Separazioni e divorzi

Ddl Balboni o ddl Salomone? Affidamento dei figli, le novità che fanno discutere

Il Disegno di legge, a prima firma di Alberto Balboni (FdI), ha già attirato diverse critiche, dalle associazioni femministe a chi si occupa di infanzia. A preoccupare particolarmente il caso in cui a provocare la rottura siano stati episodi di violenza. Ma sarebbero «accuse infondate» per Marino Maglietta, che ha collaborato alla stesura del testo

di Veronica Rossi

Alberto Balboni, FDI

In Parlamento, alla Commissione Giustizia del Senato, è in discussione un nuovo disegno di legge sull’affidamento dei minori in caso di separazione o divorzio dei genitori. Un testo che ha sollevato subito polemiche, sia per quanto riguarda i bambini – Marina Terragni, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, in audizione l’ha definito “adultocentrico” – sia per quanto riguarda la tutela delle donne vittime di violenza. La proposta, infatti, mira a realizzare una situazione di uguaglianza totale tra i due genitori, con un affido paritetico (esattamente metà tempo con la mamma e metà tempo col papà) e doppio domicilio (ma non doppia residenza). In questa situazione, la normalità sarebbe il mantenimento diretto per quanto riguarda le spese ordinarie, quindi una ripartizione al 50% delle spese tra i due genitori, a meno di forti squilibri di reddito.

Il ddl 832 – come dichiarato anche nella relazione introduttiva – si basa sull’indagine effettuata presso le sezioni di diritto di famiglia per iniziativa del Dipartimento di diritto privato e storia del diritto dell’Università statale di Milano, pubblicata da Marino Maglietta nel 2022 nel volume Affidamento condiviso. I tribunali dichiarano i propri orientamenti, che evidenzia le attuali contraddizioni di prassi non solo tra foro e foro, ma persino all’interno del medesimo tribunale. Lo studio mette in rilievo una distanza pratica rispetto all’intenzione della legge del 2006, con la sopravvivenza nei fatti di un genitore “prevalente” e uno che ha solo “diritto di visita”, nonostante l’affidamento condiviso. 

Il dibattito si è già infiammato. Le critiche? Il ddl strizza l’occhio ai padri separati, che spesso lamentano di sentirsi ridotti a “bancomat” per le ex compagne, ma potrebbe disincentivare le donne dal provare ad uscire da relazioni abusanti. I maltrattamenti fisici infatti si accompagnano spesso a imposizioni di tipo economico: a volte alle donne non è permesso di lavorare, per esempio, oppure si trovano senza saperlo a pagare il mutuo di una casa intestata al marito.

Non si tiene conto della violenza sommersa

«Nel testo non è posta alcuna attenzione al tema della violenza sulle donne», dice Paola Bizzozzero, avvocata che collabora con il centro anti violenza di Fondazione Asilo Mariuccia, a Milano. «Non vengono prese in considerazione le ipotesi in cui ci fossero maltrattamenti in famiglia. Questo non rispetta la convenzione di Istanbul, ratificata anche dall’Italia, che all’articolo 31 stabilisce che il diritto di visita e la custodia dei figli vanno affrontati tenendo in considerazione gli episodi di violenza». Tra gli articoli del ddl, infatti, non c’è menzione al tema della violenza, che pure è un’emergenza nel nostro Paese, visto che il 13,6% delle donne (dati Istat) ha subito nella vita maltrattamenti da partner ed ex partner.

«Nella prima versione del testo c’era un articolo in cui si diceva che in casi di violenza – fisica o psicologica – non si applicava l’affido paritetico», ribatte però Maglietta, già professore di Fisica all’Università di Firenze, impegnato dal 1993 a riflettere sui problemi socio-giuridici legati alla famiglia in crisi, fondatore e presidente dell’associazione nazionale Crescere Insieme, già ideatore dell’affidamento condiviso ed estensore dei testi-base che hanno portato alla legge 54 del 2006 che oggi ha collaborato alla stesura del disegno di legge 832. «Giustamente però il senatore Balboni (il primo firmatario del ddl 832, in foto, ndr), ha fatto notare che in un testo di legge non si fanno elenchi in negativo: non si dice per legge che in banca non sono ammessi i rapinatori. Nel momento in cui esiste già l’articolo 337 quater c.p.c., che afferma che sono esclusi dall’affidamento condiviso tutti i soggetti di potenziale pregiudizio per il figlio, questo basta a ricomprendere tutte le categorie. Fare elenchi anzi sarebbe pericoloso: se dimenticassimo un caso, cosa succederebbe? Ci pensi. Se faccio un elenco nella legge e non lo scrivo espressamente, il genitore incestuoso potrebbe paradossalmente avere l’affido del minore».

In un testo di legge non si fanno elenchi in negativo. Esiste già l’articolo 337 quater del Codice di procedura civile, che afferma che sono esclusi dall’affidamento condiviso tutti i soggetti di potenziale pregiudizio per il figlio, questo basta a ricomprendere tutte le categorie. Fare elenchi anzi sarebbe pericoloso

Marino Maglietta, presidente Crescere Insieme

Questa obiezione però vale per la violenza esplicita, ma è noto che il difficile è riconoscere le situazioni in cui la violenza è sommersa. «Non si tiene conto della violenza sommersa», è infatti la risposta dell’avvocata di Fondazione Asilo Mariuccia, «ci sono molti casi in cui la violenza viene scambiata per conflittualità».

Per Maglietta, in realtà, il ddl, applicando una divisione equilibrata di spese e tempo con i figli, sarebbe utile a prevenire la frustrazione e quindi atti violenti da parte di un genitore, dal momento che evidentemente una persona che avesse attitudine ad essere maltrattante non sarebbe certo disincentivata da una convivenza di due o tre giorni la settimana anziché sette. «Il conflitto è una situazione che può essere fisiologica, la violenza no», commenta Bizzozzero, «bisogna assolutamente tenere separati i due piani; una situazione equilibrata non previene la violenza, che è alla base di alcuni procedimenti di separazione e spesso non viene riconosciuta».


No alla mediazione obbligatoria

Un altro punto che le associazioni femministe considerano dolente all’interno del ddl è legato all’obbligo di mediazione familiare. «Ma non è vero, come si è detto, che ci sia l’obbligo di un costoso percorso di mediazione familiare», afferma Maglietta. «L’unico incontro obbligatorio è il primo, nel quale viene spiegato in cosa consiste la mediazione, un mero adempimento preliminare come altri, per informare tutti dell’esistenza di questa possibilità: poi la scelta è libera». Nei casi di violenza, tuttavia, non ci dovrebbe essere alcun tentativo di riavvicinare le parti, ribatte a distanza l’avvocata Bizzozzero: «La convenzione di Istanbul nei casi di maltrattamenti esclude che ci possa essere qualsiasi forma di mediazione. Potrebbero esistere infatti casi in cui non c’è una situazione esplicita o una querela, ma c’è un humus di violenza, una condizione borderline, in cui si rischia di spingere la donna a intavolare delle trattative di mediazione. Questo non va bene».

La convenzione di Istanbul nei casi di maltrattamenti esclude che ci possa essere qualsiasi forma di mediazione. Potrebbero esistere infatti situazioni in cui non c’è una situazione esplicita o una querela, ma c’è un humus di violenza, una condizione borderline, in cui si rischia di spingere la donna a intavolare delle trattative di mediazione

Paola Bizzozzero, Fondazione Asilo Mariuccia

Le spese? Sempre fifty-fifty

Un tema sempre più rilevante nei casi di separazione è quello della violenza economica. Nella nuova proposta, la normalità per chi si separa dovrebbe essere una divisione delle spese per i figli al 50%. Ma evidentemente non – è il commento di Maglietta – quando la situazione è fortemente sbilanciata, a differenza di quanto i critici dicono: «L’assegno non sparisce, rimane esattamente come ora in forma integrativa o eventuale, se ce n’è bisogno», chiarisce. «Se due persone guadagnano in maniera diversa, ma guadagnano entrambe, allora ci saranno capitoli di spesa più pesanti riferiti al genitore più abbiente. Nel caso di una famiglia monoreddito – che spero in Italia sia una situazione residuale, perché io sono per l’occupazione e l’autonomia di entrambi i soggetti della coppia – e, poniamo, i figli costano mille euro al mese, ora viene dato un assegno di mille euro al genitore collocatario, in linea di massima la madre, anche se questo sta con i figli un solo giorno in più rispetto all’altro genitore. Una situazione illegittima. Con la riforma, invece, se i figli costano mille euro, il genitore che ha reddito darà un assegno di 500 euro a quello che non lo ha e in aggiunta affronterà direttamente le altre spese, per ulteriori 500 euro».

Quello che si vuole far passare per tutela dell’interesse dei minori è in realtà tutela degli interessi economici dei padri

Marta Buti, Dire

«Quello che si vuole far passare per tutela dell’interesse dei minori è in realtà tutela degli interessi economici dei padri», afferma Marta Buti, avvocata e consigliera di Donne in rete contro la violenza – Dire. «Applicando il mantenimento diretto, le madri, che sono spesso la parte economicamente più fragile, verrebbero gettate in una situazione di grande vulnerabilità. Ovviamente esistono anche situazioni in cui le mamme hanno la stessa capacità reddituale dei papà, in cui si potrebbe astrattamente modificare la determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento, ma sappiamo bene che la situazione generale in Italia non è questa». Ora, è vero che la separazione della coppia comporta statisticamente un impoverimento della situazione dell’intero nucleo familiare, ammette l’avvocata di Dire, e quindi «è vero che ci sono situazioni in cui il padre si trova ad avere una condizione economica di fragilità, ma questa non può essere la testa d’ariete per abbattere tutto ciò che è stato costruito in trent’anni di normativa e giurisprudenza in materia di diritto di famiglia. Nella stragrande maggioranza dei casi è la donna a essere il soggetto economicamente più fragile. Il legislatore negli anni ha trovato dei meccanismi di tutela per madre e figli, anche perché non sempre, ma in molti casi, si arriva alla separazione perché all’interno della coppia c’è un soggetto che maltratta gli altri. Uso il plurale apposta: quando ci sono maltrattamenti verso la donna, c’è anche maltrattamento subìto dai figli, che assistono».


C’è un altro aspetto della questione: «La parte economicamente più forte avrà inevitabilmente un appeal maggiore sul minore», dice l’avvocata Bizzozzero, «perché è chiaro che se una casa è più confortevole, la percezione del figlio può essere influenzata. In più chi ha maggiori possibilità finanziarie rischia di avere anche maggiore voce in capitolo sulle decisioni sui figli, che andrebbero prese in maniera paritetica. Immaginiamo che un ragazzo voglia continuare a studiare invece che andare a lavorare. Il sì di chi può mantenerlo è diverso da chi non riesce a permetterselo».

Il dd Salomone e i bambini tagliati a metà

La proposta di legge ha attirato critiche anche da chi si occupa di diritti dei minori. «Nel disegno di legge sull’affidamento condiviso pare registrarsi un arretramento rispetto a un’attenta valutazione dei diritti dei bambini, con il rischio che prevalga una prospettiva di tipo adultocentrico», ha detto a questo proposito Marina Terragni, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza in audizione. Ha aggiunto anche che «dovrebbe bastare il buon senso a far capire che dividere la vita di un bambino su due case, magari non necessariamente vicine, e quindi la perdita dei riferimenti costituiti dalla casa familiare, che era probabilmente vicino alla scuola dove il minore, il bambino ha tutti i suoi amici, le sue relazioni. Ecco, questa soluzione che potrebbe apparire equa, in realtà comporta dei rischi per la stabilità, per la serenità del bambino».

Dovrebbe bastare il buon senso a far capire che dividere la vita di un bambino su due case, magari non vicine, quindi con la perdita dei riferimenti della scuola, degli amici, delle relazioni… è una soluzione che potrebbe apparire equa ma in realtà comporta rischi per la stabilità e la serenità del bambino

Marina Terragni, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza

Il disegno di legge infatti è stato già soprannominato “ddl Salomone”, in riferimento al famoso re biblico che dinanzi a due donne che rivendicavano di esserne le madri, propose di tagliare a metà il bambino, scoprendo così che la vera madre tra le due era quella disposta a rinunciarvi. Obbligare i minori a passare da una casa all’altra, anche nel caso di figli neonati o di case distanti, pare proprio un “tagliare i bambini a metà”. «Non è assolutamente vero», replica Maglietta: «per motivi tecnici non si depositano leggi con introduzioni lunghissime, ma se prendiamo le linee guida del tribunale di Brindisi, che ho co-redatto, si trova già scritto che i casi tipici in cui non si può applicare l’affidamento paritetico sono l’allattamento, la tenerissima età, la distanza tra le abitazioni e l’attività dei genitori, perché se il padre – per esempio – è camionista e non può essere presente per metà del tempo è evidente che una soluzione di questo tipo non ha alcun senso».

In foto, Alberto Balboni, Fratelli d’Italia, presidente Commissione Affari Costituzionali in Senato e primo firmatario del disegno di legge 832 “Modifiche al codice civile, al codice di procedura civile e al codice penale in materia di affidamento condiviso”. Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

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