Il caso Bologna
Droga: dietro le pipe ci sono gli operatori, per questo funzionano
La scelta del Comune di Bologna di distribuire le pipe per il crack arriva dopo lo studio del "caso Barcellona" ed è stato preceduto nel 2024 da un progetto pilota, con 40 pipe. La frequenza del fumo di crack è calata del 50%, dice lo studio e sono stati intercettati 32 nuovi consumatori, di cui 16 presi in carico. «Gli operatori sono il centro di questo intervento, non le pipe. Noi non finiamo l’intervento consegnando una pipa, ma siamo il viatico verso altre prese in carico, sanitarie o sociali» spiega Marina Padula, vice coordinatrice dei servizi di contrasto alla grave emarginazione di Asp Bologna

«Noi non finiamo l’intervento consegnando una pipa. Ma siamo il viatico verso altre prese in carico che siano sanitarie o sociali». As illustrare il senso globale dell’intervento che a breve porterà il Comune di Bologna a distribuire 400 pipe ai consumatori di crack in città è la vice responsabile dei servizi di contrasto alla grave emarginazione di Asp Bologna, Marina Padula. Al centro di tutta l’operazione, prosegue Padula, ci sono gli operatori, «un punto di riferimento, senza i quali questa operazione non sarebbe possibile». In questo caso gli operatori sono quelli di Fuori Binario, servizio di prossimità e riduzione del danno di Asp Città di Bologna e del Comune di Bologna, dato in gestione al consorzio l’Arcolaio, nato nel luglio 2024.
Il target e la distribuzione
Il nodo che la vice coordinatrice del servizio dell’azienda pubblica di servizi alla persona bolognese va a sciogliere è quello relativo al target a cui è rivolto l’intervento di riduzione del danno, al centro di tante polemiche. «Il consumatore che noi andiamo ad agganciare non è socialmente integrato, non è una persona che ha una casa, un lavoro, una famiglia… Sono persone che hanno delle complessità dietro al consumo di crack». Emarginati.
La distribuzione delle pipe per assumere crack «è l’azione più prossima, più immediata per cercare di agganciare una popolazione che ha queste caratteristiche. Si tratta di persone che sono ben conosciute dai servizi, non di consumatori occasionali o all’inizio del loro percorso, persone che assumono la sostanza da tempo e che non sono inserite a livello sociale»: questo il profilo tratteggiato da Asp.

Dunque la distribuzione delle 400 pipe – costate 3 euro l’una, per un totale di 1.200 euro e non 3.500 euro come riportato da molti giornali, precisano gli operatori – «non sarà un’azione a cascata, ma mirata», sottolinea Padula. Il punto di distribuzione principale sarà in Bolognina «perché è lì che abbiamo il servizio dedicato, Fuori Binario. Lo sportello sarà il fulcro del nostro lavoro, ma anche la strada sarà coinvolta per cercare di arrivare in modo più capillare possibile», prosegue la vice responsabile. Prima di dare lo strumento a chi lo richiederà, assicura infine Padula, «capiremo chi abbiamo di fronte. La fortuna di avere degli operatori sociali è proprio che non ti trovi ad affrontare l’erogazione come se fossi un bancomat, ma avviene attraverso una conoscenza e un colloquio». Cosa non meno importante poi, il fatto che le pipe saranno distribuite a persone «che saranno disposte a compilare un questionario al momento dell’erogazione, un altro dopo l’uso della pipa e infine un ultimo dopo che è trascorso un altro periodo di utilizzo».
L’erogazione delle pipe non avviene come ad un bancomat, ma attraverso una conoscenza e un colloquio
Marina Padula, vice responsabile dei servizi di contrasto alla grave emarginazione di Asp Bologna
Gli studi e il modello spagnolo
Proprio nei questionari, secondo la referente di Asp Bologna, risiede l’unicità del progetto avviato sotto le Due Torri. «Rispetto ad altre città come Parma, Piacenza, Reggio-Emilia, Torino, Alessandria, Palermo, che non hanno fatto studi approfonditi su questa nuova azione di riduzione del danno, Bologna si differenzia perché noi andremo ad analizzare i questionari delle persone», evidenzia Padula. «La differenza più grande sta nel fatto che abbiamo prodotto uno studio pre-introduzione della misura e ne faremo uno nella fase successiva, che ci permetterà di analizzare i benefici, le problematiche eventuali dell’uso delle pipe e di capire se hanno assolto la funzione che avevamo pensato», continua la vice del servizio di contrasto alla grave emarginazione di Asp.
La stessa articolazione del servizio offerto da Fuori Binario è nata dopo aver studiato un modello di intervento, quello spagnolo. «In particolare ci siamo ispirati all’esempio di Barcellona, abbiamo fatto un Erasmus class, un’azione europea di studio che ha permesso a me e altri tre colleghi di visitare dei servizi della città che da tantissimi anni hanno sviluppato una serie di azioni a favore della riduzione del danno», spiega Padula. È qui che Asp e il progetto gestito dal consorzio Arcolaio hanno capito che la pratica di distribuzione della pipa per assumere crack funziona. «Funziona perché riesce ad arrivare a persone che nel momento in cui vengono intercettate non sono ancora pronte, o non saranno mai pronte, ad intraprendere percorsi di recupero, quindi di astinenza, che continueranno a vivere sulle nostre strade e che hanno bisogno di entrare in contatto con operatori professionali che sappiano che alcuni strumenti sono più utili di altri per la tutela della loro salute” spiegano ancora da Asp.
La distribuzione di pipe funziona perché riesce ad arrivare a persone che nel momento in cui vengono intercettate non sono ancora pronte ad intraprendere percorsi di recupero
Marina Padula, vice responsabile dei servizi di contrasto alla grave emarginazione di Asp Bologna
Ma perché per i consumatori di crack è così difficile smettere? Questo, spiegano Asp e Fuori Binario, avviene per via della sostanza che utilizzano: «L’uso di cocaina e in particolare di crack dà una dipendenza psicologica fortissima e non ci sono strumenti farmacologici che possono bloccare una situazione di craving, cioè di desiderio di consumo, come nel caso degli eroinomani con il metadone». Da qui l’applicazione di misure di riduzione del danno, ergo le pipe per fumare il crack. A dirlo sono gli stessi operatori del servizio: «La pipa è una scusa per entrare in contatto, è un mezzo relazionale. Non pensiamo affatto che sia la soluzione», sottolinea Giovanni Armellini, operatore di Fuori Binario. «Con essa entriamo in contatto con persone che esistono e a cui va garantito un reinserimento sociale e sanitario e perché loro possano farlo bisogna che entrino in contatto con persone come noi che fanno questo lavoro». Solo a questo punto gli operatori potranno indirizzarli ai Sert per una presa in carico sanitaria o ai servizi sociali per tutti i problemi sociali che l’uso di sostanza porta con sé.
Lo studio preliminare
Nel 2024, partendo proprio dal progetto di Barcellona, a Bologna sono state distribuite le prime 40 pipette ai consumatori della Bolognina. L’esperimento è stato studiato da Raimondo Pavarin, professore ed epidemiologo dell’Università di Bologna. Dalla sua analisi è emerso innanzitutto che nel passaggio dall’uso della bottiglietta alla pipa come strumento per assumere la droga sono diminuiti alcuni problemi di salute dei consumatori. «In particolare dopo 60 giorni dalla distribuzione i consumatori hanno segnalato di aver cessato di avere problemi respiratori (37,5%), mal di gola (25%), bruciature sulle labbra (20,8%) e ulcere della bocca (12,5%)», si legge nell’analisi. Si è poi notato che c’è stata una diminuzione del consumo: «Dopo 60 giorni, la frequenza del fumo di crack è diminuita del 50%», ha illustrato ancora Pavarin.
La pipa è una scusa per entrare in contatto, è un mezzo relazionale. Non pensiamo affatto che sia la soluzione
Giovanni Armellini, operatore di Fuori Binario
«Questo è avvenuto non tanto per l’inserimento delle pipe sterili», sottolinea ancora Armellini, «ma perché gli utenti sono entrati in un ottica di lavoro con i servizi e quindi con gli educatori». Inoltre lo studio ha condotto ad un effettivo avvicinamento di nuovi consumatori ai servizi: nel primo semestre del 2025 sono stati conosciuti 32 nuovi consumatori di crack e 16 di questi hanno sono stati accompagnati a fare una presa in carico al Serd (dati Asp-L’Arcolaio).

Una risposta a Feder
Un’ultima riflessione riguarda la riflessione pubblicata da Simone Feder, psicologo della Casa del Giovane di Pavia, nell’articolo su VITA nel quale afferma che più che di “oggetti sterili” queste persone avrebbero bisogno di un “intervento psico-sociale”. Padula risponde rilevando una mancanza nel sistema sanitario attuale: «Per farlo, bisogna avere dei servizi in grado di sostenere anche le prese in carico psicologiche, che abbiano tra il personale psicologi o psicoterapeuti, figure di cui i Sert in questo momento soffrono la mancanza. Noi incontriamo pochi psicologi”. Ma concorda Padula sul fatto che «tutti noi siamo consapevoli che la pipa di per sé, se la immaginiamo come strumento assoluto, potrebbe risultare sterile. Ma attorno a quella pipa ci sono degli operatori in grado di immaginare che per quelle persone si possa iniziare un percorso di avvicinamento».
Foto di copertina, Stefano Porta – LaPresse
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