Diritti&Salute

Cure palliative? Mettere il Terzo settore in condizione di lavorare

Tania Piccione, la presidentessa di Federazione cure palliative, fa il punto sulle criticità da superare per valorizzare un patrimonio di competenze e servizi prezioso per il Sistema sanitario nazionale

di Nicla Panciera

Le trasformazioni demografiche che interessano le società avanzate, con una diversa capacità di accudimento delle persone fragili, insieme alla longevità e alla cronicità rese possibili dagli avanzamenti della medicina, creano nuovi bisogni socio-sanitari che i paesi ricchi cercano di risolvere in vario modo. In questo contesto, è in crescita il numero di persone bisognose di cure palliative nei vari setting ospedaliero, residenziale e domiciliare, che sono un diritto sancito ormai 24 anni fa ma non ancora garantito a tutti coloro che ne dovrebbero beneficiare. Secondo le stime, sono circa mezzo milione le persone che ogni anno, nel nostro Paese, hanno bisogno di cure palliative nel loro ultimo periodo di vita; oltre un terzo di queste persone presentano bisogni di complessità elevata, che richiedono l’intervento di equipe specialistiche di cure palliative nei diversi luoghi di cura.

Secondo un documento tecnico, frutto di oltre un anno di impegno da parte di un gruppo di lavoro della Società italiana cure palliative (Sicp), a voler raggiungere gli obiettivi stabiliti dal contesto normativo nazionale fissa l’obiettivo del soddisfacimento del 90% del bisogno entro il 2028, mancano all’appello più del 50% dei medici palliativisti e oltre due terzi degli infermieri per l’assistenza di cure palliative specialistiche domiciliari. Un traguardo attualmente non raggiungibile senza il contributo del Terzo settore.

Proprio in occasione della presentazione del documento Sicp a Milano, abbiamo incontrato Tania Piccione, presidentessa della Federazione Cure Palliative Fcp che riunisce 104 enti del terzo settore in tutto il territorio nazionale

in cui operano oltre 6mila volontari e 2mila professionisti sanitari e sociali impegnati quotidianamente a diverso titolo nel vasto campo delle cure palliative, dell’assistenza ai malati ed ai loro familiari.

Partiamo dal fatto che, nel nostro paese, il terzo settore ha contribuito alla diffusione delle cure palliative che si sono sviluppate al di fuori delle istituzioni sanitarie.

È noto che la storia delle cure palliative nel nostro paese è fortemente connessa al terzo settore: senza la spinta iniziale e il sostegno continuo della società civile, organizzata in associazioni e nel volontariato, le cure palliative non avrebbero certamente raggiunto l’attuale fase di sviluppo.

Come l’organizzazione sanitaria, anche il terzo settore è cambiato nel tempo, acquisendo nuove competenze. Quali sono le sue peculiarità?

Oggi, il mondo del terzo settore attivo in cure palliative ha caratteristiche ben diverse da quelle della fine anni Settanta: nel corso del tempo ha, infatti, subito profonde trasformazioni, allontanandosi dal cliché della filantropia per identificarsi sempre più come movimento organizzato, strutturato e legittimato dalle istituzioni (la stessa legge 38 riconosce il contributo del terzo settore in cure palliative e ne valorizza il ruolo in più ambiti), capace di coniugare perfettamente il principio di sussidiarietà con quello della solidarietà, integrando e affiancando le aziende sanitarie nella produzione di servizi domiciliari e residenziali di cure palliative in osservanza degli standard di qualità fissati dalla normativa.

Federazione Cure Palliative rappresenta la quasi totalità delle associazioni di volontariato e degli enti del Terzo settore dedicati alle cure palliative, non è così?

Federazione Cure Palliative esprime al suo interno una parte del mondo professionale e la quasi totalità del volontariato attivo in cure palliative nel nostro Paese, con l’adesione di quasi 2mila professionisti, 6mila volontari e 104 enti del terzo settore che, con la loro presenza fortemente radicata nel territorio nazionale, svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo delle cure palliative, gestendo direttamente una quota rilevante degli Hospice e delle attività di cure palliative domiciliari. La ricognizione di Agenas sullo stato di attuazione della legge 38/2010 del rende evidente, infatti, come il 66% degli erogatori di cure palliative domiciliari afferisca al terzo settore e alle imprese sociali, così come il 25% delle cure palliative negli ospedali italiani e quasi la metà degli hospice. Il Terzo settore costituisce quindi una risorsa indispensabile nel contesto del Sistema sanitario nazionale per il raggiungimento dei Lea e del diritto all’accesso alle cure per tutti i cittadini con bisogni di cure palliative.

Quale ruolo può giocare oggi il Terzo settore nello sviluppo delle reti di cure palliative, in un contesto sociale come il nostro in rapido mutamento con nuovi bisogno socio-sanitari?

Gli enti del terzo settore possono rappresentare il motore propulsivo per promuovere e facilitare il cambiamento di rotta necessario e contribuire allo sviluppo territoriale delle reti di cure palliative. Questo per diverse ragioni: per il patrimonio di esperienza che hanno maturato nel corso degli anni accanto ai malati con bisogni di cure palliative e alle famiglie, per la loro posizione privilegiata di prossimità territoriale che permette una chiara lettura dei bisogni delle persone malate e delle loro reti, per la capacità di sviluppare sinergie con le risorse presenti nel territorio di riferimento.

Concretamente, quali contributi può dare?

Affiancare le aziende sanitarie nell’implementazione di paradigmi di cura sempre più innovativi capaci di rispondere appropriatamente alla complessità dei bisogni, integrando il paradigma clinico e la cura sociale, oggi maggiormente difficile da gestire. Proporre modelli caratterizzati da elevata integrazione socio-sanitaria e forme di sussidiarietà tra Sistema Pubblico, Terzo settore, Volontariato e organizzazioni di cittadini, che consentano facilità di adattamento e rimodulazione degli interventi e dei trattamenti. Garantire la presenza di volontari qualificati in ogni luogo di cura. Promuovere un welfare di comunità per rafforzare le reti sociali e migliorare i modi informali in cui le persone si connettono tra loro, arginando situazioni di solitudine e isolamento. Sviluppare percorsi di empowerment dei pazienti anziani e delle loro reti familiari e sociali. I pazienti con malattie croniche giocheranno in futuro sempre più frequentemente il ruolo di co-producer per la gestione efficace della propria malattia e ciò porterà al miglioramento dell’aderenza rispetto ai trattamenti e degli esiti di salute.

Dal suo punto di vista cosa manca per valorizzare questo patrimonio?

Evidenzierei tre criticità. La prima è la mancanza di percorsi di accreditamento istituzionale per l’erogazione di cure palliative in molte regioni d’Italia. Nonostante la legge n. 38/2010 e i decreti attuativi siano orientati alla definizione di standard che devono caratterizzare Reti composte da “Strutture Accreditate” a livello regionale, i percorsi di accreditamento sono stati istituiti solo in poche regioni. Accanto a esperienze virtuose come quelle in Lombardia, in Sicilia e nel Lazio, si registrano molte altre esperienze regionali in cui gli Ets erogano servizi di cure palliative domiciliari e residenziali nell’ambito di un sistema erogativo misto (pubblico/terzo settore) per il tramite di forme convenzionali precarie e senza soluzione di continuità, spesso incoerenti con gli standard qualitativi delle prestazioni.

Ciò ha delle conseguenze sul servizio fornito?

Questa situazione dà luogo evidentemente a un sistema erogativo fortemente instabile e frammentato, che determina grandissime difficoltà operative oltre che il frequente rischio di perdere solide professionalità costruite sul campo. In molti casi gli Ets contribuiscono all’erogazione dei servizi domiciliari e residenziali di cure palliative attraverso l’impiego di proprio personale attingendo a proventi economici derivanti da attività di fundraising: l’erogazione dei servizi in alcuni casi diventa pertanto proporzionale ai proventi che gli Ets riescono a recuperare con la raccolta fondi. Modelli di questo tipo non tengono conto del fatto che le Cure Palliative sono un Lea e che gli elevati standard di qualità delineati dalla normativa per essere raggiunti e mantenuti necessitano di risorse economiche adeguate oltre che di continuità e stabilità.

Aumentando così le ben note difficoltà nel reperimento di professionisti in cure palliative.

Certo. E questa è la seconda criticità. La carenza dei medici specialisti, problema nazionale diffusamente osservato in tutto il comparto sanitario, è un tema fortemente avvertito in particolare dagli enti del terzo settore che erogano servizi. Alla precarietà dei servizi, determinata dalla mancanza di percorsi di accreditamento, si aggiunge la maggiore attrattività, in termini di guadagni, progressione di carriera e stabilità contrattuale, esercitata dal pubblico rispetto al Terzo settore.

Qual è la terza criticità?

Una ancora insufficiente partecipazione degli Ets ad attività di concertazione con la pubblica amministrazione attraverso strumenti di amministrazione condivisa e, contestualmente, scarso coinvolgimento di rappresentanti degli Ets nei tavoli tecnici istituzionali. A oggi sono pochissime le esperienze di co-programmazione e co-progettazione tra la pubblica amministrazione e gli Ets nell’ambito delle cure palliative, e le modalità di coinvolgimento degli Ets, in molte esperienze, si sono limitate esclusivamente alla mera erogazione di servizi o interventi progettati dalle organizzazioni pubbliche, oppure all’informazione relativa a come la pubblica amministrazione ha deciso di strutturare la programmazione in materia. Per non parlare della completa assenza di coinvolgimento di Sicp e Fcp in ambito politico e istituzionale.

Direi che questo è davvero un passo decisivo da compiere, anche per soddisfare le richieste di una sempre maggior partecipazione dei pazienti e dei loro rappresentanti. Cosa propone Federazione cure palliative?

Da tempo sosteniamo con forza la necessità di azioni istituzionali volte alla valorizzazione del ruolo del terzo settore come risorsa indispensabile per le politiche di welfare e di tutela della salute. Oggi è più che mai necessario un terzo settore fortemente orientato all’innovazione sociale, ai processi di confronto e di co-progettazione e co-produzione delle azioni di welfare dentro reti multi stakeholder. Non è facile, un esempio su tutti: abbiamo chiesto tre mesi fa udienza al ministro e non abbiamo ancora ricevuto risposta.

Quali sono le altre proposte di Federazione cure palliative?

Vigilare affinché tutte le Regioni adottino i modelli di “accreditamento istituzionale” previsti per legge al fine di assicurare una ragionevole stabilità e continuità nel tempo alle Strutture che erogano cure palliative, requisito indispensabile per lo sviluppo di forme di integrazione sul territorio e di equipe competenti e stabili. Inoltre, che siano definitivamente superate pratiche di esternalizzazione dei servizi, tramite gare e appalti, che prevedono il ribasso economico come criterio prioritario, non tenendo conto che un servizio di cure palliative che opera con efficacia si basa su elevati standard di qualità che necessitano di risorse economiche adeguate oltre che di continuità e stabilità.

Cosa accadrebbe se non venissero fatti gli investimenti, cosa aspettarci vista l’età attuale dei palliativisti e la concomitante carenza di altri specialisti, tra i quali si sarebbe potuto reclutare?

Il sistema erogativo rappresentato dal terzo settore rischia di implodere. Al problema della carenza di personale medico si associa anche una questione di sostenibilità economica dei servizi.  Le tariffe giornaliere di remunerazione delle cure palliative domiciliari e dei ricoveri in hospice si mostrano infatti insufficienti a sostenere i costi di gestione. Sono rimaste pressoché invariate in tutte le regioni (con eccezione di qualche regione che ha registrato un lieve incremento – Lombardia +6,2%) a fronte di un’inflazione che secondo i dati Istat è pari al 34%. Si prospetta, quindi, un problema di sostenibilità nel breve-medio termine, anche perché molti dei fattori che compongono le spese sanitarie sono aumentati a un ritmo ancora più elevato del tasso di inflazione.

Basarsi unicamente sulle donazioni volontarie rende difficile la programmazione.

Fino ad ora molte delle 104 associazioni sono riuscite a sopravvivere solo grazie alle generose donazioni della comunità che hanno contribuito alla copertura dei costi di gestione degli enti. Oggi però, in un diffuso contesto di crisi economica anche i dati sulle donazioni stanno registrando una progressiva flessione non risultando più sufficienti a mantenere i servizi in equilibrio economico.

Quali sono gli interventi più urgenti secondo Federazione?

È indispensabile agire per tempo su più fronti: occorre intervenire su un sistema tariffario ancora non omogeneo, che, soprattutto in determinate realtà regionali, non rende possibile il raggiungimento dell’equilibrio economico da parte delle Unità di Cure Palliative. In assenza di indicazioni nazionali – il decreto tariffe lo stiamo ancora aspettando! – le modalità di tariffazione adottate per gli Hospice e per le cure palliative domiciliari presentano evidenti differenze persino all’interno di una stessa regione. Occorre stanziare specifici interventi di supporto economico da parte dello Stato, per assicurare le cure palliative agli oltre 500mila malati inguaribili e 11mila bambini con età inferiore ai 15 anni che ogni anno in Italia si affidano al ricovero in Hospice e alle équipe di Cure palliative domiciliari. Si tratta di servizi essenziali, che rispondono ai diritti imprescindibili delle persone di tutte le età gravemente malate che affrontano con le loro famiglie l’ultimo tratto della propria vita.

Foto di Eberhard Grossgasteiger su Unsplash

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