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Cronache africane

Congo: Goma è sotto assedio, salviamola

Venerdì scorso due bombe hanno colpito l'aeroporto di Goma, sulla riva settentrionale del Lago Kivu, mentre i ribelli del Movimento 23 marzo (M23) sono arrivati a 25 km da una città allo stremo. Ad aprile la missione Onu Monusco lascerà Bukavu, la capitale del sud Kivu, ed entro fine 2024 tutti i 14mila caschi blu lasceranno il Paese africano. Per fare il punto su questa guerra che vede confrontarsi il gruppo armato M23 e l'esercito congolese, VITA ha intervistato Lorenzo Timpone, rappresentate Paese per fondazione Avsi, di stanza a Goma

di Paolo Manzo

Attività sanitarie di Fondazione Avsi in Congo (Credits: Fondazione Avsi)

Martedì sera, il primo ministro del Congo Jean-Michel Sama Lukonde ha presentato al presidente Félix Tshisekedi, le dimissioni. Lo stesso ha fatto il ministro della difesa. Ieri rappresentanti della società civile locali hanno espresso preoccupazione che il vuoto di potere a Kinshasa possa essere sfruttato dai ribelli del Movimento 23 marzo (M23) e che la violenza nella regione possa ulteriormente aumentare. «Speriamo che le consultazioni per il nuovo governo siano accelerate in modo che ci sia un nuovo esecutivo il prima possibile», ha dichiarato Marrion Ngavo, capo dell’alleanza delle organizzazioni civiche di Goma, città oggi sotto assedio.

Sempre ieri il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha sanzionato sei persone di cinque gruppi armati diversi operanti nella parte orientale del Paese «responsabili di numerosi abusi». Embargo su armi, divieto di viaggio e congelamento dei beni a due leader delle Forze democratiche Alleate, a uno del gruppo armato Twirwaneho e a uno dei ribelli della Coalizione nazionale popolare per la sovranità del Congo. Sanzionati anche il portavoce militare dei ribelli del M23 e un leader delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda.

La Fondazione Avsi in Congo (Credits: Fondazione Avsi)

Purtroppo, la missione Onu nota come Monusco e dispiegata per aiutare a sedare l’insicurezza nell’est del Congo, sta per ritirarsi: il Consiglio di sicurezza ha infatti approvato la sua fine entro dicembre 2024.

«La comunità internazionale deve prendere misure immediate per porre fine ai combattimenti nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) orientale e consentire una de-escalation delle tensioni con il Ruanda», ha detto il vice ambasciatore degli Stati Uniti all’Onu, Robert Wood, in una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza proprio sul Congo. Poi ha aggiunto che Kigali «deve smettere di sostenere il M23. Deve anche ritirare le forze ruandesi dal territorio congolese ed eliminare subito tutti i suoi sistemi missilistici terra-aria, che rapporti credibili indicano responsabili di spari intenzionali su risorse aeree della Monusco».

Come avevamo scritto a dicembre su VITA, il Congo era una polveriera pronta ad esplodere e, purtroppo, quanto sta accadendo soprattutto nella provincia del Nord Kivu, di cui Goma è la capitale, lo conferma.

Per fare il punto su questa guerra quasi ignorata dai media, VITA ha raggiunto telefonicamente a Goma Lorenzo Timpone, rappresentante Paese dell’organizzazione umanitaria Fondazione Avsi

Com’è la situazione adesso?

Dopo le elezioni nazionali svoltesi a dicembre, il conflitto che riguarda l’est della Rdc si è inasprito notevolmente. Attualmente, i fronti di battaglia sono sempre più vicini alla città di Goma. Possiamo affermare che la logistica via terra è ormai compromessa, considerando l’impossibilità di percorrere le strade a nord e ad ovest della città. 

Un assedio di fatto.

Goma non ha vie d’uscita se non quelle tramite i Paesi limitrofi ed i gruppi armati sono sempre più vicini alla città. Le zone di conflitto si trovano a 25km di distanza, sia sul fronte nord che ovest. Molte comunità, precedentemente risparmiate dalle atrocità di questa guerra, sono oggi coinvolte. Comunità in cui la fondazione Avsi ha svolto attività di routine per diversi anni, attualmente risultano irraggiungibili. Questo ha generato un incremento degli sfollati interni ed una forte pressione su Goma. Secondo i dati dell’ultimo Displacement Tracking Matrix dell’Organizzazione Internazionale Migrazioni, l’Oim, il 14 febbraio attorno alla città sono state stimate 1.659.000 persone sfollate. 

E adesso stanno aumentando a causa di questa guerra quasi ignorata dai media, con il rischio che essendo tagliati fuori a Goma, i prezzi salgano alle stelle e manchi il carburante, ovvero le conseguenze classiche di ogni assedio ad una città.

Certo, a questo si vanno ad aggiungere le difficoltà di accesso del personale delle ong alle aree più colpite dalla crisi. La situazione è una delle più gravi al mondo dal punto di vista umanitario. L’ultimo rapporto rilasciato da Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari) qualche giorno fa, parla di 25,4 milioni di persone in uno stato di bisogno, numeri difficili da ritrovare in altre crisi. Parliamo di persone che si trovano in una condizione di insicurezza alimentare classificata IPC 3, ovvero di crisi, secondo gli standard che usa la comunità internazionale. Di questi 3,5 milioni sono in IPC 4, ovvero una situazione di grave emergenza alimentare. Tra questi, 800mila bambini si trovano in una condizione di malnutrizione acuta e 2,1 milioni in malnutrizione moderata

Sono numeri assurdi, perché se scoppia una guerra tra Ruanda (che appoggia il M23) ed Rdc potrebbe fa impallidire il genocidio del Ruanda. 

Sfortunatamente, la narrazione utilizzata, fa leva su alcuni tristi avvenimenti storici che hanno riguardato quest’area. Questo territorio, dobbiamo ricordare, è stato teatro di numerose guerre e noi, in quanto personale umanitario, scongiuriamo fortemente la possibilità di una recrudescenza del conflitto. In Rdc, secondo l’ultimo rapporto di Oim, ci sono 9,9 milioni di sfollati interni e rifugiati, un numero incredibilmente alto. Non ci si può permettere di peggiorare una situazione di crisi a cui, già attualmente, la comunità umanitaria internazionale non riesce a far fronte.

La comunità internazionale cosa sta facendo?

L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari ha pubblicato qualche giorno fa il piano di risposta umanitario per la Repubblica Democratica del Congo 2024. Nella divisione settoriale della risposta ai diversi bisogni della popolazione colpita dalla crisi, sono espressi numeri estremamente alti relativi a bisogni alimentari, sanitari, educativi, etc. L’obiettivo prefissato per quest’anno è di arrivare a supportare almeno 8,7 milioni di persone. 

Questo obiettivo generale è poi suddiviso per i diversi settori delle diverse agenzie incaricate per la raccolta fondi, che difficilmente poi riescono a raggiungere i numeri prefissati dalla cooperazione internazionale.

Stiamo notando nel paese una riduzione della disponibilità di fondi per il settore umanitario, se ne parla in sedi di tavoli di consultazione di agenzie delle Nazioni Unite e di altri attori. Sono diversi i fattori che hanno portato a questo, sicuramente uno di questi è attribuibile alla scarsa esposizione mediatica di questa crisi. Purtroppo della Rdc si parla poco e questo fa sì anche che l’opinione pubblica sia poco informata ed attenta agli avvenimenti che colpiscono questa zona del mondo. 

Come nasce la vostra presenza in Congo? 

Fondazione Avsi è qui da oltre 50 anni, dal 1972. Abbiamo svolto numerosi interventi in diversi settori, creando forti legami all’interno delle comunità. Abbiamo un ottimo posizionamento sul territorio che ci permette anche un alto grado di accettazione. Uno dei nostri punti di forza è l’approccio olistico che utilizziamo nell’ideazione dei nostri progetti. Cerchiamo, quando possibile, di promuovere interventi integrati che comprendano diversi ambiti della vita di una persona. Strutturare accuratamente degli interventi che possano includere allo stesso tempo l’accesso all’istruzione, il miglioramento delle condizioni alimentari, la creazione di possibilità lavorative per le famiglie, ci aiuta a compirere un percorso con le persone che assume un carattere duraturo e sostenibile. In questo modo riusciamo ad assicurare un impatto maggiore sul nucleo familiare, sulla comunità o sul singolo individuo volto a ridurre il rischio di ritrovarsi nella condizione di vulnerabilità precedente al nostro intervento.

Come intervenite nei vostri progetti?

La fondazione di Avsi ha due tipologie di intervento, qui in Rdc, che sono principalmente relative ad interventi, da una parte, legati a logiche di sviluppo a lungo termine ed altri che invece si focalizzano su azioni puntuali di risposta all’emergenza. Come si può immaginare, la zona est del paese è maggiormente caratterizzata da progetti di emergenza, pensati per rispondere alla grave crisi che affligge questo territorio. 

Dove operate sull’emergenza?

Nella zona est lavoriamo nelle province di Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu e Tanganika, mentre nella parte centrale del paese operiamo nelle provincie del Kasai. Alcuni interventi riguardano il settore della protezione, sia dell’infanzia che di genere. Siamo riusciti a raggiungere, nel 2023, circa 260mila persone, principalmente bambini e donne. Un altro tema che ci caratterizza molto, qui in Rdc, è quello della nutrizione. Sviluppiamo molti progetti di lotta e prevenzione della malnutrizione acuta e moderata, con cui raggiungiamo in media 354mila persone all’anno.

Un altro settore per noi molto importante è quello della sicurezza alimentare con cui cerchiamo di portare, a circa 226mila persone, forniture di cibo o di mezzi volti alla produzione alimentare. C’è inoltre da sottolineare come, gli interventi che hanno contraddistinto la fondazione Avsi sin dalla sua nascita in Rdc, siano relativi al settore dell’educazione. Lavoriamo principalmente su due tipologie di azioni legate al miglioramento della qualità dell’istruzione e all’accesso alle strutture scolastiche. Portiamo avanti da molti anni percorsi di accompagnamento scolastico, di ricostruzione di scuole e di formazione di insegnanti, anche grazie al prezioso contributo di tanti cittadini italiani sensibili alla nostra causa.

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Altre vostre attività più a lungo termine?

Qui nell’est lavoriamo molto sul tema del miglioramento dei sistemi di cucina domestici al fine di ridurre le emissioni di CO2. C’è da sottolineare che, secondo l’ultima pubblicazione dell’African Developement Bank, le emissioni di fumi derivati dai sistemi di cucina tradizionali sono causa di 3,7 milioni di morti annuali in tutto il mondo. In Africa, questo fenomeno è causa del 60% del totale delle morti premature. Inoltre, stiamo sviluppando in partenariato con il Ministero dell’Ambiente italiano un intervento di elettrificazione rurale, di accesso all’energia per alcune zone remote. Abbiamo costruito una centrale alimentata da energia solare ed idroelettrica qui nel territorio del Nord Kivu.

L’accesso all’energia ci ha permesso anche di sviluppare, assieme a diverse comunità, attività produttive generatrici di reddito e quindi di migliorare le condizioni di vita di interi nuclei familiari. Nella provincia del Kasai, invece, abbiamo appena iniziato un intervento, che avrà una durata di 7 anni, volto alla alla promozione e all’inserimento lavorativo. Questo avverrà attraverso un percorso di formazione, il trasferimento di asset per l’avviamento di un’attività produttiva e l’accompagnamento lavorativo svolto dal nostro personale. Riusciamo, in questo modo, a seguire le persone coinvolte dal progetto finché non avremo la certezza che saranno autonomamente capaci di sostenersi. È la stessa metodologia che abbiamo utilizzato con successo in altri paesi e che stiamo cercando di riproporre in Rdc.

Quanti siete in Congo?

Attualmente siamo circa 250 persone. Nel 2023 abbiamo avuto 25 progetti attivi ed il calcolo esatto del personale è costantemente aggiornato. Ovviamente le possibilità di accesso alle aree remote del paese, come ti ho detto, sono peggiorate tantissimo e anche il nostro staff locale, pur essendo fortemente integrato in questa zona, non è più in grado di raggiungere le comunità previste dai nostri progetti. Il che fa capire come anche i villaggi, recentemente colpiti dal conflitto, siano sempre più esposte ad una condizione di vulnerabilità. L’Oim dice che, nell’ultima settimana, a causa degli ultimi avvenimenti sono arrivati in città altri 170mila sfollati.

Sono numeri pazzeschi e inoltre la Monusco, la missione dei caschi blu Onu in Congo, a Bukavu, la capitale del Kivu meridionale, finirà entro aprile.

Sì, e le altre rimarranno operative probabilmente fino a dicembre 2024. Visto che stiamo parlando di circa 14mila unità presenti nel paese e di una missione che va avanti dal 1999, la sua uscita lascerà un vuoto che genererà senza dubbio un cambiamento negli equilibri della regione.

Noi speriamo, in quanto personale umanitario, che la situazione in cui riversa l’est della Rdc volga ad un miglioramento. La sofferenza straziante di un numero così alto di persone non può essere accettata. Noi cercheremo di essere sempre in prima linea, come Fondazione Avsi, ma speriamo in una soluzione duratura per questo atroce conflitto.


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