Disagio giovanile
Dalla reclusione alla presa in carico: serve un’alternativa concreta per i minori che hanno commesso reato
Il suicidio di un ragazzo di 17 anni nell’istituto penale per minorenni di Treviso, lo scorso 13 agosto, testimonia la crisi del sistema della giustizia minorile. «Servono servizi che abbiano la competenza e il coraggio di creare iniziative stabili sul territorio e che accolgano la complessità dei ragazzi. Dobbiamo offrire avventure positive: se non ci sono restano solo quelle negative». Dialogo con Franco Taverna, vicepresidente della Fondazione Exodus di don Mazzi

La tragedia delle morti in carcere arriva anche negli istituti penali per minorenni, Ipm. Un ragazzo di 17 anni ha tentato il suicidio lo scorso 11 agosto, due giorni dopo il suo arresto, nel carcere di Treviso, impiccandosi con i suoi jeans. Era stato soccorso ancora vivo e portato in ospedale, dove è morto dopo due giorni. «Non è più comprensibile e accettabile una modalità che è quella semplicemente della reclusione», dice Franco Taverna, vice presidente della Fondazione Exodus di don Mazzi.
Taverna, il suicidio del diciassettenne nell’Ipm di Treviso della scorsa settimana è un dramma che testimonia la crisi del sistema della giustizia minorile?
La situazione potrebbe essere affrontata almeno su due fronti. Credo che il tema del sistema di trattamento per i minori che hanno commesso reati, alla luce dei fatti che sono avvenuti a partire dall’anno scorso in particolare negli istituti di pena per minori (come Beccaria a Milano, Sollicciano, Nisida, Casal del Marmo), sono completamente saltati. E sono saltati perché non è più comprensibile e accettabile una modalità che è quella semplicemente della reclusione. Occorre, da parte dello Stato, immaginare altri tipi di interventi.
Il secondo fronte su cui affrontare la situazione?
Subito collegato a questo primo fronte c’è un’altra questione, quella dell’intervento sul territorio. Bisogna dire che l’Italia ha una legislazione tra le più avanzate d’Europa, dal punto di vista del trattamento per i minori. La stragrande maggioranza dei minori che hanno commesso reati sono demandati agli uffici dei servizi sociali per minori sui territori. In Lombardia ci sono gli uffici di Servizio Sociale per Minorenni. Ussm. Al di là del personale che è limitato, gli Ussm hanno un compito, così come gli istituti di pena, che è quello di controllare i comportamenti dei ragazzi, cioè di fare in modo che non vengano commessi ulteriori reati, che non ci siano recidive.
Lo sguardo è sul comportamento, sul fatto che ci sia un modo di agire compatibile con le altre persone, uno stare insieme tra i ragazzi corretto. Il punto vero è questo. Il disagio dei ragazzi e delle ragazze (che commettono reati in maniera molto inferiore dei ragazzi), parliamo di preadolescenti e adolescenti, è molto superiore a quello che si viveva anche solamente 20 anni fa.
Secondo lei, perché?
Perché la complessità della situazione, anche della vita, della percezione, dello sguardo rispetto al mondo dei ragazzi e delle ragazze, è molto diversa e non si può prendere solamente da un punto di vista. La questione principale è questa: i preadolescenti e le preadolescenti sono delle realtà complesse e non vanno solo prese per una questione.
Ci spieghi meglio.
Le questioni sono il problema psicologico, la dispersione scolastica, il loro problema sociale (se hanno una famiglia disagiata, si mettono in una comunità per minori), il loro comportamento (compresi i reati). Ci sono almeno questi quattro punti di vista, che sono parziali. I ragazzi e le ragazze sono delle unità, tutte le caratteristiche stanno insieme. Se vogliamo affrontare seriamente il disagio che è sempre più galoppante e che è esploso, basta guardare le scuole medie inferiori che accolgono i ragazzi dai 10 ai 14 anni. È raro che le scuole funzionino veramente con i ragazzi.
Quando funzionano le scuole?
Quando ci sono degli insegnanti che hanno la capacità, il coraggio di avere un approccio anche tipo educativo, non semplicemente didattico. Dove funzionano gli Ussm? Dove ci sono degli assistenti sociali che hanno un approccio educativo e non solamente contenitivo. Dove funzionano le Unità operative di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, qui in Lombardia? Dove ci sono delle unità neuropsichiatriche che hanno anche uno sguardo educativo. C’è una sempre più alta consapevolezza di ciò da parte di questi attori: insegnanti, neuropsichiatri, assistenti sociali, servizi sociali comunali e territoriali.
Servono servizi che abbiano la capacità di creare progetti stabili sul territorio che accolgano la complessità del ragazzo
Ora, occorre trasformare questa consapevolezza in progetti concreti. E non solo, in servizi continuativi. Oramai servono servizi che abbiano la capacità, prima la competenza e poi il coraggio, di creare progetti stabili sul territorio che accolgano la complessità del ragazzo. Serve un servizio in cui il ragazzo si senta accolto, non che gli controlli il comportamento e dove deve dimostrare che non ha più rubato, non hai più spacciato, non ha più agito violenza nei confronti di altri. Serve un servizio che abbia veramente a cuore i ragazzi, che si prenda carico delle situazioni. Il tema della presa in carico complessiva credo che sia il vero problema attuale dei preadolescenti e degli adolescenti.
Quindi, secondo lei, manca un vero lavoro di rete, manca uno sguardo che tenga insieme tutte queste complessità?
Non è più sufficiente la rete. Servono proprio dei servizi, dei luoghi, delle persone. Non basta che il neuropsichiatra si parli con l’assistente sociale del territorio e gli mandi le informazioni. Non basta che l’insegnante illuminato mandi la scheda informativa al comune perché sappia che la famiglia di uno studente è disagiata o che un ragazzo va a scuola la mattina del lunedì con i lividi in faccia. Non basta quello. Servono dei luoghi, degli spazi dove questi ragazzi che manifestano i segnali (e qui bisogna avere anche una capacità di osservazione che non è scontata) li prenda in carico. Cioè dei luoghi dove uno possa arrivare, ma non dalle 15 alle 16, quando c’è bisogno. Questo è ciò che manca assolutamente adesso e che abbiamo cominciato a fare.
Ci racconta il progetto che portate avanti con Exodus?
Abbiamo cominciato un progetto a Monza, in un luogo che si chiama Spazio 3, e vorremmo tentare di farlo a Milano, in uno spazio ancora più grande. Si tratta di un luogo in cui possono convergere delle competenze della neuropsichiatria infantile, dell’investimento sociale, dell’educazione, dalla scuola. In modo tale che uno possa esserci, nel momento in cui ci sono picchi di disagio. Ci sono episodi della vita che comportano disagio, quando un amico viene meno o altri eventi che turbano e scombussolano la vita di un ragazzo. In questi momenti serve qualcuno che non guardi semplicemente se si sta comportando bene, ma che lo aiuti a capire quando è in camera sua e si taglia, cosa ha dentro di sé, perché non si è sentito se stesso e non ha sentito che gli altri lo stanno prendendo a cuore.

Quello di Monza è uno degli esiti di un progetto che abbiamo iniziato cinque anni fa, con dei minori che hanno commesso reati. Il progetto è stato realizzato con il contributo dell’impresa sociale Con i bambini. Abbiamo avuto un centinaio di ragazzi della Lombardia, del Lazio e della Sicilia, a cui abbiamo proposto dei progetti “ad alta intensità educativa”, con la presa in carico che dicevo. Per noi questa alta intensità ha diverse forme, ha una dimensione di quotidianità ma anche una dimensione importantissima, cruciale, fondamentale: l’avventura. I ragazzi e le ragazze devono avere la possibilità, in un periodo come quello dell’adolescenza, di vivere delle avventure positive.
Perché sono importanti le avventure positive?
Perché se non ci sono le avventure positive restano quelle negative. Bisogna offrire loro queste possibilità. A questi ragazzi, segnalati dai Servizi sociali per i minorenni, Ussm, abbiamo offerto delle carovane, delle avventure. A gruppi hanno fatto delle esperienze itineranti, viaggi anche molto avventurosi. Abbiamo avuto la sfortuna di iniziare in un periodo sfortunato, quello del Covid, siamo partiti proprio nel 2020, abbiamo continuato fino al 2024. Abbiamo imparato che le avventure sono fondamentali e danno una scossa positiva.
Le avventure sono importanti, se non ci sono le avventure positive restano quelle negative
E, dopo le avventure, cosa serve?
Poi serve la continuità, dei luoghi dove questa avventura positiva, questa presa in carico possa continuare. È da qui che è nato Spazio tre nel 2022, come uno degli esiti della carovana, a Monza nel quartiere San Rocco. Lì abbiamo cominciato a fare delle modalità espressive e ad articolare la musica. Il rap e la trap sono modalità espressive immediate, molto facili e comprensibili per i ragazzi. Alcuni sono andati, per esempio, a superare l’esame di terza media con un brano di musica rap. Le varie attività di Spazio 3 stanno raccogliendo molte adesioni, in questo momento è frequentato da 47 ragazzi, che sono vari. Il disagio non è semplicemente quello che è bollato con un voto scolastico, da una diagnosi medica, dal fatto che sei un minore straniero non accompagnato, ma ce l’hai dentro il tuo disagio e tante volte poi scoppia. Se hai un disagio senza etichetta, da qualche parte esplode.
La cosa per noi importante è che queste realtà non devono essere etichettate, non ci deve essere il luogo che accoglie i minori che hanno commesso reati, quello che accoglie i ragazzi che hanno delle problematiche di natura psichiatrica, o attacchi di panico, ansia, o quello bulimici. Servono dei luoghi integrati, dove esiste il tema delle esperienze che vengono fatte: della musica, delle carovane, delle avventure.
Questa è la possibilità di riscatto che hanno i ragazzi. E da lì si esce. Le adolescenze sono sempre state, forse sempre saranno, dei momenti di trasformazione. Queste esperienze forti diventano per loro anche un modo di identificarsi. Alcuni hanno, per esempio, inciso due playlist e adesso sono su Spotify. Vorremmo ampliare, vorremmo fare in modo che non vivano questa realtà solo su progetti, ma che l’ente pubblico, il comune e la regione, riconosca questi posti come luoghi di possibile accoglienza di questo tipo di disagio, oramai sempre più diffuso. C’è un altro tema di cui vale la pena parlare.
Quale tema?
Il tema dell’aspettativa. Se non c’è l’aspettativa, se sei una persona invisibile e insignificante per tutti, allora tanto vale rifugiarsi in camera oppure assumere sostanze. C’è un ritorno prorompente delle sostanze da parte dei minori, che sono coinvolti di più nell’assunzione anche perché c’è la facilità di acquistarle con il cellulare. Prima era necessario almeno muoversi dalla stanza e andare ad aspettare il pusher in piazza, adesso non serve neanche più quello.
Foto di Alan Le Bihan su Unsplash
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