Azzardo
Daniele Raco: «Porto sul palco la mia vittoria contro il demone delle slot»
Lo stand up comedian, tra i protagonisti di Zelig, da dieci anni non gioca più. Sulla sua esperienza ha scritto un libro divenuto uno spettacolo: “La gallina. Storie d’azzardo”. Non si definisce un ex giocatore perché «dalle dipendenze non si guarisce mai, anche se ci si può curare». L'intervista

Scommettiamo che tutti conosciamo almeno una persona che si è rovinata con il gioco d’azzardo? Pensiamoci bene… anche andando indietro nel tempo tra i ricordi d’infanzia… quell’amico del vicino di casa del nonno… Ecco, quando ci facciamo caso, l’azzardo prende una consistenza a cui forse non avevamo mai pensato.

Ne è convinto Daniele Raco, stand up comedian (nella foto), noto per la sua partecipazione a Zelig, che con l’azzardo ha avuto un rapporto stretto per sette anni della sua vita.
Oggi sono 10 anni che Raco non azzarda, ma non chiamatelo “ex giocatore”: «Sono un giocatore compulsivo non attivo, perché dalle dipendenze non si guarisce mai, anche se ci si può curare».
Come è cominciata la sua storia con l’azzardo?
Stavo vivendo un periodo felice della mia vita: era da poco nato il mio secondo figlio ed ero in tour con Zelig. Eh sì, al contrario di quello che si potrebbe pensare e che spesso accade, non c’era nessun elemento di vulnerabilità o come si dice nessun fattore di rischio come un dolore, un trauma, una perdita. Ho iniziato per divertimento, nei momenti di pausa durante il tour. Giocavo alle slot machine come fossero videogiochi. E per i primi 4 anni posso dire di aver giocato in modo “sociale”. Anche se il gioco d’azzardo non è mai davvero sociale, secondo me.
Perché?
Parlavamo prima di vulnerabilità… Bene: il fattore di rischio sta anche nel “gioco” stesso. Basta per esempio azzardare una sola volta e sentirsi bene così da voler replicare quella emozione. Insomma, quando c’è di mezzo l’azzardo tutti siamo vulnerabili. Sempre. Si tratta di un meccanismo che, proprio per come viene progettato, dà assuefazione… Le slot sono emblematiche: suoni, colori, le icone che girano… è tutto ipnotico. Infatti durante quelle ore, giorni, mesi, anni che ho passato in bar e sale slot non ho mai visto nessuno giocarsi 10 euro una volta e poi andarsene. Mai.
Eppure non sembra che questa consapevolezza sia diffusa…
… d’altronde in italiano non abbiamo una parola specifica per l’azzardo. Il termine “gioco” già sminuisce la sua reale natura e quindi il rischio, contribuendo a generare un percepito errato.
… durante quelle ore, giorni, mesi, anni che ho passato in bar e sale slot non ho mai visto nessuno giocarsi 10 euro una volta e poi andarsene. Mai.
Come si può intervenire?
Anzitutto facendo capire che la dipendenza da gioco d’azzardo non è un vizio, ma una vera e propria malattia. Perciò curarla è un dovere costituzionale. E, bada bene, non lo dico senza vergogna. Io ero malato di azzardo, mentre la mia compagna di allora era da poco guarita da un tumore. Eppure anche la mia era una patologia.
Ci racconta come è continuata la sua storia.
I primi 4 anni sono stati una relazione d’amore con l’azzardo, in cui giocavo per divertirmi. Inoltre guadagnavo bene dal mio lavoro e, anche se perdevo spesso, riuscivo a mantenere un equilibrio economico. Poi però l’azzardo ha preso il sopravvento e il gioco è diventato sempre più compulsivo: la mia mente era costantemente assorbita dalle slot machine.
Cosa è successo? Quale è stato il punto di rottura?
Dunque, come dicevo per 4 anni, sto attento a non giocare tutti i giorni, anche se ogni volta gioco sempre qualche euro in più. Di solito scelgo una slot che si chiama Cha Cha Cha e che è molto divertente e non particolarmente ‘avara’. Inoltre ti dà la sensazione di giocare ai videogiochi. Un giorno invece cambio slot e questa non restituisce neanche un euro e così mi incaponisco. Come se stessi giocando a una partita di ping pong o di calcetto. Voglio vincere. Invece perdo sempre e alla fine la slot mi dà un bonus come per premiarmi per la mia testardaggine. Un bonus che ovviamente non mi risarcisce delle perdite, ma è un’invitante gancio a continuare. Ecco, quello è stato il mio punto di rottura.
Non esistevano più né famiglia né amici. Riuscivo solo a lavorare, perché mi servivano i soldi per giocare. Ormai non mi divertivo più e stavo sempre più male. Avevo capito di avere una dipendenza, tanto da provare più volte a smettere. Ma non ci riuscivo mai.
E poi com’è andata?
Ho vissuto i successivi 3 anni in modo disastroso, da ogni punto di vista: economico e personale. Non esistevano più né famiglia né amici. Riuscivo solo a lavorare, perché mi servivano i soldi per giocare. Ormai non mi divertivo più e stavo sempre più male. Avevo capito di avere una dipendenza, tanto da provare più volte a smettere. Ma non ci riuscivo mai. Era davvero frustrante. Dato che sono un amante del wrestling, ho cominciato ad allenarmi, pensando che lo sport mi avrebbe aiutato a indirizzare altrove il pensiero e le energie. Ma niente mi teneva lontano dalle slot.
Allora come ha fatto a smettere?
Il giorno che mi sono giocato tutto il cachet della serata decido di farla finita. Mi dico: adesso spengo tutto. L’unico modo per spegnere la slot è spegnere anche la mia vita. E così vado sul Ponte Monumentale di Genova, ma per fortuna negli attimi prima del salto… comincio a ridere. Lo giuro! Inizio a pensare alle mie foto sui social con su scritto “RIP” e a quello che la gente che mi conosce avrebbe raccontato di me: ricordi, aneddoti… tutta roba – seppur divertente – che io non avrei potuto smentire. La mia storia invece la voglio scrivere io e così torno a casa e per la prima notte dopo non so più quanto tempo ho dormito bene. La mattina mi alzo e confesso tutto alla mia compagna di allora. Le racconto della mia malattia, di tutti i soldi persi… le dico tutto. Ne nasce ovviamente una discussione, litighiamo. Lei aveva capito che qualcosa non andava, ma pensava che avessi un’amante… ipotesi che avrebbe preferito! Sarebbe stato tutto più accettabile. Ci è voluto un po’ di tempo, ma poi ha capito, tanto che nella decisione di separarci, avvenuta tempo dopo, l’azzardo non c’entrava. Quella mattina però mi disse una frase che mi ferì e allo stesso tempo mi smosse: “Non pensavo che fossi un debole”. Era arrivato il momento di farsi aiutare.
A chi si è rivolto?
Prima a Giocatori Anonimi che per me sono stati uno straordinario pronto soccorso. Mi hanno fatto innamorare dei giorni in cui non giocavo e così, un giorno alla volta, un mattone dopo l’altro, mi sono ricostruito. A un certo punto però mi serviva capire ‘perché’ fossi caduto nella dipendenza, dato che temevo di sostituire una dipendenza con un’altra… E così mi sono affidato a un percorso psicoterapeutico presso i Ser.D che sono i Servizi per le Dipendenze che si trovano su tutto il territorio nazionale. E tutto il percorso di cura è stato gratuito. Lo dico perché non sempre lo si sa, ma sia i Ser.D che Giocatori Anonimi sono aiuti fondamentali a disposizione di tutti.

In questi 10 anni di astinenza dall’azzardo ha avuto ricadute?
Sì, tre, ma sono subito rientrate. Le ricadute ci possono essere, non devono spaventare e servono per ricordarmi che se tu gratti un Gratta e Vinci una volta probabilmente ti fermi lì, io invece non posso farlo più.
E come fa con l’offerta di azzardo a portata di mano praticamente ovunque?
Per esempio non frequento più i bar che vendono azzardo. Ovunque sia, quando entro in un locale, prima guardo se ci sono slot machine o gratta e vinci. A dire la verità, lo faccio non tanto per evitare la tentazione, quanto perché i miei soldi li voglio dare a chi fa il barista e non il croupier. È una scelta etica.
Un’altra scelta etica è quella di condividere la sua storia, perché diventi una testimonianza utile e anche perché nessun altro, se non lei, possa raccontarla. Lo fa da tempo con il libro, poi diventato uno spettacolo teatrale – a metà tra Stand Up Comedy e il Teatro Sociale – La gallina. Storie d’azzardo. Ma cosa c’entrano le galline?
Come recitava una celebre canzone di Cochi & Renato “La gallina non è un animale intelligente” e proprio Gallina è il nome che i giocatori di slot hanno dato a una delle “macchinette” più diffuse… quella che era la mia preferita, la Cha Cha Cha. Allora mi sono chiesto: E se per i produttori delle slot i giocatori d’azzardo non fossero altro che polli d’allevamento, da sfruttare fino alla morte? Non anticipo nulla, soltanto che i protagonisti sono: un barista, un ex direttore delle Poste, un politico, un muratore, una casalinga e un comico, ossia io. Tutti giocatori compulsivi chiamati ad affrontare il demone dell’azzardo.
Non è difficile, se non addirittura rischioso, rivivere ogni volta sul palco gli anni della dipendenza? Non ha paura di ricadute?
No, anche se non potrei fare molti spettacoli uno dietro l’altro come di solito succede durante i tour. Condividere la mia testimonianza non mi crea le condizioni per una ricaduta, tuttavia mi fa rivivere momenti in cui sono stato molto male, perciò tra uno spettacolo e l’altro ho bisogno di decantare.
Prima di calare il sipario un’ultima domanda che sicuramente le avranno fatto in molti: alla fine, quanto ha perso?
Sette importanti anni di vita che niente e nessuno mi ridarà indietro.
Nell’immagine in apertura Daniele Raco durante uno spettacolo – tutte le immagini fornite dall’autrice
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