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La ricerca su cittadini e medici

Cure palliative: note agli italiani, ma attivazioni lacunose

Il lavoro, commissionato a Ipsos da Vidas, fotografa per la prima volta la conoscenza e la percezione a livello nazionale delle cure palliative. Molti traguardi e altrettante criticità, come la difficoltà dei clinici a parlare con i pazienti di prognosi infausta e di possibilità di morte

di Nicla Panciera

Gli italiani conoscono molto più di un tempo le cure palliative, otto cittadini su dieci sanno che sono un diritto e che vanno erogare gratuitamente, in molti ne sollecitano attivamente l’ottenimento ma il 57% non saprebbe dire se sono attive sul proprio territorio. I medici di famiglia e i clinici di diverse specialità si dichiarano per lo più informati, ma le propongono principalmente ai pazienti oncologici. Quanto ai pediatri, invece, ben uno su tre afferma di non sentirsi competente in materia, come anche il 20% dei medici.

Sono alcuni dei dati che emergono dall’indagine Ispsos  “Cure palliative. Conoscenze ed esperienze di cittadini e clinici” condotta per Vidas, organizzazione di volontariato dedita all’assistenza gratuita dei malati inguaribili e dei loro familiari, in occasione della giornata delle cure palliative che si celebrerà il giorno 11 novembre. La ricerca, in collaborazione con la Federazione cure palliative e grazie al contributo della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti, ha coinvolto 1.501 individui maggiorenni e 920 medici, tra cui 400 medici di medicina generale, 200 pediatri di libera scelta e 320 medici specialisti ospedalieri.

Italiani sempre più informati

In vent’anni molto è cambiato e tra i cittadini emerge una crescita della conoscenza di cosa siano le cure palliative, come si vede da confronto con due indagini svolte nel 2008 e nel 2000.

Oggi, due italiani su tre sono a conoscenza per esperienza diretta o riferita cosa significa assistere persona colpita da malattia inguaribile, spiega Chiara Ferrari, Lead Public Affairs Ipsos. Sanno che le cure palliative portano a un miglioramento della qualità della vita del malato inguaribile (86%), con la presa in carico della famiglia (80%), così come che il servizio è compreso nei Lea (81%). Per sei intervistati su dieci, casa, ospedale e hospice sono luoghi ugualmente deputati all’erogazione di cure palliative. L’hospice, in particolare, nel giro di 15 anni, ha più che raddoppiato la sua notorietà, specialmente tra le persone residenti nelle regioni del Nord Ovest. Quanto alle tempistiche, il 57% immagina una attivazione nella fase finale della malattia, in prossimità del decesso, mentre il restante 43% è convinto che il sostegno possa essere offerto anche in stadi meno avanzati della malattia. In uno scenario di eventuale bisogno futuro, emerge chiaramente la casa come luogo primario di setting di cura desiderato (50% e più delle scelte), mentre l’ospedale è preferito da solo una persona su dieci. La fonte di informazione principale è il medico. La maggior parte dei cittadini (41%) riconduce le cure palliative al controllo del dolore e il 91% è molto o abbastanza d’accordo all’impiego di sostanze oppiacee (morfina e derivati) in fase terminale o avanzata e inguaribile di malattia, proprio allo scopo di alleviare la sofferenza fisica.

Le difficoltà dei medici

Più dell’80% dei medici intervistati sono a conoscenza del fatto che le cure palliative sono un diritto garantito dalla legge, ma preoccupa quel restante 15-20% di ignoranza. Oltre a questa difficoltà, c’è quella relativa all’incapacità di affrontare con il paziente tematiche impegnative, come la prognosi infausta e il fine vita: ciò, emerge dalla survey, costituisce un ostacolo all’offerta di cure palliative. La grande maggioranza dei medici intervistati la proposta di cure palliative è stata rivolta a pazienti con malattie oncologiche; secondariamente nei casi di malattie neurologiche e ai malati cronici (46%), soprattutto tra gli ospedalieri. Non hanno troppa fiducia verso le conoscenze dei loro pazienti, ma vengono smentiti poi dalle risposte fornite dai cittadini stessi e dal dato relativo alla richiesta attiva di supporto palliativo. Per riassumere, le principali barriere alle cure palliative che emergono dalla survey sono «la scarsa informazione dei medici e la loro incapacità di dare la notizia nel modo giusto, perché attivarle e proporle significa mettere sul tavolo la prognosi infausta» conclude Chiara Ferrari «La pianificazione condivisa delle cure promuoverebbe l’alleanza terapeutica, tutelerebbe le volontà del paziente e favorirebbe il coinvolgimento della famiglia».

Informare e coinvolgere i cittadini

All’Università Statale di Milano è nata nel 2021 la prima cattedra universitaria di cure palliative. Quello delle cure palliative è un tema medico che interseca anche aspetti psicologici, sociologici e culturali e investe l’essere umano nella sua interezza. La formazione e il coinvolgimento dei cittadini, per consentire loro di scegliere in libertà, è da sempre, come ha detto il presidente di Vidas Ferruccio De Bortoli, «l’obiettivo della battaglia di educazione civica sul fine vita di Vidas». L’associazione assiste oltre 2200 persone l’anno, sia adulti (con 20 posti letto e 220 pazienti attualmente assistiti al domicilio) e bambini (ospitati nei 6 appartamenti di Casa Sollievo Bimbi e 65 in carico al domicilio). «Come parte integrante della propria missione Vidas si prende cura dei malati inguaribili anche attraverso costanti opere di sensibilizzazione sui grandi temi del vivere e del morire, di formazione e di informazione su temi normativi e scientifici» ha detto Antonio Benedetti, direttore generale di Vidas, «e ha iniziato a promuovere in modo strutturato la formazione e l’informazione dal 1997 costituendo il Centro Studi e Formazione Vidas, con corsi di aggiornamento per tutte le figure dell’équipe multiprofessionale, oltre che per i giornalisti».

Non è una missione impossibile

«Queste conoscenze del cittadino fanno sì che egli avanzi richieste precise: assistenza, continuità delle cure, competenze e sostegno alla famiglia» ha detto Gino Gobber, palliativista e presidente della Società italiana cure palliative Sicp. «La creazione delle reti di cure palliative, l’articolazione territoriale e il fare del domicilio la prima sede di cura son odei capisaldi. Il freno all’origine della mancata realizzazione è nelle regioni e nelle aziende sanitarie». Lo studio Palliped sui servizi attivati e funzionanti in cure palliative pediatriche mostra che solo il 18% dei bambini che ne avrebbe diritto vi accede e che ancora cinque Regioni sono senza rete. «Il crinale tra obiettivo sfidante e missione impossibile è stretto, ma se la si considera una missione impossibile allora è inutile fare alcunché. Dobbiamo invece rendere evidente le eccellenze che ci sono, e realizzare quanto previsto dalle normative e dal Pnrr».

Manca un’informazione istituzionale

«In assenza di campagne informative istituzionali, nonostante quanto previsto dalla legge in termini di promozione di momenti informativi per la cittadinanza, non possiamo che attribuire al lavoro del terzo settore la maggior informazione dei cittadini» ha commentato Tania Piccione della Federazione cure palliative Fcp, che riunisce 22 realtà del non profit. «Anche se, in assenza di azione istituzionale forte, la conoscenza non è sempre approfondita. Ancora un 25% dichiara di avere solo un’idea vaga di cosa siano le cure palliative; il 18% pensa a rimedi naturali o alla medicina alternativa. Le strutture residenziali sono poco conosciute. Infine, ritenere queste cure come un passo prossimo alla morte ha delle conseguenze negative sulle tempistiche di attivazione e quindi sull’esigibilità di un diritto».

Un ostacolo a proporre le cure palliative è ancora il dover parlare di prognosi infausta e di morte. I medici devono saper stare sulla sedia che scotta

Giada Lonati, palliativista e direttrice sociosanitaria di Vidas

Le (scarse) capacità comunicative

Oltre il 60% dei clinici è orientata a proporre le cure palliative quando i trattamenti non incidono più sul decorso della malattia, prima ancora di arrivare alla fase terminale. Come detto, dall’indagine che il principale ostacolo percepito dai medici, in relazione alla prescrizione delle cure palliative, è il dover affrontare il grande elefante nella stanza: la prognosi infausta e la morte. «Come palliativisti, sappiamo lavorare sulle competenze tecniche, per rispondere alle paure dei malati riguardanti il dolore e la perdita della dignità, ma dalla ricerca emerge anche una difficoltà dei medici a vivere quella dimensione relazionale che deve fare parte delle loro competenze. Per dirla con parole nostre, dobbiamo saper stare sulla sedia che scotta e affrontare temi difficili insieme al paziente. La pianificazione condivisa delle cure aiuta tutti, anche gli specialisti» afferma Giada Lonati, medico palliativista e direttrice sociosanitaria di Vidas.

Se la morte è un tabù o un fallimento, non ci si pensa

Le fa eco Augusto Caraceni, direttore della struttura complessa di cure palliative, terapia del dolore e riabilitazione dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano: «La vera rivoluzione è copernicana è stato l’inserimento delle cure palliative nella formazione universitaria dei clinici, solo così possono integrare le cure palliative nella propria cultura medica». Infatti, sono ancora in troppi a ritenere le cure palliative come l’ultima spiaggia, spiega Caraceni: «L’evidenza scientifica conferma la necessità di cure palliative integrate ancora in fase di trattamento per il controllo della malattia». C’è però anche una questione culturale, in cui la morte è un tabù, cui va aggiunto il fatto che «la morte viene considerata un fallimento della medicina. Quindi, si preferisce non pensarci per tempo, a danno della qualità di vita del paziente e anche ai danni degli stessi clinici. Tutto questo si ripercuote sulla tempestività del ricorso alle cure palliative che, se in oncologia è tutto sommato rispettata, così non avviene in altri ambiti come nel cardiovascolare». Che si muoia di malattie cardiovascolari, prima causa di decesso nel nostro paese, non è dunque una sorpresa, sorprende invece il permanere di sacche di ignoranza tra gli specialisti che non ritengono le cure palliative necessarie ai propri pazienti.

La morte viene considerata un fallimento della medicina. Quindi, si preferisce non affrontarla, a danno del paziente e anche del clinico

Augusto Caraceni, Istituto nazionale dei tumori di Milano

Il grande nodo del domicilio

Dalla ricerca emerge, infine, che pazienti e medici sono accomunati dal desiderio di poter ricevere le cure e passare i propri ultimi giorni a casa. Oggi, questo è sempre più possibile grazie alle reti, che laddove esistono sono implementate dalle società scientifiche, dalle associazioni, dal mondo del non profit in collaborazione con gli erogatori pubblici. «Certo, tutti in teoria rispondono preferendo il proprio domicilio. Ma segnalo una questione ancora a monte, che è l’attuale mancata realizzazione di servizi specialistici di cure palliative nelle strutture ospedaliere» puntualizza Caraceni. Tant’è che i dati dell’indagine Ipsos «mostrano che dove le strutture dedicate e funzionanti esistono sul territorio, come nel caso del Nord Ovest, cresce il desiderio di essere presi in carico da professionisti competenti negli hospice». Anche perché la domiciliarità non saprà fornire tutte le risposte al futuro che ci aspetta, fatto di molte persone sole, con pensioni ridotte, invecchiamento e cronicità.

Casa Sollievo Bimbi di Vidas a Milano

Foto: un servizio di supporto a domicilio dei volontari di Vidas


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