Adolescenti, basta etichette
E a settembre, fateci trovare un’altra scuola
Finisce la scuola, proviamo a farne un’altra? Ecco quella che sognano i ragazzi di Campi Bisenzio, alle porte di Firenze. Matilde, Giada e Luca hanno tra i 18 e i 19 anni. Frequentano tutti il Porto delle Storie, gestito dalla cooperativa sociale Macramè. Qui si sono fatti un’idea molto chiara della scuola che vorrebbero. Una scuola che non li lascerebbe indietro. Ecco le loro cinque proposte

«Se si perdono i ragazzi più difficili, la scuola non è più scuola, è un ospedale che cura i sani e respinge i malati»: lo scrivevano ormai quasi 60 anni fa i ragazzi della scuola di Barbiana, nella famosa Lettera a una professoressa, scritta tutti insieme, con il metodo della “scrittura collettiva”, con cui don Lorenzo Milani diede loro finalmente la parola e, con questa, la capacità di esprimersi. Un ritratto della scuola di allora, che tuttavia è in troppi casi ancora attuale: i ragazzi e le ragazze, specialmente quelli che provengono da contesti economicamente e socialmente più complessi, facilmente restano indietro.
Ne danno una lucida testimonianza Giada, Matilde e Luca, che hanno tra i 18 e i 19 anni e hanno trovato al “Porto delle Storie” di Campi Bisenzio non solo la loro seconda casa, ma anche qualcosa di molto simile alla scuola che vorrebbero. Con loro e di loro abbiamo parlato nell’ultimo numero di VITA, Adolescenti, quello che non vediamo, provando a raccontare quella specie di incantesimo che li ha avvicinati alla scrittura, trasformandoli in autori di storie e di libri. Proprio loro, che a scuola detestavano scrivere e leggere, qui hanno scoperto quanto si possa trovare piacere tra le pagine di un libro e quanto possa essere bello dar vita a una storia e metterci dentro – oppure no – un po’ di se stessi. Se hai un abbonamento, leggi subito Adolescenti, quello che non vediamo e grazie per il tuo sostegno. Se vuoi abbonarti puoi farlo a questo link.
Ma quale scuola immaginano e sognano loro, che a scuola faticano, restano indietro e soprattutto non si sentono capiti? Ecco le loro cinque proposte.
1. Non giudicate ciò che non so fare, ma date valore a quel che so fare
«La scuola a me ha sempre messo ansia, fino a farmi diventare insicura. Sono dislessica, disgrafica e disortografica e i professori sembrano vedere solo questo: ciò che non so fare. Così, quando scrivo, si dà importanza soprattutto agli errori che faccio. E che sono sempre tanti. Non importa quello che ho da dire, così mi passa la voglia di scrivere», spiega Giada. «Qui invece scrivo come voglio, anche a colori. I voti non ci sono e non mi sento giudicata. Così ho iniziato a scoprirmi libera di scrivere e ho trovato il gusto di farlo. E con le attività che ci vengono proposte, ma mai imposte, impariamo a farlo sempre meglio, a raccontare noi stessi o le storie che inventiamo. Adesso mi capita di scrivere non solo qui, ma anche a casa, per sfogarmi o fare chiarezza nei miei pensieri».
I professori sembrano vedere solo ciò che non so fare. Quando scrivo, danno importanza soprattutto agli errori che faccio, che sono sempre tanti. Non gli importa quello che ho da dire. Qui invece scrivo come voglio, anche a colori. I voti non ci sono e non mi sento giudicata. Così ho iniziato a scoprirmi libera di scrivere e ho trovato il gusto di farlo.
Giada
Ecco quindi il primo punto di questa che potrebbe essere una nuova Lettera alla professoressa, scritta questa volta dalle mani dei ragazzi di Campi Bisenzio: «Non guardare agli errori che facciamo e a quello che non sappiamo fare: concentrati su ciò che ci viene bene e dagli valore», sintetizza Giada, che da qualche tempo aiuta anche i bambini che vengono qui a fare i compiti. «Perché anche studiare può diventare meno noioso, se lo facciamo in compagnia», aggiunge.
2. Ogni giorno è diverso dall’altro
Luca racconta con grande chiarezza le proprie esperienze e sensazioni, si esprime in un italiano perfetto ed è il classico ragazzo “con un gran bella testa”. Difficile credere che sia stato bocciato in terza media. «Per me studiare era solo un peso. Quando ho iniziato a venire qui ho scoperto che può non esserlo. Perché qui scegliamo cosa fare e se un giorno non abbiamo voglia, non è un problema».
Qui ci danno fiducia, credono in noi, ci chiedono sempre il nostro parere. A scuola sembra che vogliano solo giudicarci
Luca
Ecco il secondo punto della lettera: «Ci sono momenti in cui proprio non riusciamo a fare una cosa: lasciateci fare altro, per quel giorno. Ogni giorno è diverso dall’altro. È l’approccio dell’adulto verso noi ragazzi che deve cambiare, nella scuola che vorrei: qui ci danno fiducia, credono in noi, ci chiedono sempre il nostro parere. A scuola sembra che vogliano solo giudicarci».
3. Professori più vicini, come quando andiamo in gita
Lo spunto per la terza richiesta, arriva da Matilde: «I professori dovrebbero essere sempre come quando andiamo in gita: allora si lasciano andare, diventano più umani, si avvicinano di più a noi. E quando questo accade, trovano belle sorprese!», assicura Matilde.




«E quando vedono che qualcosa non va, dovrebbero chiederci “Che succede?”, invece questo non lo fanno mai, o almeno è molto raro», continua Matilde. Al Porto delle Storie invece «sentiamo che gli adulti si avvicinano a noi con un atteggiamento aperto e disponibile e sono disposti a cambiare programma, quando vedono che quel giorno non è proprio aria!». Ecco, per Matilde la scuola dovrebbe essere anche così: un luogo aperto, flessibile, disponibile, in cui il programma non sia mai anteposto ai bisogni e agli stati d’animo.
«Per esempio, quando io sono arrivato qui, non mi garbava scrivere» ricorda Luca. «Nessuno mi ha costretto a farlo, ma abbiamo trovato un compromesso: io parlavo e Laura (l’educatrice, ndr) scriveva. Poi, a un certo punto, non so come, ho iniziato a scrivere io. Ed è venuto fuori un racconto sugli alcolici, forse perché mia mamma è barista e spesso la vedo esercitarsi a casa». Luca è stato bocciato in terza media, ma al Festival degli scrittori di Firenze il suo racconto sugli alcolici è stato particolarmente apprezzato.
4. Prima la persona, poi il voto (e il programma)
E poi c’è il tema, cruciale, dei voti, che ogni anno in dirittura di scrutini anima anche il dibattito non solo delle famiglie ma anche quello culturale e pedagogico. Una scuola senza voti viene invocata da più parti e anche sperimentata con successo in alcuni contesti. Il ministero invece ha riportato il “merito” al centro e con questo la valutazione e il giudizio: proprio quello che maggiormente affligge e mette a disagio i ragazzi del Porto delle Storie. «I voti ci possono anche essere», dice Giada, «ma bisogna sempre dividere il voto dalla persona: la persona non è il voto che prende». Eccolo il quarto punto per una nuova scuola: la persona prima del voto.
5. Non tutti gli animali si arrampicano sugli alberi
E poi c’è un quinto punto, che propone Giada prendendo spunto da un video piuttosto celebre che ha visto sui social. «Nel video c’erano animali diversi, ma a tutti veniva dato lo stesso compito: arrampicarsi su un albero. Qualcuno ci riusciva, qualcun altro ovviamente no. Ecco, la scuola fa lo stesso: chiede a tutti le stesse cose, come se non fossimo tutti diversi. I professori dovrebbero rispettare e valorizzare queste diversità, non aspettarsi che tutti abbiamo le stesse capacità e inclinazioni: se ci osservassero bene e senza l’ansia di giudicarci, scoprirebbero che ognuno di noi è bravo in qualcosa. E dovrebbero valorizzarci per quello».
D’altra parte, lo diceva anche Einstein: «Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido». I ragazzi del Porto delle Storie hanno capito molto bene il senso profondo della lezione dello scienziato. La scuola ora potrebbe imparare, da loro e con loro, a immaginarsi diversa. Con l’obiettivo principale di essere un luogo accogliente, interessante, appassionante e gratificante per tutti. E in cui ciascuno possa trovare il proprio spazio e soprattutto la propria strada. non solo i “primi della classe”, ma anzi soprattutto i secondi, i terzi e gli ultimi.

Buzz Aldrin, il secondo uomo sulla Luna
Non è un caso che qui, al Porto delle Storie, l’eroe di riferimento sia Buzz Aldrin, il secondo uomo sceso sulla luna. Ci ha messo piede pochi secondi dopo Armstrong ma, diversamente da lui, è stato ignorato e dimenticato dal mondo. La sua traccia, però, è impressa nell’universo. «A noi piace perché è il secondo. Ma anche perché ha trasformato un errore in un nome: il suo», racconta Michele Arena, educatore, scrittore, tra gli ideatori e fondatori del Porto delle Storie, con la cooperativa sociale Macramè. Buzzer, infatti, è il modo in cui sua sorellina lo chiamava, non riuscendo a pronunciare correttamente la parola brother. «Lui ha capito il valore dell’errore e lo ha fatto proprio, scegliendo ‘Buzz’ come proprio nome, nel 1988. La scuola dovrebbe far questo: costruire la strada, a partire dagli errori. Perché siamo fatti per l’80% di errori», conclude Arena.
Le foto nell’articolo sono state scattate da Chiara Ludovisi al Porto delle Storie.
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