescovi –assolutamente consapevoli di questi gruppi, di queste persone, di queste attività. Numerosi di loro si coinvolgono attivamente. Una pastorale nata dal basso, di fatto molto attuale».

Padre Giuseppe Piva

Quando nasce la pastorale Lgbtq+?

La pastorale con le persone Lgbtq+ è nata prima di tutto da loro stesse. I primi gruppi hanno visto la luce a Milano e Bologna. Io, per esempio, vivo a Bologna. Alcuni gruppi hanno una quarant’anni di storia, altri una trentina, e sono sparsi un po’ in tutta Italia. Alcuni sono nati e poi si sono chiusi, altri sono rinati, la pastorale comunque l’hanno cominciata loro, soprattutto raccogliendosi in gruppi per poter leggere la parola di Dio, per poter avere uno scambio di fede in un contesto dove potessero non nascondersi e sentirsi in qualche modo accolti da sacerdoti disponibili.

Poi cosa è successo?

Piano piano, lentamente, diciamo a partire da una decina d’anni fa, hanno cominciato a interessarsene un po’ più direttamente alcuni vescovi. Diversi operatori pastorali hanno voluto dare una mano, quindi si è allargato anche il giro. Per gli operatori pastorali sono nati anche dei corsi di formazione, in modo da comprendere meglio la condizione delle persone Lgbtq+ e il come fare rete, cominciando soprattutto anche a diffondere le veglie di preghiera, solitamente si tengono a maggio, per le vittime dell’omofobia. Quest’anno le veglie si sono celebrate in 30 diocesi e, in alcune di esse, la presenza dei vescovi è stata fondamentale.

Il tema dell’omosessualità, all’interno della Chiesa, è sempre molto acceso…

La pastorale è “con” le persone Lgbtq+ ed effettivamente qui i laici sono più protagonisti che in altre pastorali. Partendo dal presupposto che nessuno è tenuto a dichiarare il proprio orientamento, dico che al suo interno ci sono molti operatori pastorali e sacerdoti eterosessuali, e forse sì anche qualche omosessuale, questo non lo so, però non è il punto. È soprattutto il fatto di accompagnare queste persone come tutti gli altri cristiani, specialmente quelli in situazioni di frontiera, ad esempio i divorziati in seconda unione. In alcune diocesi questo percorso è affidato alla pastorale familiare, per cui i referenti sono i direttori dell’Ufficio Famiglia, come qui a Bologna.

Gli obiettivi di questa pastorale non sono delle rivendicazioni politiche, come invece fa il movimento Lgbtq+ laico. Poi, se le persone che vivono questa realtà in quanto cristiani, vogliono anche impegnarsi per degli obiettivi politici, questo è un fatto personale, ma non è l’obiettivo della pastorale

padre Giuseppe Piva, gesuita

Quali sono i temi portanti di questa pastorale?

Il tema principale è quello dell’integrazione e del riconoscimento delle persone Lgbtq+ con un orientamento omosessuale oppure con un’identità di genere transgender, riconosciute nel loro essere persone, non come persone che hanno qualche patologia o qualunque altra etichetta. E che possano ritrovarsi serenamente all’interno della Chiesa come persone che si impegnano, che frequentano, senza il bisogno di nascondersi. Alcuni scelgono di vivere una vita di coppia, ma molti invece non vivono questa dimensione. C’è chi sceglie di avere una vita di coppia e quindi chiede di poter essere inserito, integrato in questa realtà, diciamo “coniugale”, anche all’interno delle comunità cristiane. È un percorso, come quello che di fatto integra i divorziati in seconda unione. E comunque, gli obiettivi di questa pastorale non sono delle rivendicazioni politiche, come invece fa il movimento Lgbtq+ laico, l’Arcigay per fare un esempio. Poi, se le persone che vivono questa realtà in quanto cristiani, vogliono impegnarsi per degli obiettivi politici, questo è un fatto personale, ma non è l’obiettivo della pastorale.

Cosa rispondere a chi dice che passare sotto la Porta Santa è come chiedere alla Chiesa di essere perdonato per la propria condizione di omosessuale?

Intanto il Giubileo e la Porta Santa sono attività tipicamente cattoliche è proprio del Giubileo, per tutti. È ovvio che chi non è cattolico possa non comprende o non condividere questo tipo di pratica. Ma i fedeli Lgbtq+ intendono passare dalla Porta Santa come tutti quanti gli altri cristiani, chiedendo di fare esperienza più profonda della misericordia di Dio. Passare per la Porta Santa non è un sacramento e non rimette i peccati. E comunque, come tutti i cristiani, diciamo che anche le persone Lgbtq+ hanno qualche peccato da farsi perdonare. Ovviamente non hanno da farsi perdonare l’essere Lgbtq+, dal momento che questa è una condizione naturale, non è una scelta; l’orientamento sessuale o l’identità di genere non è qualcosa di cui bisogna farsi perdonare in alcuna maniera. Ciascuno avrà sicuramente fatto uno sgarbo a qualche persona, o ha avuto qualche altro comportamento negativo, tanto da avere bisogno di farsi perdonare anche lui, come tutti.

È corretto parlare di inclusione oggi per il mondo Lgbtq+?

Noi cerchiamo di andare oltre il discorso dell’accoglienza o dell’inclusione, piuttosto noi parliamo di riconoscimento. Tante persone Lgbtq+, senza che nessuno lo sappia, vivono già all’interno delle comunità cristiane, sono impegnate in tanti servizi, vengono a messa, però hanno paura di rivelarsi perché temono di essere poi stigmatizzate. Allora, noi parliamo di riconoscimento, del fatto che ci sono: lasciamo che si presentino e dichiarino la loro identità perché tutti quanti possono stare nella comunità cristiana. Non serve l’accoglienza, sono già dei nostri. Ci sono anche molte famiglie, molti genitori che fanno parte di gruppi di genitori con figli Lgbtq+ che desiderano essere più integrati. Si tratta di riconoscere la loro presenza soprattutto come un dono, in quanto cristiani facenti parte della comunità cristiana. La parola che, quindi, vorrei risuonasse forte è ‘riconoscimento’.

Noi parliamo di riconoscimento, non di accoglienza. Quella non serve, sono già dei nostri

padre Giuseppe Piva, gesuita

Cosa succederà nei prossimi giorni?

Venerdì 5 settembre, alle 20, ci sarà una veglia di preghiera nella Chiesa del Gesù a Roma. Sempre nella stessa Chiesa, ma alle 11 di sabato 6, verrà celebrata una messa giubilare preseduta da monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana.  A seguire, alle 15, ci sarà il pellegrinaggio che da Piazza Pia attraverserà via della Conciliazione e ci porterà alla Porta Santa di San Pietro. I pellegrini iscritti sono circa 1.200, provenienti non soltanto dall’Italia ma anche da tanti Paesi europei e pure dagli Stati Uniti. Sono numerose le associazioni che parteciperanno. Sarà un momento di condivisione spirituale, che va vissuto profondamente da tutti, indistintamente.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.