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Cicely Saunders, la speranza può accadere

Il libro di Emmanuel Exitu, “Di cosa è fatta la speranza”, dedicato a Cecely Saunders, inventrice delle cure palliative, sembra dare risposta a tante domande che affollano oggi il nostro cuore. Exitu, geniale regista di filmati che vincono premi internazionali, ora ha scelto di cimentarsi con il romanzo. Riuscendoci

di Alessandro Banfi

Un viaggio biografico. Ma soprattutto un romanzo. Questo libro di Emmanuel Exitu, Di cosa è fatta la speranza, che esce per la Bompiani in questi giorni è davvero un piccolo evento, che sembra dare risposta a tante domande che affollano il cuore nell’ora più buia. Terrorismo, invasioni insensate, guerra, razzismo dominano i nostri pensieri e si condensano sul dolore, sul dolore innocente delle donne e dei bambini, sul dolore degli uomini che uccidono simboli, astrazioni, nemici che non sanno guardare negli occhi. Sul dolore provocate dalle bombe e dalle armi che dilagano nel mondo. Questi tempi ci mettono a disagio. Si può sperare in un mondo così? E in che cosa sperare? Titolo del libro che azzecca il gancio con la nostra quotidiana apprensione.

È una storia, infatti, quella che ci aggancia ed è una storia di vita magnifica: la vicenda di Cicely Saunders, la persona che da infermiera a dottoressa, si è inventata gli Hospice e la medicina palliativa. Ponendosi sul serio il problema di coloro che la medicina tradizionale considerava inutili da curare perché spacciati, destinati a non farcela, in corsa verso la morte. Si può amare anche una condizione così? Cicely è fondamentalmente la vicenda di una donna (quanto è femminile e delicata questa biografia) che si innamora dell’umano che non è più considerato tale, perché ha oltrepassato la linea rossa della possibile sopravvivenza.

Emmanuel Exitu, geniale inventore di regie, copioni, sceneggiature, filmati che vincono premi internazionali, di preziosi podcast, ora ha scelto di cimentarsi con la difficile (forse al tramonto?) arte del romanzo. Ed è la seconda grande storia d’amore di questo libro. Exitu ha preso una cotta per Cicely, già qualche anno fa. Ne scrisse un lungo ritratto per Il Foglio, andò a Londra per raccontare l’eccezionalità di quella donna, in cui veniva proposta l’ultima intervista televisiva da lei concessa. Ora, dopo anni di ricerche biografiche e di raccolta di documenti, Exitu si è preso la libertà di volare su quella vita, di immaginare i dialoghi, di spiare gli umori interiori, di creare personaggi e interlocutori della sua eroina. Il risultato è a tratti travolgente, come coinvolgente è l’entusiasmo di chi scrive.

Lei, Cicely, nel romanzo ci mette di suo una vita inquieta e affascinante. I suoi genitori, più che benestanti, l’avrebbero voluto mandare a studiare ad Oxford ma lei sceglie di fare l’infermiera, dedicandosi ai casi considerati senza speranza, cominciando a studiare farmaci che potessero alleviare il dolore e aiutare le persone che prima la scienza ignorava. Oggi l’OMS adotta le sue linee guida per la medicina palliativa. E gli hospice, il primo fu aperto da lei nel 1967, sono una realtà importante per la cura dei malati il cui destino clinico è segnato. La sua grande intuizione è prendere sul serio le vite degli altri fino all’ultimo istante.

Scrive ad un certo punto Exitu: “Cicely non sente di aver dato, sente piuttosto di aver ricevuto”. Una vita passata a rendere più umano il passaggio sul confine con la morte, verso quella “miglior vita” che diventa così un mistero più accettabile. Il romanzo ha anche momenti divertenti come quando racconta del coro che la Saunders ha messo in piedi coi malati. Arriva un’ispettrice, medico capo della Sanità di Londra, e chiede: “Dove sono i morenti?”. “Siamo qui”, le rispondono dal coro.

“La speranza”, squilla la controcopertina, “è fatta di cose che hanno bisogno di qualcuno che le faccia accadere”. Proprio come questo romanzo.


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